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Il sogno a cinque cerchi di Enrico Rossi: “L’Olimpiade è alla nostra portata”

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Di Roberto Zucca

Questa è una storia di sport. Nata per una serie di circostanze fortunate nel luglio di sei anni fa, e costellata di tutte le sfumature che il Beach Volley è in grado di regalarti. È una ruota che gira, un aereo che vola e cade in picchiata. È la storia di un ragazzo di Cesenatico, Enrico Rossi, che il Beach Volley, all’inizio giocato a livello amatoriale giocato in spiaggia, tra un bagno e l’altro, col papà e gli amici, ha voluto con sé per qualcosa di grande:

E pensare che il mio destino sembrava essere il calcio. Era lo sport mio e degli amici, giocato senza sosta al campetto, in qualsiasi giorno, con qualsiasi scusa. Gli allenamenti, il catechismo e l’oratorio dove giocavo ancora. Erano gli anni del Bakia, e poi del Cesenatico, anni di serie D e Prima Categoria dopo le giovanili”.

Poi arrivò il beach.

Iniziai a giocare a Beach Volley con gli amici. Ero alto, molto alto per la media. Arrivò Gianluca Casadei che mi propose di giocare alla Be Sport, in B2 a Cesena. La pallavolo fu un palliativo, non mi piaceva quanto il beach. E così mi dedicai solo a quello. Iniziai ad allenarmi a Cesenatico con Thomas Casali, e con Marco Caminati, e nel 2014 arrivammo noni al Mondiale Under 23”.

La leggenda vuole che Paulao, dopo averla visto ad un torneo ad Ostia, la convocò per il World Tour assieme ad Ingrosso.

Non avevo nemmeno la carta di identità a Ostia, dove andai a disputare una tappa dell’assoluto con Marco e le nostre famiglie. Fu una specie di gita, e alla fine Paulao mi chiese di partire a L’Aia con Matteo Ingrosso perché Paolo si era infortunato. Tornai a Cesenatico a prendere la carta di identità e scesi giù a Roma pronto a partire. Ci qualificammo per il main draw ma, forse per l’emozione, fummo costretti a dare forfait. Passai dei giorni con crampi allo stomaco, febbre e stetti malissimo. Insomma, non il massimo per un debutto al World Tour!”.

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I giornali dell’epoca dissero che la sua era una favola. Lei dimostrò col tempo che era una bella realtà?

Ci provammo. Io e Caminati eravamo destinati a giocare con altri compagni. Io con Casali e Marco con Stefano Mengozzi. Marco Pallottelli, allenatore che ci seguì ai Mondiali, ci spinse a giocare insieme. Sono stati anni bellissimi, intensi, vissuti appieno. Abbiamo iniziato vincendo qualche tappa italiana e poi ci siamo affacciati sulla dimensione internazionale, raccogliendo delle importanti affermazioni”.

Il finale della coppia Caminati-Rossi è un lieto fine?

È una fine. Con Marco siamo rimasti molto legati, ci sentiamo spesso e capita di allenarsi assieme. La Federazione decise di affiancarci a Carambula, nel mio caso, e a Ranghieri nel caso di Marco, perché la coppia aveva preso la decisione di separarsi. Il resto è storia”.

In questi anni ha sempre scelto il silenzio. Altri hanno parlato. Cosa si sente di dire ora?

Che a me, in fondo, è andata bene. Con Adrian si è creato un bellissimo legame, in campo e fuori. Abbiamo scelto all’inizio dello scorso anno di separarci dal progetto federale e di correre da soli per il progetto di Tokyo 2020, assieme a Marco Solustri che ha deciso di allenarci. Non è stata una decisione semplice, ma andava presa per una serie di ragioni, e in serenità abbiamo optato per il proseguimento dell’avventura tra Cesenatico e Roma”.

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È stata una montagna russa. Dove ha preso la forza per andare avanti, Rossi?

In quei momenti, devi trovarla dentro di te. E in parte la ritrovi nelle persone che ti stanno accanto. Nelle telefonate con il mio migliore amico, con la mia fidanzata Alessia Fiesoli, con la mia famiglia. Non le nego che ci sono stati dei momenti complicati in tutto questo. Ma non ho mai voluto mollare il mio sogno”.

Il sogno si chiama Olimpiade?

Sì. È quello per cui lavoro ogni giorno con Adrian. E con un po’ di continuità in più sono sicuro che sarà alla nostra portata. Dobbiamo solo ritrovarla e cercare di far bene nelle tappe del World Tour che contano in chiave olimpica”.

Adrian è la follia, è la creatività. Rossi cosa è?

Mi creda, non mi discosto molto da Adrian. Ci siamo scoperti molto simili in campo. È un giocatore esperto ed è una persona che crea equilibrio. Tra noi mai una parola in più. Ognuno sa cosa rappresenta e quale è il suo compito dentro la coppia. Quando poi Adrian crea, io faccio solo una cosa: lo lascio fare. Forse è questo il segreto tra noi”.

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