Parla Lady Zaytsev: “Poche donne nel volley. Io Manager di mio marito, ma non solo… Scarpe? Mai stato un problema di sponsor”

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Di Paolo Frascarolo

Ashling Sirocchi è un personaggio energico, che nel mondo del volley non ha mai avuto paura di esternare il proprio giudizio. Conosciuta da molti addetti ai lavori, e non solo, soltanto come la moglie di Ivan Zaytsev, ha lasciato in passato un lavoro alle Nazioni Unite, in quanto a suo avviso, la carriera diplomatica la continua come manager del marito. Una estate turbolenta che non ha scalfito le sue convinzioni sul “caso scarpe”, o le sue idee in materia di rappresentanza femminile nella gestione manageriale del volley.

“Lady Zaytsev”, si è sempre esposta in difesa della pallavolo, uno sport che a suo avviso può fare ancora di più. Per farlo si rende necessario accendere maggiormente, su di esso, i riflettori: spesso anche facendo critiche costruttive. I palazzetti vanno riempiti sfruttando inevitabilmente l’immagine dei beniamini dello sport che più amiamo.

Partiamo da un argomento a lei molto caro: come giudica attualmente la presenza delle donne nella pallavolo?
La pallavolo è uno sport alimentato da un grandissimo numero di tesserate, eppure queste non hanno la giusta proporzione di rappresentanza. Sono poche le donne che hanno voce in Fipav. Questo è un modo di pensare e operare medievale”.

Quali sacrifici comporta essere la moglie di un giocatore di serie A?
“Sono molti, tenendo conto che quando conobbi Ivan mai avrei pensato alla possibilità che lui raggiungesse questa notorietà e tutte le sfaccettature che essa comporta. Per stare vicino a mio marito non ho continuato la mia carriera diplomatica, anche se nel mio ruolo di moglie mi piace molto trovare accordi e compromessi. Sono sacrifici anche quelli che si mettono in gioco quando vieni etichettata come la moglie di Zaytsev e basta, ma sai di valere molto più di questa banalizzazione. Contemporaneamente si sviluppano dinamiche difficili come la mancanza del proprio partner, trasferte e week end che non esistono. Considerando anche la presenza dei figli. Era dal 2010 che con Ivan non facevamo vacanze, se così si possono definire. A saperlo prima di quest’estate…”.

Quanto è importante per uno sportivo avere al suo fianco una donna coraggiosa?
“Credo sia molto soggettivo: il mio binomio con Ivan è nato in maniera spontanea e si è tradotto in un rapporto splendido anche dal punto di vista lavorativo. Ivan è una persona che condivide poche emozioni all’esterno, ma moltissime nel nostro rapporto, anche singole dinamiche di allenamento. Reputo sia un aspetto che dipenda dalla persona, in quanto il rapporto che abbiamo noi, applicato a uno sportivo con un altro carattere, farebbe enormi danni”.

Come definisce il suo rapporto lavorativo con Ivan?
“Io sono la sua Manager per ciò che riguarda l’aspetto dell’immagine. Non entro nel merito delle scelte sportive con le società, di cui si occupa il suo procuratore. Riusciamo a gestire Ivan fuori dal campo in modo che lui possa concentrarsi sulla sua attività sportiva, senza dover pensare al resto. Precedentemente la gestione, quando eravamo a Roma, era meno complicata poiché erano in pochi quelli che lo conoscevano. Già ai tempi, però, mi occupavo della sua gestione. Alcuni mi definiscono come Wanda Nara (moglie del calciatore Mauro Icardi, ndr), ma non capiscono che, pur lavorando per Ivan, in futuro potrei decidere di occuparmi anche di altri atleti. Non lavoro solo perché sono la moglie di…”

Reputa che suo marito sia stato decisivo per dare una nuova immagine al volley italiano dopo le Olimpiadi?
“Si tratta di una evoluzione complicata, dove tutti cercano di avere i propri meriti. Ivan ha raggiunto questo grado di popolarità sicuramente grazie alla Nazionale, in quanto la compagine azzurra fa le Olimpiadi ed è seguita di più, in termini di appetibilità e visibilità. Ci si potrebbe chiedere come mai, nonostante l’esposizione di tutta la squadra, sia emerso proprio Ivan sul mercato. Questa ineguaglianza in Italia è vista male, ma la differenza tra giocatori è già di per sé definita a livello di ingaggio. Ivan Zaytsev è sempre stato un personaggio, a volte elogiato, a volte discusso: prima perché era figlio di Zaytsev, poi, perché doveva dimostrare di essere italiano, e infine per quella fantastica serie di battute. Ma a lui piace solo vincere…”.

Come si rapporta il mondo istituzionale del Volley con lui?
“Il movimento dovrebbe supportare un suo personaggio. Ivan è riuscito a uscire dal mondo chiuso della pallavolo. È nato in un dato momento e in un determinato contesto “social”. Ma quando lui ottiene visibilità, è un fatto che va a vantaggio di tutta la pallavolo, e di questo spesso non si parla. È più facile dire che la moglie dello Zar gli faccia guadagnare numerosi soldi…”.

In virtù della controversa vicenda di quest’estate, vi siete sentiti soli?
“No, anzi sono molto felice di dire che abbiamo ricevuto numerosi attestati di stima da parte del mondo sportivo, e non. Molte persone si sono addirittura domandate come fosse stato possibile quello che è successo. Ci è dispiaciuto che nel mondo della pallavolo non sia stato dato a Ivan il beneficio del dubbio. Noi abbiamo scelto la linea del silenzio perché erano mesi che ci confrontavamo con la Federazione. Abbiamo parlato una sola volta a Sky volontariamente con una intervista video, in modo che tutti potessero vedere la faccia di Ivan Zaytsev, e nessuno potesse modificare ogni sua virgola”.

Qual è stato il suo delicato ruolo?
“Quello di mantenerlo calmo, nonostante dovessi pensare anche alla mia gravidanza. Ivan era a casa per la prima volta, ed era molto nervoso in quanto la sua situazione tra partenze, ritorni e colloqui era davvero mutevole. Lui questa situazione l’ha vissuta molto male, ma si è fidato di me e si è lasciato aiutare anche emotivamente. Non l’ho mai visto così combattivo, rassegnato e deluso allo stesso tempo”.

E’ stata una vicenda mediatica enorme…
“A mio avviso, a prescindere dai torti e dalle ragioni, dai divieti e dalle gerarchie, è venuto a mancare l’ascolto. Non c’è stato un dialogo vero, è questo che non capisco, probabilmente perché vengo dalla carriera diplomatica. Se ci avessero ascoltato, e creduto al fatto che il problema di Ivan fosse medico – funzionale, contando che nella sua esperienza in Nazionale ha avuto numerosissimi fastidi alle caviglie, il problema lo avremmo evitato. Come ha già detto Ivan, non è mai stato un problema di sponsor, il contratto con Adidas gliel’ho fatto io. Le regole sono regole, giuste o sbagliate che siano, io personalmente sono per la liberalizzazione dello strumento di lavoro, come la calzatura, in ambito sportivo”.

Stagione iniziata: con il successo in Supercoppa, crede che Ivan si sia preso una rivincita?
“Non una vera rivincita, ma ha vissuto la vittoria in Supercoppa come qualcosa che meritava veramente. Ivan ha in testa solo la vittoria: per lui un argento rimane un oro perso, e sempre lo sarà…”.

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