Nadia Bala: "Il Sitting Volley mi ha ridato la vita"

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Il consueto appuntamento settimanale è dedicato a Nadia Bala, vero e proprio punto di riferimento del Sitting Volley, una disciplina che si sta imponendo sempre di più nel panorama sportivo Italiano.

Abbiamo voluto parlare con lei del suo passato e dei suoi progetti futuri.


Chi è Nadia Bala e come ama definirsi?
“Descrivermi non è facile, ma in poche parole ti posso dire che Nadia Bala è una persona che ama quello che fa, cui piace mettersi sempre in gioco. Nadia Bala è una folle amante di questo sport: arrivo dal mondo della pallavolo indoor, e sono un ex arbitro, tanto che continuo a fare gli aggiornamenti per i direttori di gara”.

Come hai reagito alla malattia?
“Inizialmente, devo ammetterlo, è stato difficile. È stata molto dura, in quanto ti chiedi sempre un ‘perché’ sia toccato proprio a te. Non riesci a capire parecchie cose, e ti fai molte domande. Ho passato un anno difficile, un anno che sento mio, e di cui faccio fatica ancora, anche ora, a parlare. Poi, questo sport mi ha salvata”.

Lo sport rappresenta davvero un’arma per sconfiggere i momenti difficili che ci possono colpire?
Assolutamente sì! Il fatto di essere stata una sportiva mi ha aiutato moltissimo: a me piace tantissimo vincere, sono molto competitiva, e questo è stato un fattore fondamentale per lottare contro quel male. La volontà di mettermi in gioco nel Sitting Volley è un esempio che nasce e che ben rappresenta questo fatto. Inizialmente facevo una grande fatica negli spostamenti, ho dovuto lavorare molto su me stessa”.

Quali sono le differenze più significative a livello “tecnico” rispetto alla concezione classica del volley?
“Il Sitting Volley è una variante della pallavolo, ma amo definire questa disciplina ‘pallavolo pura’. Il Sitting utilizza gli stessi fondamentali della pallavolo, come il palleggio e il servizio, ma valorizzando in maniera massimale le abilità. Faccio un esempio pratico: una ragazza amputata di un braccio sfrutterà maggiormente la sua abilità di spostamento con le gambe e l’altro arto superiore. Io, inizialmente, facevo una gran fatica perché usavo la schiena e le braccia in maniera sbagliata. Poi, ho guardato moltissimi video delle Paralimpiadi per osservare le altre giocatrici con la mia stessa disabilità, ed è stato importante. Da quel momento ho lavorato tanto sugli addominali e i dorsali, migliorando molto la mia tecnica di gioco”.

Parliamo della crescita del movimento: è promosso in maniera adeguata e con una corretta visibilità nel panorama sportivo italiano?
“In confronto agli inizi, nel 2013, è cresciuto tantissimo. Per esempio, ci sono molte nuove squadre: risultato di un miglioramento, anche dal punto di vista della comunicazione dedicata, che ha permesso una fondamentale promozione tra le persone. Spesso si parla più di Sitting Volley che di Beach Volley! Siamo una nuova realtà che frequentemente deve ancora avvalersi di personaggi che la possono promuovere. Un esempio è Lucchetta, che durante le sue telecronache ha, un passo per volta, introdotto ai telespettatori il nostro sport. Parlare ai giovani, poi, è fondamentale e bisogna trovare canali alternativi per farci conoscere”.

Esistono delle modalità efficaci di reclutamento, soprattutto tra i giovani, in Italia?
“Attualmente siamo ancora un po’ ‘fermi’ per quanto riguarda le scuole, e servono delle nuove proposte a livello nazionale. Il mondo scolastico è fondamentale, non solo per reclutare ragazzi, ma anche per far conoscere ai giovani quello che vuole dire avere una abilità diversa: bisogna passare un messaggio preciso e fare capire quali siano le reali potenzialità delle persone anche, se all’apparenza, non possono fare determinate cose”.

Come sta procedendo il percorso della Nazionale in vista dei prossimi impegni?
“Avremo gli Europei, a novembre. E ci stiamo comunque allenando nelle nostre rispettive società di appartenenza…”.

Crede sia positivo il coinvolgimento dei normodotati nel Sitting Volley?
“Reputo sia fondamentale fare una distinzione: quando si parla di tornei semplici e amatoriali, la presenza dei normodotati può aiutare le persone con disabilità a esprimersi meglio in maniera funzionale, considerando anche i numeri degli iscritti. Se, invece, parliamo di tornei ad alto livello, spero che un domani non ci sia più bisogno di avere così tanti normodotati in campo, ma, magari, di fare come all’estero dove mediamente ci sono quattro disabili e due normodotati per squadra. Una scelta che attualmente, in Italia, considerati i nostri numeri, non è possibile fare”.

“Vinci l’Epilessia” è la sua associazione: di cosa si tratta?
“La mia associazione ha un duplice scopo: da un lato vuole dare l’opportunità a tutti di fare sport, e dall’altro di far conoscere cosa sia l’epilessia. Nasce perché tutto si può affrontare con lo sport. Tutto è partito dalla prima squadra di Sitting Volley, il V.E.Ro Sitting Volley Rovigo, poi, affiliatosi con la mia società sportiva, la Polisportiva Qui Sport Trecenta. Da lì, poi, si è sviluppato un movimento incredibile. In questi ragazzi, che soffrono di epilessia, ora, vedo la gioia di vivere e di giocare!”.

Quanto sono importanti il tuo “personaggio” e Nadia Bala nel panorama sportivo italiano?
“Io ho un solo obiettivo: promuovere la disciplina per dare una diversa opportunità ad altri ragazzi. So quello che significa stare su un divano e non volere salire su quella carrozzina, che, però, sei costretto ad utilizzare per andare in bagno. So quello che significa soffrire, e non volere più andare in una palestra di pallavolo perché non ci puoi più giocare. E vorrei portare tutti i ragazzi che non conosco a fare questo sport, perché so quale gioia regala: il Sitting Volley mi ha ridato una seconda possibilità, e mi ha ridato la vita.”

 

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