Nella testa di Mauro Berruto: l’amore per i Giochi Olimpici e la parità di genere nello sport. La pallavolo tra ricordi e strade intraprese

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Di Roberto Zucca

Ogni suo pensiero è sempre minuziosamente cesellato dagli addetti ai lavori. Ogni sua riflessione è sempre analizzata con una lente di ingrandimento. Mauro Berruto è sempre una bussola per il mondo del volley, nonostante ormai (salvo colpi di scena) abbia scelto di orientare la sua carriera verso una nuova disciplina, il tiro con l’arco:
“Avevo ricevuto un invito da parte del CONI a presenziare e parlare ad un evento. Da quel momento sono stato contattato da alcune Federazioni per proseguire la mia attività nel mondo dello sport. Ho scelto di prendere parte all’attività della Federazione di tiro con l’arco”.

Un mondo nuovo, per lei.
“Assolutamente sì. Ho iniziato dalle basi tecniche e dalla conoscenza degli strumenti. È stato un crescendo molto interessante ed è una disciplina che personalmente amo molto, non solo perché mi è stato chiesto di stare in prima linea”.

Che ruolo ricopre all’interno della Federazione?
“Attualmente sono il direttore tecnico della squadra maschile e femminile. Coordino le attività degli atleti in vista di Tokyo 2020, Giochi Olimpici nella quale spero di far parte della spedizione azzurra”.

Obiettivo?
“(ride ndr) Pensando di riscattare l’argento e il bronzo dei passati Giochi ai quali ho preso parte magari scaramanticamente vincendo la medaglia del colore più ambito!”.

Mister che cosa sono per lei i Giochi Olimpici?
“È innanzitutto la fiamma olimpica. È emozione. Un’emozione che rende la competizione unica nel suo genere. Non ci sono tornei o altre competizioni che possono essere paragonate ai Giochi. Per me sarebbe importantissimo esserci”.

Il tiro con l’arco sta facendo molto sul tema della parità di genere.
“Penso che in generale il CIO stia facendo un lavoro straordinario. A Tokyo ci sarà infatti l’assegnazione della medaglia sulla disciplina mista. Un segnale importante. Credo che in generale, sia proprio lo sport il veicolo principale nel dare questo messaggio di parità di genere. Pensiamo anche alla pallavolo e alla mole di atleti che giocano a livello amatoriale nei tornei misti. Ecco, sarebbe importante vedere queste competizioni a livello internazionale”.

Parlando di parità di genere nella pallavolo, come pensa sia stata gestita la vicenda Egonu, per esempio con l’immagine di Paola in prima pagina su La Gazzetta dello Sport mentre festeggia la conquista della Supercoppa con la sua compagna di allora?
“Personalmente non avrei mai gestito la notizia in quel modo. Credo, da lettore più che da giornalista, sia stato fatto un autogol. Se Paola avesse avuto un fidanzato, infatti, nessuno avrebbe pubblicato quella foto in prima pagina. In generale, parlando della commistione tra carriera e privato, penso che personalità come Egonu dovrebbero essere ricordate più per le proprie gesta sportive rispetto al loro privato, che appunto deve rimanere privato”

Perché Mauro Berruto è considerato un intellettuale della pallavolo?
“Quello che mi dice per me è stato un grande complimento, ma spesso questa cosa è stata considerata come un’accusa. Per alcuni ero troppo sportivo per essere un intellettuale. Per altri ero troppo intellettuale per essere uno sportivo. Al di là di ciò credo che sia importante esprimere ciò che esprimo attraverso la mia attività di giornalista sulle pagine dell’Avvenire o sul Foglio, quotidiani che mi danno la totale libertà di esprimermi”.

Esprimere le proprie idee quanto le è costato?
“Non parlo di costo perché ho investito e ho lavorato per fare sì che la nazionale fosse un luogo ricco di idee e di regole. Essere la nazionale è un valore assoluto per un atleta. Vedere a Rio nove atleti che hanno esordito con me e non poterli accompagnare in quella finale è stato doloroso. Ma era doveroso e non stupefacente lasciare il mio ruolo tecnico nel momento in cui venivano meno le basi su cui ho costruito tutto”.

Su Avvenire ha scritto un bellissimo pezzo sulla Polonia e sul senso della squadra. Esiste una realtà italiana che le ricorda ciò che ha descritto?
“Ho trovato innanzitutto il lavoro svolto dalla Polonia un lavoro straordinario e degno di nota. Premesso che la differenza tra un club e una squadra nazionale è abissale, se dovessi provare a fare un paragone direi che quello che mi ricorda più la Polonia è sicuramente il passato di Cuneo. E Cuneo è stata una piazza che mi ha sempre fischiato e criticato ma ne parlo con la consapevolezza del fatto che fosse una realtà sportiva interessantissima, con una forte identità e con un forte senso di appartenenza alla squadra e alla società. Cuneo ha lavorato talmente bene in passato che con gli atleti che ha lanciato probabilmente si potevano fare circa tre squadre della massima serie”.

Una curiosità: le sarebbe piaciuto allenare Leon?
“Penso che allenare Leon sia assolutamente stimolante. Rappresenta una tale bellezza per gli occhi che poter vedere un talento così puro penso sia edificante per qualsiasi allenatore. Se posso dare una visione diversa, il giocatore che più di tutti mi sarebbe piaciuto allenare è Osmany Juantorena. Il destino ha voluto che dessi le dimissioni 15 giorni prima che Osmany entrasse a far parte della nazionale. Sono sicuro che avremmo potuto fare un bel cammino assieme”.

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