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L’indagine StageUp sui marchi di Superlega: “I tifosi sono il vero valore dei club”

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Di Eugenio Peralta

Nei giorni scorsi la Lega Pallavolo Serie A ha pubblicato l’estratto di una ricerca che stimava in oltre 10 milioni di euro il valore dei marchi dei club di Superlega maschile, in base a un’analisi riferita alla stagione 2020-2021. Ma su quali basi è stata calcolata questa cifra? Per capirlo meglio abbiamo intervistato Giovanni Palazzi, noto manager e imprenditore sportivo e consigliere delegato di StageUp, la società di consulenza strategica che ha realizzato l’indagine.

Innanzitutto, come si fa a stimare il valore di un marchio?

Esistono due strade: una finanziaria, che prevede l’analisi dei conti delle società, ma anche dei budget, per capire come il marchio influisce sui risultati economici. La seconda è quella dei ‘comparabili’: utilizzare per la valutazione altri benchmark, nel caso specifico il seguito dei tifosi, che ci è sembrato il legame più tangibile tra un marchio e il proprio club“.

Perché proprio il pubblico è l’elemento centrale della vostra ricerca?

Specifichiamo che parliamo di fan che seguono la squadra in modo continuativo, non di chi si interessa solo di tanto in tanto. Ecco, questi tifosi costituiscono il vero valore di un club, perché sono soggetti a cui è possibile vendere prodotti e servizi per tutto l’arco della stagione. Il pubblico è un minimo comun denominatore che accomuna tutte le squadre“.

Ma in che modo viene calcolato il numero dei tifosi?

StageUp vanta una joint venture ormai ventennale con Ipsos, società leader mondiale nei servizi di ricerca, con cui realizza ogni anno lo studio ‘Sponsor Value’: potremmo definirlo una sorta di auditel sportivo sul mercato nazionale, ma anche internazionale. In collegamento con questa ricerca, dal 2006 analizziamo i bacini del tifo di tutti i club di Serie A di calcio, basket e volley maschile. Naturalmente non ci basiamo soltanto sul tifo dichiarato dall’intervistato, ma anche sulle sue modalità di consumo, cercando di definire se il seguito è regolare o occasionale, e se ci sono le potenzialità per un comportamento di acquisto“.

Non c’è il pericolo che il numero dei tifosi sia sottostimato, viste le restrizioni anti-Covid che hanno privato a lungo le squadre del loro pubblico?

No, perché queste indagini si basano su una media mobile: il bacino dei tifosi non cambia dalla mattina alla sera, è un lavoro di anni derivato da numerose ricerche demoscopiche. In particolare, in questa ricerca ci siamo basati sui risultati di 2 ‘wave’ di ricerca all’anno nel corso delle ultime tre stagioni“.

E dal numero di tifosi come si risale al valore del marchio?

Semplificando al massimo, si tratta di definire un valore del singolo fan, da applicare poi a tutte le società. Esistono già diversi osservatori che pubblicano ricerche stimando il valore dei brand in ambito sportivo: naturalmente nel nostro caso bisogna definire un modello diverso da quello del calcio, tutto deve essere proporzionato“.

La visibilità mediatica della pallavolo, sicuramente accresciuta dalle ultime imprese delle nazionali, può avere un influsso sul valore dei marchi?

Non direttamente. Nel nostro studio teniamo conto soprattutto della possibilità, da parte del singolo e delle aziende, di acquistare prodotti e servizi in base a una relazione diretta tra il club e il consumatore. Poi è chiaro che la visibilità favorisce i rapporti con nuovi sponsor e la possibilità di avere più spettatori con cui stabilire una fidelizzazione“.

Ultima curiosità: il fatto che il marchio di alcune squadre, come Lube o Tonno Callipo, coincida con brand già noti sul mercato può influire nella ricerca?

Ritengo di no, perché la nostra indagine non è rivolta al grande pubblico, ma a persone già interessate a questo sport, e si propone di stimare il valore del marchio solo a livello sportivo. Semmai è il marchio dell’azienda madre a poter trarre vantaggio (o svantaggio…) dalla visibilità nella pallavolo. Diciamo che in questo campo le teorie di marketing sono molto cambiate: 15-20 anni fa si andava verso un posizionamento univoco del marchio, oggi nella direzione opposta, basti pensare a casi come quelli di Amazon o Virgin“.

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