Quasi quasi faccio un salto in Corea…

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Di Redazione

Abbiamo parlato (leggi qui) della curiosa modalità di scelta che la KoVo, la federazione pallavolo coreana, effettua con insieme ai propri club. Un try out di una settimana e una scelta a testa per ogni club per mettere sotto contratto, con un accordo paritario – uguale per tutti – il proprio straniero. È una formula che funziona perché non impatta economicamente sulle varie squadre e consente al volley coreano di continuare a crescere senza essere invaso di giocatori stranieri. L’esperienza è difficile per tutti gli atleti che accettano la scommessa coreana: un paese straniero, lontano, senza compagni di squadra che parlino la tua lingua, che ti appoggino. Ma in questo la Corea non sente ragioni: l’obiettivo è quello di far crescere tutto il movimento e non la squadra che in quel momento ha più possibilità economiche.

Il signor Kyongmin Chang è uno dei responsabili della KoVo che si occupa del draft, che non ha nulla a che fare con quelli americani: “Sarebbe più giusto definire il nostro come un try out, anche se il termine draft è quello che arriva più facilmente al grande pubblico – spiega – indubbiamente il nostro meccanismo non ha niente a che fare con i draft americani. Quella è una spettacolarizzazione di un lavoro che viene eseguito a monte, alla fine sembra una grande lotteria. Qui da noi si lavora: testiamo giocatori e giocatrici con allenamenti molto duri e ogni dirigente decide quale può essere quello che è il più utile al proprio campionato”.

Il campionato dura circa sei mesi, è abbastanza duro e molto competitivo, si gioca quasi sempre due volte alla settimana: “È la prima cosa che diciamo ai giocatori, da noi ci si allena molto e si gioca tanto – spiega Mr.Chang  – se una persona non pensa di resistere a questi ritmi è bene che non si presenti al try out. Finito il campionato si chiude il contratto. Non c’è modo di prolungare l’accordo perché la KoVo ha regolamenti molto selettivi. Se si vuole giocare un altro anno in Corea del Sud bisogna superare un altro try out, essere scelti e firmare un nuovo contratto”.

In Corea si lavora tanto ma si guadagna molto bene: “Abbiamo tanto pubblico, ottimi sponsor, grandi aziende che sovvenzionano le squadre quindi i giocatori hanno sicuramente uno stipendio privilegiato. Considerando anche i premi un uomo arriva ai 300mila euro mentre una donna supera i 200mila. Soldi sicuri. Da noi non esistono soldi promessi che poi non vengono versati…”.

La Corea cerca una tipologia di giocatore in modo particolare: “Ci servono opposti e schiacciatori, braccia forti e potenti – spiega Chang – la Corea ha una buona tradizione di alzatori e di liberi che dobbiamo arricchire con attaccanti che sappiano fare la differenza davanti. È per questo che la stragrande maggioranza di giocatori che arriva da noi schiaccia. Abbiamo un solo straniero per squadra e sbagliarlo significa pregiudicare la stagione. Nessuna squadra può permetterselo”.

La Corea poi ha una lunghissima tradizione di aziende miliardarie e multinazionali legatissime allo sport e che ogni anno investono molti soldi nelle attività agonistiche: “Questo per fortuna è un patrimonio che non si è perso nonostante ci siano state crisi industriali e momenti di grande difficoltà. Lo sport in Corea è ancora visto come un fenomeno di educazione e di divulgazione e le grandi società investono nello sport quanto possono: tutto quello che versano alle attività giovanili o promozionali viene defiscalizzato. È una formula vincente che fino a oggi ci ha consentito di essere competitivi e di crescere in moltissime discipline individuali e di squadra”.

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