“La squadra che sogna”, il libro di Giuseppe Pastore sull’Italia di Velasco

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Di Redazione

Il lungo periodo di isolamento e di stop alla pallavolo giocata è stato anche un’occasione per guardarsi indietro, tra amarcord, repliche tv e vecchi articoli di giornale. Periodo propizio anche per i libri di storia del volley, e in particolare per la Generazione di Fenomeni: quasi in contemporanea con l’opera autobiografica di Claudio Galli, da giovedì 14 maggio è in libreria anche “La squadra che sogna. Storia dell’Italia di Velasco” di Giuseppe Pastore, pubblicato dall’editore indipendente 66th and 2nd.

Un libro per certi versi sorprendente come lo fu l’improvvisa ascesa di quel gruppo fenomenale. Giuseppe Pastore, infatti, non è un protagonista né un cronista dell’epoca, ma un giovane giornalista classe 1985 (lavora per La Gazzetta dello Sport, Esquire e L’Ultimo Uomo) che, forse proprio per questo, ha ricostruito con occhio distaccato e minuzioso l’avventura della nazionale che vinse tutto. Bernardi, Cantagalli, Gardini, Giani, Lucchetta, Papi, Tofoli, Zorzi: ci sono tutti i protagonisti di quegli otto anni. Il libro, infatti, si ferma al 1996, l’anno di quella “maledetta” finale di Atlanta che segna la fine del ciclo di una squadra “troppo forte” per raggiungere il massimo obiettivo.

Il libro di Pastore è stato recensito in questi giorni da numerose testate: Valentina Desalvo su Il Venerdì lo ha ripercorso con le parole di Velasco, il protagonista numero uno (“Non ho più rivisto quelle partite“). Il Foglio, invece, si è affidato alle parole di Mauro Berruto. L’ex CT azzurro ha commentato da par suo, ricordando i tempi in cui partecipava da spettatore agli allenamenti dei Fenomeni: “Era il clima, la cultura che si stava generando, il senso di grandezza e di volontà di andare a conquistare il mondo, quello che si respirava. (…) Per essere onesti intellettualmente, Velasco è stata la fortuna di quel gruppo di giocatori, proprio come quel gruppo di giocatori è stata la fortuna di Velasco. Quel circolo virtuoso che si è innescato, forse irripetibile, ha generato un effetto che si potrebbe definire win-win-win. Ne hanno trovato giovamento i singoli, la squadra e lo sport intero“.

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