Il ritorno di Travica: "Padova, che bello rappresentarti. Devo molto a mio padre. Nazionale? Chissà…"

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Una scelta sportiva e di vita. Carisma, energia e amore per una città che tanti anni fa lo ha “adottato“: Dragan Travica e il ritorno in Italia, che riabbraccia così uno degli ultimi palleggiatori della Nazionale. Nato a Zagabria, ma naturalizzato italiano, Dragan è tornato con prepotenza protagonista nel campionato di SuperLega, dopo l’infelice avventura allo Shahrdari Urmia in Iran. Un abito nuovo, quello di capitano e uomo spogliatoio nella Kioene Padova, squadra che attualmente sta lottando per un posto ai play-off ma che ha sorpreso addetti ai lavori e tifosi per l’impronta di gioco data dal tecnico Valerio Baldovin. Per Dragan, figlio del noto coach Ljubomir Tavica che militò a Padova dal 1985 al 1989, è la prima stagione con la squadra di quella che lui stesso giudica la “sua” città.

A Volley NEWS si racconta, tra il passato, con la conclusione dell’esperienza iraniana, passando per Modena, e giungendo così a Padova, senza dimenticare il capitolo “Nazionale“, ma non solo. Un Travica maturato rispetto a quando ha lasciato il campionato italiano per l’estero, e che ora ha le idee chiare anche sul suo futuro, a partire dal match di domenica contro il Gi Group Team Monza.

Trasferta insidiosa a Monza, che partita sarà per voi?
“Dopo due settimane senza partite sarà curioso rimettersi in gioco. Entrambe le squadre hanno avuto modo di riposare, e quindi arriveranno pronte all’appuntamento. Loro, come noi, vogliono arrivare ai play-off e quindi può essere considerato uno scontro diretto a tutti gli effetti”.

Padova, sorpresa o realtà affermata?
“Credo sia sempre difficile fare previsioni prima dell’inizio del campionato. Forse eravamo poco conosciuti, e rappresentavamo un grande punto di domanda, per esempio Nelli non aveva mai giocato titolare in SuperLega, e Polo è un emergente. Giochiamo come ci alleniamo, a volte bene, altre volte meno, ma siamo tutti consapevoli del nostro valore. A mio avviso non siamo una sorpresa, ma per chi non ci conosce potremmo sembrarlo.”

Cosa significa per lei giocare nella squadra della sua città?
“E’ bellissimo, ho sempre sognato di giocare nella squadra della mia città. Da qui sono partito, e mi trovo in una società sana, solida e leale che vuole ogni anno percorrere un passo in più nel proprio percorso. L’ultimo anno è stato difficile, ero rimasto senza squadra ed era importante tornare a giocare. Dopo l’esperienza di Modena, che ringrazio ancora, avevo voglia di tornare a casa: si è creato questo rapporto, e sono felicissimo”.

L’importanza della figura di suo papà?
“I miei genitori sono stati fondamentali, mi hanno cresciuto dandomi i valori che ora porto con me. Mio papà è sempre stato il mio idolo, lo seguivo molto ed ero affascinato dal suo modo di approcciarsi alla realtà sportiva. Era sempre presente, e per questo ho sempre voluto renderlo orgoglioso. Non ho dubbi, è sempre stato il mio massimo esempio di professionalità”.

Si sente un uomo spogliatoio nuovo?
“Sento di essere sempre stato un uomo spogliatoio. Sicuramente con l’esperienza ho acquisito maggiore razionalità, ma affronto la quotidianità sempre con lo stesso entusiasmo e la medesima attenzione. Ovviamente sento maggiormente la fatica, ma l’amore per questo sport è immutato, così come la passione”. 

Capitolo Nazionale, ci pensa ancora?
“Rappresentare il proprio Paese è il sogno di tutti. Non ci siamo lasciati molto bene: un brutto neo, in un lungo cammino costellato di diamanti. Bisognerebbe guardarsi negli occhi e chiarire a voce quanto accaduto. La mia disponibilità ovviamente c’è, sarebbe un onore. Ma ribadisco, ci sono ancora alcune cose da chiarire e rimaste in sospeso…”.

Cosa vuole fare Dragan Travica una volta terminata l’esperienza di giocatore?
“Una volta finito tutto, non mi vedo ancora nel mondo della pallavolo. Mi piacerebbe aprire una mia attività imprenditoriale. Però c’è ancora tempo!”

Come mai al volley manca ancora quella connotazione determinante di professionismo?
“Credo sia abbastanza triste come cosa. Lavoriamo come qualsiasi altro professionista di ogni altro lavoro. Impegniamo per questo il nostro fisico, se siamo fortunati fino a 36-37 anni. Chi riesce a studiare durante la carriera è molto bravo, chi non riesce si trova in difficoltà per il post carriera, dove rimaniamo con poco in mano. Meritiamo di essere considerati come professionisti a tutti gli effetti, perchè siamo tali: anche un pallavolista deve avere la sua pensione, perchè lavoriamo 7 giorni su 7, con grande professionalità”.

Quanto è stato difficile dal punto di vista psicologico reagire alla vicenda iraniana?
“L’esperienza in Iran è stata davvero tosta, qualcosa che non auguro a nessun altro atleta. Io e mio padre non abbiamo visto lo stipendio nonostante la fiducia data alla società per 5 mesi. Oltre alla mancanza di uno stipendio ci sono state due grandi delusioni: siamo rimasti senza un lavoro, e abbiamo visto sfumato il nostro sogno di poter lavorare insieme. Sono stato due mesi senza poter giocare, a casa. Poi fortunatamente siamo riusciti a rimetterci in gioco entrambi”

Una esperienza poi conclusa in maniera positiva…
“Abbiamo aperto la procedura legale presso la  FIVB, che ci ha dato ragione al 100%. La squadra iraniana dovrà dunque rispettare il contratto, e pagarci di conseguenza. Purtroppo tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, quindi attendiamo. I giocatori devono vedere riconosciuti i propri contratti, è alla base del rapporto tra atleta e società”.
Di Paolo Frascarolo

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