Ivan Zaytsev: "Ci stiamo scoprendo piccoli e stiamo scoprendo grande la vita che il virus ci ha tolto"

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Di Redazione

Riscoprire i veri valori, quelli verso la famiglia, nel peggior momento. Questo è quello che sta facendo il  Coronavirus secondo Ivan Zaytsev, opposto della Leo Shoes Modena, nell’intervista rilasciata al quotidiano “La Repubblica“. Riscoprire quei piccoli gesti che oggi assumono tutt’altro valore…

«Un giorno gli racconterò perché quest’anno l’estate è venuta due volte, perché a un certo punto l’asilo l’hanno chiuso, e che razza di strana guerra hanno combattuto anche loro, come tutti noi». Ivan Zaytsev, il capitano della nazionale azzurra e della Leo Shoes Modena, con la moglie Ashling e i tre figlioletti ha chiuso il mondo fuori, «il senso civico, la paura, la voglia che tutto torni presto com’era ci tiene a casa. Da qui stiamo scoprendo cose che forse non sapevamo».

Ad esempio? «Uno spirito di resilienza che è rinato in un paese come il nostro, litigioso e strano. Qui a Modena c’è una grande compostezza, non ci sono capannelli, le strade sono deserte. Ma siamo tornati a socializzare, paradossalmente, nel momento in cui ce lo stanno vietando per decreto. La tecnologia ci aiuta, ma ci aiutano anche i balconi pieni. Abbiamo voglia di non perdere quello che una settimana fa ci sembrava di poco conto: il bar, una pizza, la politica, una partita di pallavolo. Ci stiamo scoprendo piccoli, e stiamo scoprendo grande la vita che il virus ci ha tolto».

Lo sport cos’è, in tutto questo? «Assieme all’arte, al teatro, alla musica, è l’emozione che ci tiene in vita, è il superfluo di cui non possiamo fare a meno, l’adrenalina necessaria a tenerci sulla corda, a farci trepidare. Tutto questo è il respiro del paese, il bel tempo libero che non abbiamo più, ora che ne abbiamo tanto».

La pallavolo, assieme al calcio, in Italia è stata l’ultima a fermarsi. Voi di Modena avete giocato l’8 marzo a porte chiuse contro Monza. Quel giorno due partite, a Milano e Piacenza, non si disputarono per paura del coronavirus. Quella giornata si poteva evitare? «Si doveva evitare. Poche ore prima avevo parlato con tutti i capitani delle squadre di Superlega, a maggioranza eravamo per il rinvio della giornata, non si fece in tempo però. Non è stato bello giocare in un Palapanini vuoto, in un’atmosfera lugubre. Lo sport senza tifosi non è niente».

Per quello che importa, ora, che ne sarà del campionato? «Prima di maggio credo sia impossibile ripartire, e poi avremo due settimane in tutto prima di chiudere per via dei transfer degli stranieri che scadono a metà mese. Vorremmo chiudere almeno la stagione regolare».

Parliamo di Tokyo: sta crescendo un partito anche tra gli atleti contrario ai Giochi nelle date prestabilite. Lei che ne pensa? «Tutte le federazioni stanno prendendo tempo, hanno chiesto agli atleti di continuare a prepararsi, ma con tutti i tornei di qualificazione ancora in ballo è un gran casino. E poi garantire la sicurezza di tutti, una volta lì, non sarà facile. Io spero che l’Olimpiade si svolga nell’anno solare 2020. Visto che sono un po’ vecchiotto, non vorrei andare troppo avanti. Ma ho paure che venga rimandata a fine anno e anche oltre, anche se non so se sia possibile. Cancellarla proprio? Sarebbe un gran peccato, la fine forse per me del sogno dell’oro, che mi è sfuggito a Rio».

Il mondo potrebbe vedere uno spostamento dell’Olimpiade, la sacra Olimpiade che un tempo fermava le guerre, come una resa? «Di fronte al pericolo per la salute globale, tutto decade. Lo sport però serve, come dicevamo. Serve ad alimentare i sogni del mondo. Non è solo svago, non è solo divertimento. Lo sport è l’insieme di tanti sentimenti umani che vediamo sublimati nel gesto atletico, nell’incertezza del prima, nella festa che segue».

Che giorno sarà, il primo dopo tutto questo? «Sarà un giorno che non dimenticheremo mai. Ne parleremo per sempre. Restiamo uniti, ora, e a casa».

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