Kamil Rychlicki: “L’Italia mi ha cambiato. La nazionale? Mi piacerebbe…”

DATA PUBBLICAZIONE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti
SHARE
Foto Sir Safety Perugia
SHARE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti

Di Roberto Zucca

Il modo di porsi e l’essenza di sé, nello sport, racconta molto dei propri protagonisti. Nel caso di Kamil Rychlicki, le parole profetiche arrivarono da un suo ex compagno di squadra e amico, Jacopo Larizza, che disse di lui che il successo e la popolarità non lo hanno cambiato nemmeno di una virgola. Kamil è oggi uno dei volti più noti della Sir Safety Susa Perugia dei record, nonché del campionato italiano in generale. Ed è condivisibile il giudizio espresso non solo da Larizza, ossia che il forte opposto, da qualche giorno italiano, sia lo stesso degli esordi lussemburghesi:

È lodevole ciò che è stato detto da Jacopo, e mi fa piacere se traspare questo. Probabilmente essere cresciuto in una famiglia di pallavolisti ha fatto sì che respirassi quest’aria da subito e che quindi l’arrivo di questa popolarità, come lei l’ha definita, ha fatto sì che continuassi ad essere ciò che sono sempre stato, ossia un ragazzo che da giovane sognava di essere un pallavolista professionista e di arrivare lontano“.

Foto Sir Safety Perugia

Cosa è rimasto di quel Kamil cresciuto in Lussemburgo, e arrivato in Italia dal Maaseik?

Bella domanda. Ci ragiono assieme a lei, e le dico che probabilmente adesso sono tornato ad essere quel Kamil che gioca a pallavolo per amore e per divertimento. Durante la costruzione di un sogno, credo ci sia un momento in cui si affronta la pesantezza che esso porta con sé, ossia le responsabilità, la pressione, il pensare di dovercela fare. Ora che il mio sogno di giocare in Italia, di diventare un professionista della pallavolo si è avverato, affronto tutto con più serenità. Esattamente come quando ho iniziato“.

È diventato italiano da qualche giorno. In cosa si sente più italiano?

Questo paese, che è casa mia da cinque anni, mi ha dato la possibilità di aprirmi, di investire nei rapporti umani e nelle relazioni. Dell’Italia ho sempre amato il modo di dimostrare apertura e di essere accoglienti anche con chi non si conosce. Sin dai primi giorni trascorsi in questo Paese, mi sono trovato a dover superare la mia apparente freddezza, che in realtà era anche la timidezza di essere nuovo, di non conoscere bene la vostra lingua, ma ho trovato di fronte a me la bontà d’animo e la disponibilità delle persone. Questo mi ha cambiato“.

Foto Sir Safety Perugia

Non mi deluda e mi confessi che è anche diventato bravo a cucinare le pietanze italiane.

“(ride n.d.r.) Cucino poco, ma mangio tanto! All’aspetto legato al cibo pensa più la mia ragazza, che è decisamente più brava di me. Devo però ammettere che sulla cottura della pasta sono decisamente migliorato, ed ora so anche preparare una buona carbonara“.

Veniamo alla curiosità di tutti: alla nazionale italiana ci pensa? Immagino abbia letto le parole di De Giorgi.

Sì, ho letto. Ha ragione sul fatto che non sono ancora eleggibile per poter giocare con la maglia azzurra. Se è un discorso che mi interessa? Diciamo che è un sogno di ogni atleta far parte della nazionale. Quindi ci ho pensato, mi piacerebbe. Anche se adesso la mia priorità è pensare a Perugia“.

Foto Sir Safety Perugia

Perugia. Un anno per ora da record.

“(ride, n.d.r.) Non ci pensiamo troppo e non parliamone troppo di questi record, altrimenti qualcuno ci può gufare. Comunque sì, la stagione si è aperta nel migliore dei modi e nelle scorse settimane è arrivato anche il titolo Mondiale, che è stata davvero una grande soddisfazione. Siamo soddisfattissimi, è chiaro, ma chiunque abbia esperienza in questo sa anche che le stagioni possono essere riscritte con i playoff. Non bisogna cullarsi sui successi e andare avanti“.

Quali sono le ragioni del successo di Perugia?

La serenità con cui giochiamo. Funzioniamo, ci piace giocare assieme. Siamo una squadra ampia, non fatta solo da chi scende in campo ma anche da chi non parte titolare. Mi piace l’atmosfera che c’è in questa società, non solo quella che circonda noi compagni di squadra ma anche nello staff che lavora con noi tutti i giorni“.

E poi il gioco che esprimete.

Abbiamo tante opzioni in attacco, siamo vari e variegati. È bello far parte di questo gruppo, mi creda. Vogliamo e dobbiamo continuare così“.

CONDIVIDI SUI SOCIAL

Facebook

ULTIMI

ARTICOLI


Simone Tiberti esclusivo: “Mi sa che… non sono ancora pronto per smettere di giocare”

Sale in Zucca

Tra le teche di Youtube e sfortunatamente non in quelle Rai, c’è un’intervista di Roberto Pomiato, giornalista dell’allora Pallavolo Padova ad un giovanissimo, capellone, e quasi biondo Simone Tiberti, con un atteggiamento a metà tra il tennista di talento col ciuffo d’ordinanza e il serioso regista che ha sempre interpretato. Da quella serata in cui Padova riuscì a battere la mitologica Quasar Massa sono passati quindici anni. Il tempo va, passano le ore e citazioni a parte, la storia di Simone e del me più narcisista e indiretto protagonista della pallavolo, dice che nelle stagioni a venire è per me stata una grande fortuna crescere con un riferimento come Tiberti, che a 45 anni costituisce ancora un patrimonio di mani e intelligenza della serie A2. Sempre le teche, ma stavolta del canale della Atlantide Pallavolo Brescia, riportano un non troppo silenzioso addio di Tiberti, dopo dieci lunghi anni trascorsi in questa società, ai tucani. Anche in questo caso, sempre facendo riferimento al mio nevrotico narcisismo e anche un po’ alla mia tigna, riascolto l’intervista, leggo qualche sito che parla di un suo addio alla pallavolo e poi faccio quello che per difetto ho già fatto con alcuni suoi amici in passato: alzo il telefono, tallono Tiberti e gli scrivo di ripensarci. 

