Il calcio si prepara a tornare in campo. Simone Giannelli: “Perché noi no? Provare a ripartire darebbe un gran segnale”

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Di Redazione

Mentre l’intero movimento pallavolistico si è fermato, quello del calcio invece si prepara a ripartire. Dal 4 maggio, come si dice tra gli addetti ai lavori, si dovrebbe tornare in campo, anche se ancora ci sarà da capire come, se a porte chiuse o altro. Certo, si sa che intorno al calcio girano tanti interessi economici, ma molti nel mondo della pallavolo si chiedono “perchè loro si e noi no?”, “la priorità non dovrebbe essere la salute di tutti?”. Come nel caso di Simone Giannelli, capitano e palleggiatore dell‘Itas Trentino, che in un’intervista a Roberto Condio pubblicata su La Stampa esprime tutta la sua voglia di tornare in campo con le dovute cautele.

Qui il link all’intervista originale.

Perché il calcio sì e voi no? «Beh, loro sono su un’altra dimensione per i soldi che fanno girare e il pubblico che hanno. Però, se si parte dalla basilare premessa che la priorità dev’essere la salute e la sicurezza di tutti, nel caso in cui ci fosse un ok governativo, perché non far ripartire anche la pallavolo?».

Dovreste essere sullo stesso piano, in effetti. «Certo. Come uomini, nel combattere il virus e restare allineati alle disposizioni date. Come sportivi di alto livello, nel diritto di poterci allenare e magari giocare per inseguire i nostri obiettivi. Con tutte le cautele».

Ma se il calcio davvero riprendesse il 4 maggio? «Tornerei a chiedere: perché noi no? So che ci sono milioni di cose da capire e da fare, che la strada sarebbe tortuosa, ma provare a percorrerla darebbe un gran segnale».

Come l’idea di Mosna del playoff all’Arena di Verona? «Molto bella. Anche se non si potesse giocare per lo scudetto».

La Federazione ha già detto che non lo assegnerebbe. E poi, con tanti stranieri già partiti, sarebbero pure squadre diverse. «Vero. Ma ribadisco che la cosa più rilevante sarebbe il segnale dato. Intanto, tornando ad allenarsi anche in piccoli gruppi. Poi, magari, giocando. A porte chiuse o con spettatori distanziati com’è successo a noi contro Sora nell’ultima partita».

Che cosa le manca di più della pallavolo smarrita? «Tre cose. Uno: lo spogliatoio, vita e scherzi con i compagni. Due: palleggiare, sentire il pallone in mano e decidere la giocata. Tre: fare fatica, l’agonismo. Ho voglia di sfide. Riesco ad arrabbiarmi persino quando gioco a burraco con la mia ragazza».

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