Sponsorizzazioni sportive, niente più analisi di congruità dei costi sotto soglia

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Di Redazione

La Sentenza n. 1281/2017 del CTR dell’Emilia Romagna, sez. XI, in linea con quanto già statuito in una precedente ed analoga controversia (cfr. CTR n. 133/2017), e sulla scia di un ormai pacifico orientamento della Cassazione (cfr. Cass. 8981/2017Cass. 7202/2017Cass. 5720/2016), conferma come dal comma 8 dell’art. 90 della Legge n. 289/2002 derivi una presunzione assoluta di inerenza delle spese di sponsorizzazione rispetto all’attività dello sponsor e del soggetto sponsorizzato, che non sia quindi necessaria un’analisi di congruità di tali spese rispetto agli utili, purché non venga superato il limite dell’importo annuo di 400.000 Euro (al momento in cui è sorta la controversia il limite era di 200.000 Euro).

La norma citata costituisce una disciplina di favor per le associazioni sportive dilettantistiche, essa infatti consente di dedurre totalmente le spese di sponsorizzazione loro rivolte, ai sensi dell’art. 74, comma 2, del TUIR, incoraggiando corresponsioni di denaro da parte degli sponsor, purché queste rientrino nel limite massimo di spesa di 400.000 Euro.

La fruizione dell’agevolazione in esame è comunque subordinata alla sussistenza di due condizioni: i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima.

Il fatto oggetto della pronuncia traeva origine da un accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate ad un contribuente, a cui veniva contestato, per difetto di inerenza, l’eccessivo ammontare della spesa pubblicitaria, essendo questa superiore al 20% dell’utile di bilancio.

Avverso tale accertamento, il contribuente, argomentando che l’importo annuo indicato dall’art. 90 della Legge n. 289/2002 era stato rispettato e questa norma non richiedeva una valutazione di proporzionalità, ricorreva al CTP di Bologna, che però rigettava il ricorso.

Quindi il ricorrente impugnava la pronuncia dinanzi al CTR dell’Emilia Romagna.

La Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello del Ricorrente osservando che, ai fini dell’applicazione del comma 8, art. 90 della Legge n. 289/2002, non occorre alcuna valutazione di congruità dei costi rispetto al volume d’affari ed all’oggetto sociale, ponendo la citata norma una “presunzione assoluta oltre che della natura di spesa pubblicitaria, altresì di inerenza della spesa fino alla soglia, normativamente prefissata” (Cass. 8981/2017, Cass. 7202/2017, Cass. 5720/2016).

In tale contesto, a giudizio della CTR, seguendo il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate si potrebbe pervenire ad un risultato ancora più paradossale: nel momento in cui la spesa è sostenuta dallo sponsor l’utile annuo non può essere dallo stesso ancora conosciuto, con la conseguenza che, laddove si aderisse alla tesi dell’Ufficio, il contribuente non sarebbe neppure nella condizione di conoscere il limite di spesa per la sponsorizzazione.

Il CTR osserva inoltre che, anche qualora si volesse parametrare la ragionevolezza e la proporzionalità di una spesa pubblicitaria rispetto ad un valore contabile, esso non potrebbe essere certamente l’utile, bensì il ricavo, essendo pacifico che, in termini gestionali, le spese debbano essere confrontate coi ricavi.

Più in generale, sulla base del dato testuale della norma in esame, la Giurisprudenza non può che limitarsi a prendere atto del limite di spesa di 400.000 euro ivi contemplato, emancipato da qualsivoglia ulteriore elemento valutativo.

Con tutta probabilità, in ogni caso, la lettura data dall’Agenzia delle Entrate era orientata ad evitare abusi rispetto ad un dato testuale della norma, probabilmente troppo aprioristico secondo l’attuale formulazione.

(Fonte: altalex.com)

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