Viviamo in un’epoca pallavolistica in cui chi ha fatto parte degli esordi della mia generazione comincia a pensare ad altre vite, ai secondi tempi, alla conseguenza del fatto che se hai passato le tue domeniche negli ultimi 25 anni in pullman, in trasferta, a circumnavigare l’Italia, ma soprattutto a ricevere applausi e fischi, abbracci e critiche, ma soprattutto ad essere Tiberti, non possiamo abituarci a dover fare a meno di te in questo ambiente. Soprattutto se, in barba all’anagrafica che ci dice che l’età è solo un numero e che tu hai le stesse mani di quando ne avevi venti, la stessa visione di quando vestivi Gabeca, Vero Volley, Fidia Padova, e la stessa rabbia agonistica che non ti ha abbandonato anche questa stagione, quando hai messo su un gioco meraviglioso con la Gruppo Consoli Sferc Brescia, giocando tre finali su tre (campionato, Coppa Italia e Supercoppa Italiana) e vincendone una, ma splendendo nelle restanti due.

Non è più un’intervista, forse, e mi scuso con voi lettori. È la storia di un convincimento, di una telefonata che porta delle risposte e che dopo oltre 30 minuti mi fa dire che voglio ancora Simone con me, che sia per un’intervista con Volleynews, che sia solo per commentare su whatsapp una sua giocata.

foto @zanardelli_ph

Sono giorni duri, Tiberti, lo so.

“Sono in una montagna russa di emozioni. Dopo dieci anni a Brescia, si è conclusa la mia storia con questa bellissima società. Avrei voluto concluderla con un triplete o quantomeno con la conquista della Superlega che invece è andata meritatamente a Cuneo. Non ho giocato la stagione, pensando che fosse l’ultima, ma sapendo che avremo potuto raggiungere tanti bei traguardi. Abbiamo conquistato la Coppa Italia, mentre resta l’amaro in bocca per la Supercoppa, dove la differenza l’hanno fatta la battuta e la ricezione, che invece Cuneo ha sfruttato, giocando da prima della classe. Poi c’è stata la dichiarazione sulla mia ultima partita a Brescia, ed ora il turbinio che provo è quello di chi vuole fare tante cose, ma di chi ha ancora la testa sul campo”.

È la prima volta che intervisto una persona in un momento così complicato. Mi spiego, solitamente si ha la sensazione di voler smettere, penso a tanti suoi colleghi, o di voler fare altro. Quando ho ascoltato le sue dichiarazioni, mi è sembrato che lei volesse che fossimo noi a darle il congedo.

“Sicuramente ho capito che dopo dieci anni la mia storia di palleggiatore a Brescia in A2 può considerarsi conclusa. Questo significa che a questa società e anche a Zambonardi, con cui ho lavorato in tutti questi anni, resto legato, e mi piacerebbe essere coinvolto nel loro percorso, ma in un altro ruolo”.

Foto Lega Volley Maschile

Disposto a dare una mano. Mi prendo io la responsabilità di ciò che scrivo. Lei è una pietra miliare di questo club.

“La ringrazio, e spero che si possa continuare a ragionare assieme, così come posso dire che sono aperto a collaborare in generale con questo mondo. Lo conosco, con tutte le società di cui ho fatto parte mi sono lasciato in ottimi rapporti, penso anche a Monza dove ho giocato tre bellissime stagioni. Ho dei progetti, perché a 45 anni non puoi sperare di restare in campo fino ai 60, però nel mondo della pallavolo vorrei restarci davvero”.

Pistola alla tempia. Se Brescia avesse vinto la Superlega, lei non avrebbe appeso le scarpette.

“Sarei falso se dicessi di sì. Da secondo, avrei voluto rivivere un ultimo anno in Superlega, lo ammetto. Sto bene fisicamente, perché non cogliere un’opportunità così?”

C’è un pizzico di delusione. Mi dica la verità, lasciare in un punto alto era un suo desiderio?

“Sì, non vorrei essere portato via come se fossi un bagaglio ingombrante, o finire a giocare da qualsiasi parte pur di dire di esserci ancora. È stata una stagione in cui ho dato molto e nella quale io e Sottile, che ha annunciato il suo addio a 46 anni, abbiamo dimostrato che si può ancora fare delle belle stagioni, cercando di lasciare qualcosa anche ai più giovani. Mi piacerebbe proseguire nel lavoro con molti di quelli che ho incontrato in questi anni”.

foto Instagram @simonetiberti

Non siamo pronti a vederla con le scarpe appese al chiodo, lo capisce.

“(ride n.d.r.) Ma forse nemmeno io, anche la mia compagna mi dice che se non sono pronto, è giusto che continui. Poi una parte di me pensa che dedicarsi ai bimbi o a lei a tempo pieno o semplicemente avendo molto più tempo libero, è la cosa più giusta da fare”.

Facciamo così. Mi lascia scrivere che lei ha il telefono acceso ed è pronto ad ascoltare chiunque voglia offrirle un progetto?

“Lo scriva, va bene. In fondo è una storia di cui anche io voglio scrivere ancora delle pagine”.

Di Roberto Zucca
(©Riproduzione riservata)