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Giuseppe Guarracino e il network VolleyLAB: “Al Sud servono buoni esempi”

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Di Agnese Valenti

Il viaggio di Volley NEWS nella pallavolo delle regioni del Sud, con i suoi problemi ma anche le sue opportunità, prosegue con una nuova intervista. Questa volta partiamo da un esempio più che positivo, quello di VolleyLAB, network che riunisce 30 società pallavolistiche di 8 regioni meridionali con il claim “Pallavolo made in Sud“: ne parliamo con il fondatore e coordinatore tecnico Giuseppe Guarracino.

Come nasce l’idea di volleylab.com e come si è sviluppata questa realtà?

Nel corso degli anni sono stati creati svariati contesti associati alla denominazione ‘Volley Lab’: ricordiamo realtà di primo livello come Quasar Massa o Imoco Volley Conegliano. Addirittura il settore tecnico Fipav ha creato un proprio Volley Lab. Noi l’avevamo già strutturato fin dal 2004, ma è specialmente negli ultimi cinque anni che abbiamo sviluppato questa progettualità incentrata sull’organizzazione di tornei, eventi, stage, summer camp, formazione dirigenziale e tecnica. Ci ispiriamo alla strutturazione dei network più famosi e importanti in Italia, come quelli del Consorzio Vero Volley e della Scuola di Pallavolo Anderlini, ma anche ad altri progetti che hanno assunto questa forma: nel 2015 abbiamo provato ad associarla alle otto regioni del Sud che hanno più bisogno di una spinta da un punto di vista organizzativo e tecnico, a livello di idee e a livello di persone che portino avanti con passione dei progetti pluriennali sui territori.

Non abbiamo solo realtà d’eccellenza, ma ritroviamo una grande varietà di contesti all’interno di volleylab.com. Ad esempio, in questi cinque anni abbiamo avuto società che hanno militato in A2 Femminile così come anche società che hanno fatto solo campionati giovanili o promozionali. Avere un riferimento territoriale in ogni regione ci ha permesso di diventare, in pochi anni, il circuito di pallavolo giovanile più grande del Sud Italia”.

C’è purtroppo una risaputa differenza tra lo sviluppo di squadre di alto livello (sia nel femminile che nel maschile) nelle regioni del Centro-Nord e nelle regioni del Sud. Molto spesso si fa solamente riferimento all’aspetto economico del problema, ma secondo lei ci sono altri fattori che sfavoriscono lo sviluppo di questa disciplina ad alti livelli al Sud?

Ho tanti amici nella pallavolo d’eccellenza del Nord ed ho avuto la fortuna di vivere da vicino realtà come Orago, Anderlini o l’Asystel Milano di tanti anni fa: ho visto come si sono evoluti alcuni di questi contesti. Al Sud il problema sostanziale è che abbiamo dei cattivi esempi: si perpetua un modello di società che tende a fiorire per poi scomparire. Alcune di queste cattive abitudini sono state assorbite come una mentalità. Tutto ciò di nuovo che nasce non viene guidato sul giusto percorso. Quando qualcuno coltiva qualche idea nuova, con tanta volontà, si ritrova a lottare con altre società che arrivano per prime ad un determinato obiettivo, ma non ci arrivano con i mezzi giusti. Sono progetti che poi durano poco e lasciano strascichi sotto tutti i punti di vista.

Nessuno ha il coraggio di scegliersi il ‘buon esempio’: analizzarlo, valutarlo e portarlo avanti. È chiaro che spesso sono quelli i percorsi più faticosi. È più facile individuare obiettivi più a breve termine che creare qualcosa che duri nel tempo. Ci sono società che fin dall’attività territoriale hanno velleità di arrivare ai massimi livelli senza sapere nemmeno come fare. Per riuscirci coinvolgono semplicemente uno sponsor (magari il padre della propria campionessa di turno), sperperano le uniche risorse disponibili e poi si ritrovano senza sponsor, senza campionessa e con un pugno di mosche in mano: non è questo il modo di fare pallavolo. Noi, attraverso volleylab.com, cerchiamo di migliorare questi aspetti: vogliamo ispirare confronto, creare solidi valori ed una formazione etica che aiuti le società a trovare il percorso giusto“.

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L’obiettivo principale del vostro network è quello di creare percorsi sportivi e tecnici che diano una concreta possibilità ai giovani talenti meridionali di sviluppare la propria carriera sul territorio. Con quali mezzi cercate di raggiungere questo intento?

Da questo punto di vista non abbiamo cercato troppi consensi sul territorio: abbiamo semplicemente cercato di far capire che far crescere il network, a cui si cerca di sviluppare un senso di appartenenza, potrebbe essere più importante che portare avanti la propria bandiera e nei momenti di difficoltà trovarsi solo. Portiamo avanti questi valori attraverso le associazioni che ci rappresentano. Cerchiamo di individuare la metodologia corretta, di trovare qualcosa di innovativo da condividere tra di noi. Proviamo anche a valorizzare risultati che altrove hanno molto più risalto: vincere un titolo provinciale a Milano oppure a Monza non è come vincerlo da noi al Sud. Non solo per il valore tecnico, ma anche per la ricaduta sulla società stessa. Spesso al Sud il risultato passa inosservato. Porta più blasone e prestigio ad una società del Centro-Nord che ad una del Centro-Sud“.

Purtroppo i giovani talenti del Sud sono spesso costretti ad emigrare proprio a causa della mancanza di realtà di alto livello (Superlega e Serie A1 femminile) dal territorio. Come si può cercare di incentivare le piccole società a “coalizzarsi” per cercare di creare realtà più grandi e competitive a livelli più alti?

È un tema che può essere diviso in tre aspetti. Il primo è quello sociale: il ragazzo o la ragazza del sud emigra per ‘definizione sociale’, perché sente che il suo futuro è fuori dal proprio territorio, e questo ovviamente limita lo sviluppo delle realtà locali. In secondo luogo, spesso al Sud non diamo valore a quello che facciamo: dovremmo sentirci dei territori che possono anche accogliere e non soltanto da cui ‘scappare’. Infine, le società dovrebbero iniziare a fare un salto di qualità nella programmazione: la soddisfazione non deve consistere nel raggiungere lo stesso obiettivo che altri hanno ottenuto con mezzi non adeguati, ma nello sviluppare l’organizzazione logistica, le risorse umane, la gestione economico-fiscale. Chi cresce in questi aspetti riesce a strutturare una realtà più duratura e su territori più ampi. Bisognerebbe iniziare ad aprire gli occhi da questo punto di vista e vivere la propria società meno ‘egoisticamente’.

Lavorate molto con i settori giovanili, organizzando tornei sul territorio ma anche stage sulla gestione operativa dei gruppi giovanili. Quali sono le difficoltà logistiche che le società del territorio più spesso incontrano?

Anche in questo caso possiamo associare questa situazione a un problema di mentalità: al Nord ho visto genitori fare tutti i giorni decine di chilometri per accompagnare l’atleta al contesto d’eccellenza di turno. Al Sud sembra invece che spostarsi anche da un paese all’altro sia impossibile da organizzare. Anche le famiglie non inquadrano l’attività sportiva d’eccellenza come qualcosa che si riesca ad incastrare nella vita quotidiana. Siamo comunque fiduciosi che pian piano le cose cambieranno in meglio e magari chissà anche allenarsi tutti i giorni diverrà una prassi anche da noi“.

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Abbiamo constatato che un’altra grave difficoltà di buona parte del Meridione è la carenza oppure l’abbandono delle infrastrutture: qual è il quadro della situazione, nella vostra esperienza?

Alcune località hanno delle ