#LeHaDavveroFattoLoSgambetto? Lo “scandalo” americano degli sgambetti nel volley

DATA PUBBLICAZIONE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti
SHARE
SHARE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti

Di Stefano Benzi

Ammetto di aver scritto tanto e tante volte su argomenti davvero strani e a volte, con il passare degli anni, forse anche per via del fatto che ci sono sempre meno cose davvero intriganti, si vanno a cercare quelle più impensabili. Ma una roba così, sono onesto, non l’avevo mai letta. E dunque ve la scrivo.

Università del Wisconsin, un’ottima realtà che crea pallavolo ed eccellenti giocatrici: la squadra è quella delle Badgers… Il badger è una sorta di piccolo tasso dal musetto simpatico che è tipico delle vallate che contornano Madison, meravigliosa cittadina universitaria che si affaccia sulle acque del Lago Mendota, non lontana da Milwaukee.

Quella di Madison è una facoltà davvero importante; oltre 50mila studenti suddivisi in più di cento corsi. La percentuale di laureati è dell’84%, discretamente alta, ma quella di ammissione è del 50%. Insomma, non si entra qui solo pagando.

Il livello dei programmi sportivi è davvero di eccellenza: nel football si sono vinti tre Rose Bowl, nel basket la squadra arriva quasi sempre alla fase finale pur senza vincere mentre l’orgoglio generale è la rappresentativa di hockey su ghiaccio. Le squadre di pallavolo non hanno una tradizione straordinaria ma a livello femminile Wisconsin è cresciuta discretamente negli ultimi anni. Anche se stavolta fa notizia per un “tripping scandal”. E qui bisogna spiegare.

Dare un trip a qualcuno significa fare uno sgambetto: uno scherzo apparentemente innocente, un po’ stupido ma che comporta comunque dei rischi. È uno degli scherzi più classici che sophomore – gli iscritti al secondo anno – e anziani fanno alle matricole: i freshmen, o rookies. Nelle università americane dove regna la goliardia e all’interno delle quali qualsiasi scherzo che non sia razzista o prevaricatore è considerato un semplice peccato veniale, quella del tripping è una normalità. Parliamo di un mondo completamente diverso dal nostro: ci sono i dormitori, le confraternite caratterizzate dalle sigle in lettere greche. Ci sono le iniziazioni e un’infinità di tradizioni che hanno più storia della stessa facoltà. In Italia queste cose non esistono. Forse in qualche sporadico caso…

La goliardia pretende tributi continui. Entri in aula? Sgambetto. Vai in bagno? Sgambetto. Esci con la fidanzata mentre stai scendendo le scale del tuo dormitorio? Sgambetto, e ti allunghi come un idiota sul cemento. Un altro scherzo che va per la maggiore è lo “shoeshot”: rubare le scarpe dei compagni di corso, legarle tra loro e spararle sugli alberi, sui tetti o addirittura sopra le antenne della tv. Poi c’è il “nailed”: aspettare che un compagno di corso sia in piacevole compagnia nella sua stanza e paralizzargli la porta con chiodi da nove pollici. Uno degli scherzi più affermati deve la sua fama al leggendario film “Animal House” nel quale in mensa, il grandissimo John Belushi, si riempie la bocca di cibo per poi schiacciarsi le guance e sputare una poltiglia bavosa addosso ai membri di una confraternita rivale. Nel doppiaggio italiano Belushi dice “sono uno sparacibo”, ma nella versione originale del film in realtà dice “I’m a zit”… sono un brufolo. Lo “Zit Engage” scoppia almeno una volta all’anno in qualsiasi università americana e scatena una tradizionale battaglia di cibo. Di solito all’inizio dell’anno.

Insomma, il tripping è uno scherzo idiota come si diceva ma il problema è che c’è chi ha deciso di esagerare. Molly Haggerty, l’opposto delle Badgers, una delle giocatrici più promettenti della squadra, tornata in squadra dopo un lungo infortunio che le ha quasi del tutto rovinato la stagione d’esordio, pare non perda occasione per sganciare dei trip alle sue compagne. Al punto che non si riesce a capire se la cosa sia concordata o meno. Anche perché a quanto sembra dalle altre ragazze della squadra non è partita alcuna denuncia.

La cosa non è sfuggita nemmeno agli spettatori dello UW Field che a un certo punto durante una partita hanno visto Molly sgambettare platealmente il libero M.E. Dodge. Una delle regole della goliardia è “guai a reagire, peggio ancora se parli”. ME si è rialzata in piedi e ha ricominciato a giocare.

Ma nella partita successiva si è visto un altro trip, questa volta da terra da parte della Haggerty, a danno di una sua compagna. Stando a quanto dice l’università è stata aperta un’inchiesta e anche l’allenatore ha voluto vederci chiaro sistemando telecamere negli spogliatoi. Le immagini hanno evidenziato numerosi altri episodi.

Ora, potrete non crederci: ma la cosa è diventata una notizia di portata nazionale, amplificata dalla stampa e dalla stessa università che un po’ per goliardia e un po’ per far capire alla Haggerty che sarebbe anche il caso di smetterla, ha creato un video che è diventato virale. Una clip prodotta dalla Wiscflix…. La versione dell’università del Wisconsin di Netflix… Il video è geniale: ci sono le interviste come in “Law and Order”, i numerini per terra posizionati sul campo come se ci fosse stato un omicidio e le facce arrabbiate di vittime e testimoni mentre la colpevole dice di essere una buona amica e una splendida compagna di squadra e che si tratta solo di un immenso equivoco.

