Caso Zaytsev: dalle 700 scarpe al commissariamento "de facto"

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Che Ivan Zaytsev non sia un “giocatore come tutti gli altri” come si ostina a definirlo nell’impacciato tentativo di normalizzare una situazione come quella della querelle scarpe che tutto è fuorché normale, il presidente federale Bruno Cattaneo dovrebbe capirlo dal fatto che nel giro di undici mesi la pallavolo per la seconda volta è tornata su tutti i giornali generalisti nazionali, è uscita dal circolo dei siti specializzati richiamando grande attenzione su di sè ed è andata pure nei telegiornali in tv, grazie principalmente alle gesta e alle popolarità  dell’atleta con la cresta. Qui non siamo a disquisire se sia giusto o meno dal punto di vista mediatico o lo sia nei confronti degli altri azzurri, ma tant’è, sia durante i giorni di Rio 2016 che ora con lo “shoesgate“, a fare notizia è Zaytsev e la pallavolo diventa “cronaca” grazie a questa icona di sportivo del ventunesimo secolo. Che, va evidenziato, è imparagonabile agli eroi della Generazione dei Fenomeni: come loro riempie i palazzetti, ma è inserito in uno sport system del tutto diverso e come tale andrebbe gestito. Stupirsi perché Zaytsev abbia firmato (a gennaio 2017, particolare non da poco) un contratto personale per le calzature è fuori dal tempo, caro presidente.

Invocare “cuore e lealtà” da parte dell’atleta come una soluzione alla questione, è troppo comodo ora che la situazione è sfuggita e deflagrata. La Fipav manageriale e lontana dai personalismi di Magri che è stata promessa in campagna elettorale è scivolata sul primo contratto firmato con Mizuno (nel marzo del 2017): 700 paia di scarpe in arrivo in via Vitorchiano, ci raccontano, ma è bastato un paio di Adidas a mandare in crisi il castello federale e a mandare scalzo in preda ai media il presidente federale. L’SOS lanciato a Malagò affinché riconducesse all’ovile il ribelle Ivan è stato un segnale di debolezza preoccupante per una Federazione che dovrebbe (e aveva dichiarato che vorrebbe) alzare la voce in ambito Cev ed FIVB. La sensazione che abbiamo avuto è stata quella di un commissariamento “de facto”.

E adesso come se ne esce?  Qualcuno ha già scritto in questi giorni che  sarebbe stato necessario che Cattaneo riunisse sponsor, giocatore e federazione in una stanza e non li facesse uscire se non a soluzione trovata. Ora circola l’ipotesi di ricoprire con marchi Mizuno posticcci le Adidas dello zar:  è possibile e plausibile che marchi di tale prestigio (i tedeschi, caro presidente, sponsorizzano le nazionali Usa maschile, femminile, giovanili e paralimpica), si pieghino a una soluzione così raffazzonata?

 Cattaneo sostiene che chi ha creato il problema firmando un contratto, debba fare un passo indietro e trovare la soluzione. Noi abbiamo una domanda per il presidente: perché nello scorso aprile è stato modificato il regolamento al capitolo abbigliamento degli azzurri rendendolo particolarmente stringente e coercitivo? E’ stato un caso? “E’ sempre andata così” ha risposto Cattaneo in questi giorni quando qualcuno gli ha fatto notare la particolarità di obbligare gli atleti a calzare un solo marchio. Ma se era sempre andata così, per quale motivo cambiare in corsa le regole con la consapevolezza che il proprio atleta immagine aveva appena sottoscritto un impegno che andava in altra direzione?

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