“Palla al centro” di Paolo Cozzi – 20 giugno 2017

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Di Paolo Cozzi*

World League, il lavoro rimarrà sempre la miglior medicina.
Premessa, da fuori sono bravi tutti a parlare, ed è anche molto facile fare il “tiro al piccione” stando seduti sul divano. Non mi piace parlare “male” di persone che conosco e che stimo: cercherò dunque di fare un’analisi oggettiva in base alla mia esperienza. Ai ragazzi che hanno appena terminato la World League posso solo dire di stare sereni, continuare a sudare e lavorare in palestra serenamente, che il lavoro è sempre la miglior medicina possibile. La strada per l’Europeo è ancora lunga, da costruire giorno dopo giorno.

Si è appena conclusa, in maniera tragica (sportivamente parlando), la World League per la nostra Italia. Due sconfitte secche con le poco considerate Belgio e Canada, e una vittoria di misura su una Francia 2 che sembrava a volte una Francia 3…
Ultimi per la prima volta in quasi trenta anni di competizione, con due vittorie e sette sconfitte. Sono numeri che d’improvviso gettano parecchie ombre sul futuro del volley italiano (“Mamma Rai” ne ha subito approfittato per togliere le dirette delle partite), se non si è pronti a guardarsi dentro con serenità ma anche con criticità per provare a uscire dalle sabbie mobili di un lento oblio internazionale.

Per prima cosa: inutile parlare delle assenze,  i “se e i ma”! Un certo Julio Velasco ha creato una generazione di Vincenti proprio cancellando dal vocabolario queste parole,  buone solo per chi non ha il coraggio di cercare le cause di una sconfitta alla radice.
Molti si appellano all’assenza di Juantorena. Tuttavia il problema non è la sua assenza ma il fatto che gli sia stato concesso di giocare solo alle Olimpiadi. Mi spiego, la nazionale è sudore e sacrificio: non si può rispondere presente solo nei grandi appuntamenti (e la colpa non è di Osmany, in quanto glielo hanno concesso e lui giustamente ne ha approfittato..).
Molti altri fanno appello all’assenza dello Zar, invece. Diciamo che certi giocatori del recente passato (Giani, Papi e Sartoretti) non si sarebbero mai sognati di saltare una estate Internazionale. Ma attenzione,  anche qui bisogna vedere che accordi ci fossero tra giocatore e staff, ma uno come Zaytzev deve essere parte del gruppo, magari gestito con meno trasferte e un po di tempo per il recupero….

Qui il problema è un altro: in nazionale hanno giocato i migliori del campionato, e tra di loro non c’è nessun giovane. Non è colpa di Botto o Antonov se dietro di loro non c’è nessuno, o se Randazzo non ha continuità. Il loro compito lo hanno fatto, ma è alla base che bisogna guardare e chiedersi perché i vari Parodi, Martino(tecnicamente parlando) e Cernic non vengano più prodotti dai nostri vivai. Chiedersi se non si è andati troppo al risparmio soprattutto nei due campionati di serie A, se non si siano perse troppe conoscenze acquisite per risparmiare sugli staff delle squadre.

Tornando alla World League, non mi è piaciuta la gestione dei giovani in questo ultimo week end: togliere Ricci ad esempio per inserire un 35 enne e perdere lo stesso? Forse conveniva lasciare il giovane e fargli fare esperienza. So che è difficile accettare una Italia “under-construction”, perché l’Italia “deve” sempre vincere, senza se e senza ma, però una volta fuori dai giochi forse sarebbe stato meglio sfruttare le ultime partite per crescere piuttosto che naufragare sonoramente.

Analizzando in profondità la situazione giovani, credo che il blocco delle retrocessioni in Superlega da un lato abbia dato la possibilità alle società di sanare i bilanci e programmare (si spera) il futuro, dall’altro ha però invogliato le stesse a puntare sui giovani per il loro costo irrisorio, e non per scelta voluta. Ogni anno tanti, troppi ragazzi non pronti alla serie A vengono inseriti nei roster solo per fare numero e questo porta inevitabilmente ad un abbassamento del tasso tecnico in allenamento, gonfiando i numeri dei giovani in serie A, e illudendosi di avere un movimento sano e florido. Ma quanti di questi giovani dopo un anno di panchina fissa trovano posto in serie A o in A2?
Un’altra scelta che non mi ha mai convinto, e che finalmente è statarimossa, è quella degli over 35 limitati nei roster.
Essere vecchi non vuol dire per forza togliere il posto ai giovani, tenendo a mente che lo sport è meritocrazia. In campo deve andare il più forte, chi si allena meglio, senza fare distinzione in base alla carta d’identità. Se Fei a 40 anni merita di stare in campo, è giusto che ci stia. Non può essere pensionato solo per mettere un giovane che chiaramente costa meno.
E così purtroppo è successo a tanti della mia generazione che, impossibilitati a svendersi come i giovani, hanno deciso di smettere o di andare a giocare in serie minori vicino a casa, lasciando un vuoto incolmabile a mio parere. Questo perché i giocatori esperti servono da esempio per i giovani, servono a stimolarli e a dargli un target a cui mirare. Io senza uomini come Held, Milinkovic, Giani e Meoni, con cui ho giocato e da cui ho imparato, sarei stato un pallavolista molto meno completo, e sicuramente molto più grezzo non solo tecnicamente, ma anche nell’approccio al concetto stesso di pallavolista.
In questi giorni si parla molto della scelta di liberalizzare il numero degli stranieri in campionato: pur essendo un percorso rischioso mi trovo d’accordo, in quanto non è schierando obbligatoriamente italiani che per forza si cresce, ma alzando il livello tecnico tattico nell’ambiente in cui affrontano la realtà sportiva.
Anche qui ci sono alcuni contro, naturalmente. Per esempio metterei un veto agli U23 stranieri e inserirei un minimo salariale per i giocatori di Superlega, poichè ci sono stranieri che vengono in Italia quasi a gratis (meno di 1000 euro al mese) pur di mettersi in vetrina: in questo caso sì, togliendo spazio ai giovani italiani.
Insomma, gli argomenti su cui discutere sono tanti e dalle molteplici vie, ma l’importante è non fare gli struzzi e nascondere la testa sotto la sabbia. Bisogna avere il coraggio di affrontare un confronto a 360 gradi allo scopo di riportare la nazionale sul gradino più alto del podio al più presto!!

Paolo Cozzi, a 35 anni, ha da poco chiuso la sua carriera di atleta nella quale ha vestito la maglia della Nazionale italiana ben 107 volte e quella dei club più importanti in serie A1 come Milano, Modena, Cuneo, Piacenza, Vibo Valentia, Taranto, Castellana Grotte, San Giustino e Monza.

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