Insomma, tutto fa pensare a un gigantesco scherzo che è servito a portare Wisconsin e le sue Badgers al centro dell’attenzione.

Se non ci fosse chi immediatamente si è messo a gridare al bullismo c’è da dire che le stesse vittime di Molly quando hanno visto che la questione stava diventando un caso nazionale hanno detto… “Calma… sì, ci fa lo sgambetto… ma anche noi ogni tanto le tiriamo qualche scherzo pesante”. Insomma, troppo rumore per uno – o molti – sgambetti? Il confine tra lo scherzo e la serietà e labilissimo: ma uno scopo le ragazze, che quest’anno sono con una media abbastanza ordinaria di dodici vittorie e cinque sconfitte, lo hanno attenuto. Le Wisconsin Badgers non sono mai state così popolari in rete.

Guardate il video e giudicate voi. Nessun tasso è rimasto ferito durante le riprese di questo video.

 

ARGOMENTI CORRELATI

CONDIVIDI SUI SOCIAL

Facebook

ULTIMI

ARTICOLI


Hanno rubato la medaglia a Franco Bertoli, la mano di pietra: non si ruba nei musei

Le storie di Stefano Benzi

Di Stefano Benzi

Diciamo la verità… quando quella lontana estate del 1984 si diceva “c’è la pallavolo, dove la andiamo a vedere”? Non eravamo molto consapevoli: un po’ perché quella non era ancora la generazione dei fenomeni che sarebbe arrivata di lì a qualche anno e un po’ perché eravamo ancora ubriachi del Mondiale di calcio vinto nel 1982. La pallavolo fino a quel momento era un parente povero e poco considerato: i canali televisivi che potevano trasmettere sport erano esclusivamente quelli della Rai. E dunque due… e mezzo: Il resto lo scoprivi alla spicciolata un po’ come il tennis o il nuoto. Eravamo impazziti per Novella Calligaris o per Adriano Panatta quando arrivò alla finale del Roland Garros. Ma il concetto di virata, di rovescio e di slide non erano per tutti. Per non parlare della vela: una volta ogni tot di anni ci ricordavamo di essere un popolo di navigatori per via di Azzurra, Luna Rossa o del Moro e si faceva la notte in bianco. Ma il senso di “cazza la randa” o di “bolina” non ci è ancora del tutto chiaro.

Per la squadra di pallavolo del 1984 non eravamo preparati: chi se l’aspettava una prodezza del genere. All’epoca lavoravo già e ricordo perfettamente uno dei miei capi – disperato – alle prese con un pezzo e un titolo sbraitava da infarto: “Come diavolo si dice – urlava in redazione – schiacciata o smash?”

A Los Angeles uno dei supertestimonial era Roberto Duran, straordinario pugile panamense che viveva in California e che era cresciuto al Chorillo, nella favela della Casa de Pedra. Da qui il suo nome: “Mano de Pedra”. Nel 1984 era all’apice: si era frantumato una mano combattendo contro Marvin Hagler (un vero animale da ring) dunque alle Olimpiadi faceva il personaggio e presenziava a tutte le gare più interessanti. Vedendo la squadra azzurra contro il Canada Duran disse… “Esta sì es una mano de pedra….”

La mano di pietra era quello di Franco Bertoli: i giocatori del Canada confessarono che quando Dall’Olio apriva lo schema su di lui la gara era a chi si spostava prima da una parte per evitare la botta. Era la generazione dei geometri: mi piace chiamarla così perché erano giocatori straordinari, certamente non ricchi, ma di feroce determinazione e di grande coraggio. Furono loro a porre basi di quanto sarebbe arrivato dopo.

Ottennero uno storico terzo posto, la prima medaglia olimpica della pallavolo italiana dopo una semifinale persa e giocata a testa alta contro il Brasile. Bertoli ha usato il granito per vincere – vado a memoria – anche sette titoli italiani, due coppe campioni e mi pare cinque Coppa Italia. Poi ha fatto l’allenatore, ricordo delle belle interviste con lui a Roma nel 2000, il dirigente e l’amministratore pubblico. Appassionato di statistica, è un grande studioso di numerologia. Un uomo simbolo cui hanno fatto una cattiveria: qualcuno si è introdotto in casa sua e gli ha svaligiato l’appartamento portandosi via anche la medaglia di bronzo di Los Angeles 1984. Anche se fosse d’oro il suo valore sarebbe davvero minimo: le medaglie sono placcate e simboliche, hanno un peso solo per chi le ha vinte e per chi eventualmente le colleziona.

Cari signori ladri, a Natale, siamo tutti più buoni… cogliete una buona occasione per fare una bella figura. Fate un pacchettino, mi raccomando con tanta bella carta per evitare gli urti, e spedite il tutto a Franco Bertoli, presso C.O.N.I. Largo Giulio Onesti 1 Roma. Là sapranno come recapitarla a una mano di pietra che per vostra fortuna non avete trovato in casa mentre stavate facendo pulizia. Perché Bertoli ha sessant’anni ma se li porta alla grande; è di Udine – gran testone – è 1.92 per novanta chili di muscoli e le mani di granito le ha ancora. Io uno così lo vorrei avere tutta la vita dalla mia parte.

E poi, che ve ne fate di una medaglia che non meritate?