Le Storie di Benzi: Montali MisterChef. Metti una cucina di marca dentro il tuo spogliatoio

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Di Stefano Benzi

Correva la stagione 2000/2001 e a Milano si creava un vero e proprio miracolo: una squadra di pallavolo costituita da poco e attrezzata da un presidente vulcanico, Antonio Caserta, arriva ai playoff da outsider e si presenta al cospetto delle grandi. Per la verità Caserta non era un presidente che si accontentava: aveva costruito una squadra fantastica con Nikola Grbic – che aveva appena vinto le Olimpiadi e che di lì a poco a avrebbe vinto anche l’Europeo – in regia, l’argentino Marcos Milinkovic in diagonale, il promettente Zlatanov e l’esperto Bonati a schiacciare. Ma era anche una squadra quanto meno singolare: Held, classe 1967, continuava a spostare il calendario rinviando un possibile ritiro; Cozzi, centrale che poi risultò decisivo (e che oggi collabora con noi, qui la sua rubrica), doveva essere poco più di una promessa. C’era persino Lorenzo Tedeschi, soprannominato “Teddy” un beacher che se era necessario entrava in campo e risultava in un modo o nell’altro determinante. Teddy era stato soprannominato “Provvidenza”.

Fu una delle imprese più straordinarie di cui sono stato testimone diretto: andai spesso a vedere gli allenamenti dell’Asystel che, quando il PalaLido era impegnato, e cioè quasi sempre, si allenava nella palestra B, con un soffitto che non era adatto nemmeno a una Under 13. Però Montali, che arrivava dallo scudetto di Roma, riuscì comunque a rivoluzionare il gioco puntando su battute piazzate nei settori avversari, scompaginando la line-up titolare nel bel mezzo di un match e togliendo riferimenti agli avversari. Fu un campionato straordinario. Presenziare agli allenamenti di Montali non era sempre facile: ma si imparava tanto. La squadra era molto gelosa dei suoi spazi, in particolare dello spogliatoio del PalaLido dove nessuno che non fosse strettamente legato al team poteva entrare. La leggenda narra che Montali appendesse cartelli motivazionali sugli armadietti e davanti all’ingresso. Quando la squadra arrivò ai quarti di finale con la Lube Macerata si dice che Montali si fosse procurato un poster pubblicitario della Lube sul quale dopo la prima vittoria aveva scritto… ‘cucinati’, dopo la seconda ‘cotti’ e dopo la terza ‘mangiati’. Il 3-0 contro la Lube fu il prologo del 3-1 contro Cuneo, una sfida mostruosa con un ultimo tie-break che vide tre infarti in tribuna fino al 3-2 decisivo dell’Asystel. Ma la finale non finì in gloria: Treviso vinse 3-0 dopo aver rimontato i primi due set della serie dominati da Milano che sprecò due match-ball prima di crollare.

Grazie a quei cartelloni e alle sue trovate motivazionali Montali conquistò il pubblico ma soprattutto il mondo del marketing le cui sirene si fecero sentire in un battibaleno. Per lui arrivarono prima il calcio, con diverse consulenze importanti e strapagate, poi l’attività di insegnante nelle Università e nei Master destinati a venditori, manager, amministratori che, grazie a persone come lui o Velasco, portano nelle aziende il verbo del team building che senza allenatori che sono andati ben al di là degli aspetti tecnici, forse non esisterebbe.

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Hanno rubato la medaglia a Franco Bertoli, la mano di pietra: non si ruba nei musei

Le storie di Stefano Benzi

Di Stefano Benzi

Diciamo la verità… quando quella lontana estate del 1984 si diceva “c’è la pallavolo, dove la andiamo a vedere”? Non eravamo molto consapevoli: un po’ perché quella non era ancora la generazione dei fenomeni che sarebbe arrivata di lì a qualche anno e un po’ perché eravamo ancora ubriachi del Mondiale di calcio vinto nel 1982. La pallavolo fino a quel momento era un parente povero e poco considerato: i canali televisivi che potevano trasmettere sport erano esclusivamente quelli della Rai. E dunque due… e mezzo: Il resto lo scoprivi alla spicciolata un po’ come il tennis o il nuoto. Eravamo impazziti per Novella Calligaris o per Adriano Panatta quando arrivò alla finale del Roland Garros. Ma il concetto di virata, di rovescio e di slide non erano per tutti. Per non parlare della vela: una volta ogni tot di anni ci ricordavamo di essere un popolo di navigatori per via di Azzurra, Luna Rossa o del Moro e si faceva la notte in bianco. Ma il senso di “cazza la randa” o di “bolina” non ci è ancora del tutto chiaro.

Per la squadra di pallavolo del 1984 non eravamo preparati: chi se l’aspettava una prodezza del genere. All’epoca lavoravo già e ricordo perfettamente uno dei miei capi – disperato – alle prese con un pezzo e un titolo sbraitava da infarto: “Come diavolo si dice – urlava in redazione – schiacciata o smash?”

A Los Angeles uno dei supertestimonial era Roberto Duran, straordinario pugile panamense che viveva in California e che era cresciuto al Chorillo, nella favela della Casa de Pedra. Da qui il suo nome: “Mano de Pedra”. Nel 1984 era all’apice: si era frantumato una mano combattendo contro Marvin Hagler (un vero animale da ring) dunque alle Olimpiadi faceva il personaggio e presenziava a tutte le gare più interessanti. Vedendo la squadra azzurra contro il Canada Duran disse… “Esta sì es una mano de pedra….”

La mano di pietra era quello di Franco Bertoli: i giocatori del Canada confessarono che quando Dall’Olio apriva lo schema su di lui la gara era a chi si spostava prima da una parte per evitare la botta. Era la generazione dei geometri: mi piace chiamarla così perché erano giocatori straordinari, certamente non ricchi, ma di feroce determinazione e di grande coraggio. Furono loro a porre basi di quanto sarebbe arrivato dopo.

Ottennero uno storico terzo posto, la prima medaglia olimpica della pallavolo italiana dopo una semifinale persa e giocata a testa alta contro il Brasile. Bertoli ha usato il granito per vincere – vado a memoria – anche sette titoli italiani, due coppe campioni e mi pare cinque Coppa Italia. Poi ha fatto l’allenatore, ricordo delle belle interviste con lui a Roma nel 2000, il dirigente e l’amministratore pubblico. Appassionato di statistica, è un grande studioso di numerologia. Un uomo simbolo cui hanno fatto una cattiveria: qualcuno si è introdotto in casa sua e gli ha svaligiato l’appartamento portandosi via anche la medaglia di bronzo di Los Angeles 1984. Anche se fosse d’oro il suo valore sarebbe davvero minimo: le medaglie sono placcate e simboliche, hanno un peso solo per chi le ha vinte e per chi eventualmente le colleziona.

Cari signori ladri, a Natale, siamo tutti più buoni… cogliete una buona occasione per fare una bella figura. Fate un pacchettino, mi raccomando con tanta bella carta per evitare gli urti, e spedite il tutto a Franco Bertoli, presso C.O.N.I. Largo Giulio Onesti 1 Roma. Là sapranno come recapitarla a una mano di pietra che per vostra fortuna non avete trovato in casa mentre stavate facendo pulizia. Perché Bertoli ha sessant’anni ma se li porta alla grande; è di Udine – gran testone – è 1.92 per novanta chili di muscoli e le mani di granito le ha ancora. Io uno così lo vorrei avere tutta la vita dalla mia parte.

E poi, che ve ne fate di una medaglia che non meritate?