La testimonianza di Elisa, pallavolista e infermiera: "È come giocare solo match point"

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Di Eugenio Peralta

Da quando aveva 9 anni ha sempre giocato a pallavolo, arrivando fino alla serie D lombarda come centrale, con le maglie di Bovisio MasciagoSenago. Poi un problema fisico e, soprattutto, l’impegno necessario per gli studi l’hanno costretta ad allontanarsi dai campi; ma al primo amore non ha mai rinunciato, ed è di un paio di anni fa l’ultima esperienza in Terza Divisione a Bollate. Oggi Elisa Roncaglia ha 28 anni, è infermiera di Pronto Soccorso in un ospedale della provincia di Milano, e insieme a molti colleghi sta combattendo la partita più difficile della sua carriera: quella contro l’epidemia di coronavirus Covid-19.

Una battaglia che Elisa, da sportiva doc, non può che raccontare con un paragone suggestivo: “Quando giochi a pallavolo, con un po’ di esperienza, in campo certe azioni le riesci a prevedere, e dopo diverse volte che l’avversario ti fa punto allo stesso modo riesci a coprire i buchi. Qua invece no. Puoi anche essere l’infermiere più esperto della squadra, ma certi andamenti non li puoi prevedere, e anche quando ci riesci non li puoi fermare. Contro il Covid-19 sembra di giocare continuamente il match point: 26-27, 28-29, 35-35… non sono mai andata avanti così tanto ai vantaggi, chissà quanto ci vorrà per chiudere la partita“.

Quella descritta dall’ex giocatrice è una situazione seria, che mette il personale sanitario di fronte a uno stress non indifferente: “Le cose si evolvono alla velocità della luce, a volte ti sembra di fare tantissimo e ottenere pochi risultati: c’è un senso di impotenza ed è una condizione a cui non eravamo assolutamente preparati psicologicamente. Mi è anche capitato di arrivare a casa e avere crisi di pianto, ma ho rinunciato a parlarne con chi sta fuori perché è troppo difficile far capire cosa proviamo“.

Elisa, poi, il problema l’ha vissuto anche dalla parte dei pazienti: “Ho avuto un parente ricoverato in ospedale, che per fortuna è risultato negativo ma si è dovuto sottoporre a tutta la procedura anti-Covid. Il fatto di non poterlo più vedere e dover rimanere lontano da lui è stato terribile, e da quel momento la mia sensibilità è sicuramente aumentata“.

Per il momento i turni di lavoro non sono cresciuti, ma i carichi sono comunque molto pesanti: il suo pronto soccorso è ormai quasi interamente dedicato alla lotta contro il virus, con un solo medico a ricevere tutti gli altri pazienti. Elisa, però, non ha paura della malattia: “Sinceramente ci penso poco, la preoccupazione semmai è di poter infettare le persone che ho accanto“. Quello che conta è invece la collaborazione, un altro concetto legato al mondo dello sport: “Ora più che mai emerge l’importanza del gioco di squadra. Come in campo, se uno crolla i compagni devono essere bravi a farlo riemergere, altrimenti si perde! E in questo stato di emergenza l’idea di squadra, anche al lavoro, si sta facendo più viva che mai“.

Di fronte a queste emozioni forti, spesso commoventi anche per chi le racconta, il sacrificio di restare a casa per contenere il contagio appare qualcosa di molto più piccolo. Anche per chi, come i pallavolisti, è abituato ad allenarsi sempre e comunque: “Mi viene in mente quando da piccola i miei mi sgridavano – sorride Elisa – perché palleggiavo contro l’armadio della mia cameretta, non potendo andare tutti i giorni in palestra. Il messaggio che vorrei dare è uno solo: sopportate adesso, allenandovi a casa, per tornare a giocare con ancora più forza dopo, e magari dedicare un torneo a chi si è impegnato per superare questa emergenza!“.

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