Una svolta per la tutela della maternità delle atlete?

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Di Redazione

Forse, finalmente, una svolta. Un contributo di due milioni di euro previsto nella nuova Legge di Bilancio per la tutela della maternità delle atlete. La conferenza stampa di ieri, presso la Camera dei Deputati, ha portato sempre di più alla luce una esigenza a cui occorre dare un concreto sviluppo. L’importanza di farsi promotori di un atto sociale e di rispetto nei confronti delle atlete e donne italiane: restituire il concetto di maternità come valore sociale ma soprattutto una libera scelta a tutte coloro vogliano proseguire nella loro carriera sportiva. E’ di questo, in sintesi, che si è parlato nell’incontro organizzato a Roma e che ha visto la partecipazione delle Onorevoli Laura Coccia, Titti Di Salvo e Daniela Sbrollini con l’obiettivo di creare un fondo per la maternità della atlete, finalizzato a sostenere il potenziamento del movimento sportivo italiano.

Come riportato nell’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport e de Il Corriere dello Sport, le atlete in Italia, fino ad oggi, con la Legge 91/1981, sono considerate formalmente e giuridicamente “dilettanti“. Uno status che impedisce loro di accedere alla legge sul professionismo sportivo che potrebbe tutelarle, invece, come lavoratrici: con la pesante conseguenza che questo ricade sui diritti di chi, durante la sua carriera sportiva, si ritrova ad avere un figlio. Creando, all’interno della Legge di Bilancio 2018, questo nuovo importante contributo si sostiene il fondamentale diritto alla maternità delle atlete non professioniste.

Il Presidente della Lega Volley Femminile Mauro Fabris, presente al dibattito insieme alla Responsabile del settore feinminile della Assocalciatori, Katia Serra, e alla Presidente di Assist, Associazione Nazionale Atlete, Luisa Rizzitelli, ha dichiarato:
Teniamo molto alla questione ed avvertiamo la necessità di fatti molto concreti come questo. C’è però ancora molto da fare. Per quanto ci riguarda dobbiamo metter mano alla legge 91: bisogna avere il riconoscimento che si tratta di un lavoro come altri oppure non ne usciremo mai».

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