Roberto Piazza, coach di Milano e ct dei Paesi Bassi, ripensa alla sua Sisley: "Belluno meriterebbe la serie A"

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Di Redazione

Poco meno di dieci anni fa, alla guida della sua Sisley, ha riportato a Belluno la pallavolo maschile di serie A. Quella serie A in cui, negli anni Ottanta, Belluno aveva saputo recitare un ruolo da assoluto protagonista, infiammando la passione del pubblico locale. Roberto Piazza, l’allenatore parmigiano classe 1968, non ha mai reciso i legami con la provincia di Belluno. A riportare le sue parole, il Corriere delle Alpi:
«A Belluno, già nella stagione 2010-2011, abbiamo giocato tutte le partite casalinghe della Coppa dei Campioni. Ci siamo qualificati non alla Champions, ma alla Cev, che abbiamo poi vinto, lontano da casa, in Polonia. L’anno successivo, invece, abbiamo giocato a Belluno tutte le partite casalinghe di campionato».

Che clima avete trovato ad accogliervi, in quegli anni, alla Spes Arena?
«A Belluno mi sono sempre trovato molto bene, per tante ragioni. Anzitutto, già la Sisley era una realtà già molto vicina a quella provincia. Il pubblico di Belluno è straordinario, ci ha seguito in maniera assidua. Abbiamo avuto un bellissimo seguito da parte di una realtà che in passato ha recitato un ruolo da protagonista nel territorio veneto e non solo, e che meriterebbe di ritrovare quei livelli. A Treviso, adesso, la serie A c’è nel femminile, grazie all’Imoco, mentre manca una squadra maschile ai massimi livelli. Eppure Belluno come città avrebbe tutte le carte in regola per ospitare una categoria del genere, e troverebbe terreno fertile grazie alla presenza di una serie di figure adatte, da Walter De Barba a molti altri».

Quella bellunese è stata, però, anche una parentesi controversa…
«È stata un’esperienza controversa perché l’allora sindaco di Belluno Prade aveva provato a smuovere tutto il tessuto imprenditoriale bellunese per cercare sponsor che dessero un futuro a questa squadra dopo l’annunciato addio della famiglia Benetton. Purtroppo, però, di concreto non c’è stato nulla. E, ripeto, è un vero peccato, perché una provincia come quella di Belluno ne avrebbe le risorse, a mio parere. Però, purtroppo, come capita spesso, prevalgono delle dinamiche e dei meccanismi che non portano da nessuna parte, della serie: se c’è lui allora io non ci sto, e così via. Per dei versi Belluno è una realtà molto simile a Cuneo, dove ho allenato successivamente trovandomi in una situazione simile. Entrambe sono province di montagna, una nel Nordest, l’altra nel Nordovest. Purtroppo non c’è, o non c’è stata, la volontà di lavorare tutti in modo unitario per un interesse comune. L’esperienza ci insegna che per costruire qualcosa di importante non basta un solo sponsor, ma servono delle polisportive o, comunque, un pool di persone».

A Belluno ci torna spesso?
«A Belluno torno spessissimo ed è merito di tanti motivi e situazioni che mi legano a questa provincia. Col tempo vivi e conosci un tessuto sociale e si creano anche tante e importanti amicizie».

Veniamo al presente. Ct dei Paesi Bassi e coach di Milano in Superlega: come si coniugano due impegni così prestigiosi?
«Quella del doppio incarico, come si usa dire oggi, è un’esperienza nuova anche per me. La chiamata di Milano è arrivata qualche tempo dopo che avessi intrapreso l’avventura alla guida della nazionale olandese. Coach Giani, allora allenatore di Milano, è stato chiamato a Modena, e Milano mi ha chiesto di subentrare. Milano è una città grande ed importante, ed ho scelto di accettare. Le basi erano buone ma si trattava, e si tratta tuttora, di ricostruire. Milano ha avuto una grande storia: ora bisogna fare in modo che torni. E per certi versi il discorso è analogo per la nazionale olandese…».

In che senso?
«Perché vanta un passato glorioso, ma è ormai un passato assai remoto, che risale ormai a ventitré anni fa, con le medaglie d’oro alle Olimpiadi del 1996 e all’Europeo del 1997. Anche qui, dunque, c’è da ricostruire. Qualche giocatore di valore e prospettiva c’è e la cosa che mi ha fatto accettare è prima di tutto che ci sono i presupposti per gettare le basi di un lavoro a lungo termine. Ecco perché stiamo lavorando per continuare questo incarico anche nei prossimi quattro anni. Come si coniugano i due impegni? Con dei sacrifici, perché capita di essere spesso via».

(Fonte: Corriere delle Alpi)

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