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Massimo Colaci, da Ugento all’azzurro: “Al Sud servono strutture e risorse”

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Di Agnese Valenti

Dopo una pausa estiva, Volley NEWS torna a parlare di personaggi, storie, opportunità e problemi della pallavolo con il ciclo di interviste “Storie dal Sud“. E lo fa con quello che forse è il giocatore più rappresentativo del Mezzogiorno nell’ultimo decennio: il libero Massimo Colaci, salentino doc. Oltre a un palmares invidiabile con 4 scudetti, 4 Coppe Italia, 5 Supercoppe Italiane, una Champions League e un Mondiale per Club, “Max” vanta una lunga e fortunata carriera in nazionale, culminata nell’argento a Rio 2016 e terminata solo qualche settimana fa, dopo le Olimpiadi di Tokyo. E, naturalmente, una storia ancora tutta da scrivere con la Sir Safety Conad Perugia.

La carriera di Colaci è iniziata nella sua città di origine, con la Pallavolo Falchi Ugento, per poi proseguire a Corigliano; nel 2008 il primo trasferimento a Nord con Verona, prima delle esperienze a Trento e Perugia. Ecco la sua intervista in esclusiva per Volley NEWS.

Foto Sir Safety Perugia

Quali pensa siano i problemi principali dello sviluppo della pallavolo al Sud? Crede che il panorama pallavolistico meridionale, ed in particolare pugliese, sia cambiato negli ultimi 15-20 anni?

Ho iniziato a giocare quando avevo 10 anni, sempre ad Ugento, ero veramente piccolino. Poi ho girato un po’, tra Corigliano, Verona, Trento e Perugia. Fino a qualche anno fa, in Puglia c’erano tantissime squadre tra Superlega e Serie A2: Molfetta, Taranto che va e viene, Castellana Grotte. Negli anni ’80 abbiamo avuto la Serie A anche a Ugento. Il problema è che le risorse, come al solito, sono un po’ limitate. Ad alti livelli, ci possiamo girare intorno quanto vogliamo, occorrono le risorse economiche: c’è poca gente che ha voglia di investire nella pallavolo, anche perché non c’è un grandissimo ritorno.

Allora, o sei fortunato ed hai un presidente che magari ha delle disponibilità economiche e crea una struttura adeguata ed organizzata, oppure è difficile andare in giro a raccattare sponsor, soprattutto in questi ultimi due anni. Ma anche se andiamo indietro di qualche anno, il discorso cambia poco. Mancano le strutture: purtroppo, i luoghi in cui ci sono degli impianti adeguati sono pochi. Io ho avuto la fortuna di vedere tante realtà: Trento, ad esempio, sotto questo punto di vista è qualcosa di eccezionale. Anche i ragazzi di 12-14 anni venivano messi nelle migliori condizioni possibili, quasi come giocatori di Serie A“.

Foto Federazione Italiana Pallavolo

Lei pensa che manchi l’appoggio politico che hanno altri sport, primo tra tutti il calcio?

Questo sicuramente! Si è visto durante il lockdown: noi siamo stati fermati immediatamente. Nessuno voleva prendersi responsabilità, nessuno voleva aspettare. Mentre invece per il calcio hanno aspettato ed in qualche modo si è arrivati alla fine. È evidente come i vari sport siano stati trattati in maniera diversa. Però ovviamente non è solo colpa del politico o della politica in generale: probabilmente anche noi, che facciamo parte di questo mondo, dovremmo fare di più e meglio“.

La squadra in cui è rimasto per più tempo è stata la Trentino Volley, che vanta uno dei vivai più “produttivi” d’Italia. Cosa pensa manchi alle squadre del Sud per riuscire a realizzare un settore giovanile così influente ed importante?

Non c’è la voglia di investire veramente nei giovani. Ad Ugento, per esempio, non c’è più la squadra di Serie A come un tempo, ma vedo che c’è comunque tanta voglia ed inventiva; tanti miei amici fanno di tutto per aiutare e far giocare questi ragazzini. Però si arriva fino a un certo punto: più di quello non si riesce a fare. A Trento era qualcosa di incredibile: non solo per gli sforzi della società, c’erano aiuti anche dalla Provincia e dalla Regione. Al Sud, io parlo soprattutto della Puglia, non so quanto interesse ci sia di aiutare questi ragazzi. Eppure da noi la pallavolo è sempre stata seguitissima: quando abbiamo giocato con la nazionale, abbiamo trovato palazzetti strapieni e grande calore. Basterebbe poco – anche se non è poco, in realtà – per cercare di ricreare quell’entusiasmo“.

Foto Sir Safety Perugia

Lei è uno dei giocatori meridionali più rappresentativi della nazionale italiana. Pensa che i risultati ottenuti negli anni, come l’argento a Rio, abbiano stimolato i giovani del Sud ad avvicinarsi alla pallavolo?

Quando la nazionale ottiene dei risultati importanti aumenta sempre il seguito. Purtroppo, noi in questi anni non abbiamo mai vinto, mentre la femminile è tornata a farlo ultimamente. Certo, una medaglia d’oro avrebbe sicuramente fatto avvicinare molta più gente, molti più giovani. Speravamo di finire un po’ meglio queste ultime Olimpiadi: poi però arrivi lì e te la giochi, e purtroppo non è andata benissimo. Anche nel 2016 l’argento olimpico non è stato sfruttato nel migliore dei modi: non si è parlato tanto di quella medaglia, potevamo sfruttarla meglio, avere più visibilità. A parte il primissimo periodo, dopo i primi due-tre mesi non se ne parlava più. Io capisco che non si debba restare ancorati al passato ma guardare al futuro, però quei risultati lì bisogna sfruttarli meglio: con i social, con la pubblicità. Insomma, in qualche modo“.

Le ultime qualificazioni olimpiche, sia femminili che maschili, si sono svolte in due città meridionali, Catania e Bari. Questi importanti eventi internazionali e la calorosa partecipazione del pubblico possono incoraggiare gli imprenditori ad investire in progetti durevoli e solidi al Sud?

Lo spero. In quel palazzetto a Bari ci ho giocato anche in campionato, ma in quel caso era completamente vuoto: c’è tanta differenza! È chiaro, la nazionale porta entusiasmo. È stato molto bravo anche l’attuale presidente Manfredi, che ha contribuito alla nazionale e anche la finale di Coppa Italia: è stato uno spettacolo. Il problema è che nelle grandi città c’è quasi sempre una squadra di calcio, e spesso gli interessi vanno lì. Questo perché con il calcio c’è un ritorno: ci sono i diritti televisivi, i vari sponsor sono più interessati. Bisognerebbe rivoluzionare un po’ tutto, fare in modo che anche gli sponsor abbiano il loro ritorno. Noi parliamo ancora di palazzetti al 35% di capienza, mentre abbiamo visto stadi e palazzetti all’estero strapieni: è chiaro che tutto perde un po’ di appeal“.

LE PUNTATE PRECEDENTI:
1. La questione meridionale nel volley: perché manca il Sud ad alti livelli?
2. Filippo Maria Callipo: “Sacrificio e costanza, le chiavi del successo di Vibo”
3. Carlo Parisi: “Al volley del Sud mancano cultura e capacità dirigenziale”
4. Giuseppe Guarracino e il network Volley Lab: “Al Sud servono buoni esempi”
5. Vincenzo Di Pinto: “Il Mezzogiorno deve crescere nella capacità di fare sistema”
6. Valeria Caracuta e il volley al Sud: Difficoltà doppie, ma si può fare

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