World League: dove è finito il progetto azzurro?

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Di Roberto Zucca

 Sette sconfitte. Qualcuno ha scritto che un insuccesso così in World League non era mai capitato, nemmeno nell’annata del tredicesimo posto. Risultati alla mano, e performance della squadra analizzate nel dettaglio, effettivamente, ci fanno pensare che questo campionato del mondo estivo è stato per l’Italia una colossale debacle.

Il fatto è che, liquidare la pratica, parlando di mancanza di alcuni big, alias Zaytsev e Juantorena, appare molto riduttivo, nonostante le prestazioni teoricamente offerte dai due bomber azzurri, avrebbero garantito dei numeri molto diversi. Imputare quindi le colpe ad un organico di nomi che in Superlega garantiscono vittorie e punti alle principali compagini italiane, porterebbe infatti gli analisti, a scommettere su un cavallo sbagliato.

La sostanza è che all’ordine del giorno, sono mancati all’appello due concetti: la programmazione e la progettualità. Sulla scia dell’argento glorioso di Rio 2016, infatti, la decisione di lasciare il doppio incarico al tecnico Blengini, è apparsa sulla carta una scelta molto semplicistica, che ai vertici federali, dovrà far riflettere non sul valore di un tecnico indubbiamente di livello e vincente, quanto di un carico di attività dello stesso tecnico che deve spalmarsi durante tutta la durata dell’incarico, senza l’intralcio di stagioni agonistiche impegnative dal punto di vista degli impegni di campionato e delle coppe annesse. Programmare una stagione azzurra è l’essenza di un’opera di cambiamento che in questi ultimi anni è stata a malapena iniziata da Blengini e dalla federazione per rinnovare un organico che cerca dei punti di riferimento in vista delle prossime Olimpiadi di Tokyo.

L’opera è rimasta a tratti incompiuta, e la scelta si è rivelata scellerata già dalle prime apparizioni di questa nuova compagine, apparsa sin dalle prime partite senza una guida e senza un equilibrio. È stato forse ingiusto parlare di “esperimento” alla vigilia della World League, dando forse già all’operazione un’impronta di giro di valzer temporaneo nell’attesa di ritirare al pit stop i prezzi più pregiati. Gli atleti chiamati per questa Italia estiva, hanno giocato forse con la consapevolezza di essere dei figuranti? Può darsi.

Si poteva forse osare di più e dare riposo anche ad altri atleti e rendere veramente questo un esperimento vincente? Magari. Ciò che è balzato all’occhio è che in questa nuova avventura mancasse proprio la progettualità. Che non può essere una questione di poche settimane dalla fine del campionato ma doveva essere parte di un riquadro più ampio: ottima l’idea di inserire nuovi innesti come Balaso o fare collegiali con nuovi nomi come Argenta, sulla scia del ben più lungimirante progetto di Mauro Berruto di qualche anno fa, che non aveva però dato i risultati sperati se non ai Giochi del Mediterraneo, che sul piano del gioco è posta su livelli nettamente diversi. Il progetto Italia II si doveva perciò già concretizzare durante la stagione invernale, quando però giocatori e tecnico avevano ben altre preoccupazioni non certo legate ai freschi ricordi di un Olimpiade vincente e al proseguimento di un’attività che aveva dato dei buoni frutti in passato.

Dove è finito quindi questo grande progetto azzurro?

Infine, una nota dolente, è apparsa essere la sconfitta sul piano della copertura: le partite della Giovane Italia, sono state spesso inserite in replica o in orari di secondo ordine, registrando un passo indietro rispetto all’estate scorsa, quando l’attenzione verso il volley aveva regalato alla Rai numeri importanti, una conseguente raccolta pubblicitaria e un ritrovato entusiasmo per il volley che per i ragazzi aveva significato un gradito supporto. D’altronde, il pubblico è per antonomasia il famigerato settimo uomo in campo. Insomma, a credere in questa nazionale, non è stata nemmeno la televisione, e così anche il pubblico, che è rimasto un po’ come gli amatissimi atleti azzurri: confuso e visti i risultati, infelice.

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