Piero Molducci: la scuola degli allenatori italiani, la Spagna e il suo ristorante romagnolo

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Di Stefano Benzi

“Buongiorno, sono Piero Molducci” dice la voce che mi chiama di prima mattina. Ed è un piacere sentirla perché Molducci è uno di quei personaggi con i quali si parlerebbe di pallavolo per ore, ha mille aneddoti e chiacchiera con la schiettezza di un vino delle sue parti. Ha vissuto la transizione verso l’era del Rally Point System e di talenti per le mani gliene sono capitati davvero tanti. Lui ha avuto il merito di non aver fatto passare la voglia di giocare a nessuno… “Sono fortunato, un privilegiato – mi dice – ho iniziato la mia carriera tra i dilettanti facendo tutti i corsi di abilitazione e la mia brava gavetta. Quando è arrivata la Serie A ho cominciato a divertirmi sul serio”.

Lo è anche oggi? “Meno – ammette Molducci – perché c’è molta fisicità e si punta in modo estremo su alcuni fondamentali come il servizio. Gli alzatori oggi sono costretti a correre all’impazzata e a fare chilometri per recuperare una palla decente da giocare e spesso gli opposti e gli schiacciatori devono andare a intuito. Anni fa si vedeva molta più tecnica, oggi ti devi adattare con quello che hai”.

Sette anni in Andalusia, ad Almeria, dove in poco tempo ha vinto di tutto: quattro titoli nazionali, due coppe del Re e una supercoppa se non dimentichiamo qualcosa. Ma soprattutto ha portato tanta gente sugli spalti perché la squadra oltre a essere competitiva giocava un bel volley: “Sono convinto che sia relativamente facile se la gente si diverte davvero che torni a vedere altre partite – dice Molducci – poi si può vincere tanto, o poco, o nulla ma quando il pubblico si diverte, e cominci a diffondere un po’ di passione per il tuo sport nel territorio, hai già fatto un gran lavoro”.

Tant’è vero – non è un mistero – che Almeria ha richiamato anche per questi gli interessi di investitori come la banca Unicaja ma soprattutto ha riempito le palestre del settore giovanile innescando un meccanismo virtuoso che porterà risultati negli anni a venire. Molducci ama molto lavorare con i giovani: “Sì, amo allenare i talenti e amo vedere i ragazzini che si avvicinano alla prima squadra ma le cose sono cambiate. Dobbiamo ammettere che i ragazzi di oggi hanno meno spirito di sacrificio rispetto a quelli di venti-trent’anni fa. Le famiglie danno loro molto, forse troppo: oggi ai ragazzi sono consentite cose che non sempre sono giuste o plausibili. In Italia credo che i problemi legati ai settori giovanili arrivino perché si sono date troppe cose per scontate, non si è sfruttato il momento delle vacche grasse e altri paesi ci hanno scavalcato: Polonia, Turchia, Spagna… i movimenti sportivi giovanili sono davvero di dimensioni impressionanti”.

Di sicuro gli allenatori italiani la pallavolo la sanno insegnare: “Non esistono tecnici migliori degli italiani – dice orgogliosamente Molducci – ognuno con il suo stile, il suo modo di essere, la propria personalità. Ma in Polonia abbiamo quattro allenatori italiani ai primi posti, io e Prandi,  lui in Francia e io in Spagna, un bel po’ di soddisfazioni ce le siamo tolte senza dimenticare gli allenatori del volley femminile. A volte succede che il terreno fertile per questa competenza sia straniero. Non so dire se sia un bene o un male ma è giusto che ognuno alleni dove gli viene chiesto di farlo e dove gli vengono garantiti degli strumenti adeguati”.

In Spagna è solo merito delle polisportive se così tanti ragazzi arrivano a volley, basket, pallamano e non solo al calcio? “Certo, le polisportive sono un motore impressionante e straordinariamente organizzato – risponde Molducci – ma diciamo che c’è anche la volontà centrale, federale, di fare determinati passi e di investire. Il resto lo dobbiamo mettere noi tecnici: spesso l’eccessiva competizione non aiuta. Gli allenatori devono affiancare il ragazzo, incoraggiarlo, sostenerlo, spronarlo e quando è il caso devono anche sapergli dire di no. Dobbiamo occuparci di tutti i ragazzi, non solo di quelli che potranno diventare dei potenziali fuoriclasse”.

In Andalusia Molducci ha lasciato il cuore, il rapporto con la squadra si è interrotto quest’anno: “Così vanno le cose – dice il 63enne che trasuda lo stesso entusiasmo di trent’anni fa – sono arrivati nuovi dirigenti all’interno della squadra e hanno deciso di cambiare. A me ha fatto piacere l’attestato di affetto della squadra e quello dei tifosi che mi hanno sempre voluto un gran bene. Io sarei rimasto… ma alcune volontà bisogna condividerle”. Al suo posto Manolo Berenguel, fino a qualche tempo fa secondo della nazionale femminile e che a Molducci deve praticamente tutto. Fu proprio il tecnico italiano a prenderlo come secondo insegnandogli il mestiere della panchina… “Diciamo che quando Manolo arrivò a farmi da secondo aveva tante cose da imparare e io gliele ho insegnate volentieri così come avrei fatto con qualsiasi altro secondo. In bocca al lupo…” chiosa Molducci senza lasciarsi scappare la minima polemica.

Ad Almeria Molducci ha anche aperto un ristorante, “La Cocina de Piero”, menù rigorosamente romagnolo: e dunque piadine, passatelli, cappelletti, crudo. Il vino dominante è il Sangiovese. Negli ultimi anni è stato un ritrovo per gli appassionati di pallavolo di tutta la città: “Inizialmente non volevo chiamarlo con il mio nome ma alla fine di Piero c’ero solo io e tutti mi hanno sempre chiamato così… Piero”.

E adesso? “E adesso mi riposo un po’ e aspetto che si presenti qualche altra occasione, in Italia, all’estero… le sfide mi piacciono sempre e comunque quindi starò alla finestra in attesa che se ne presenti una nuova”.

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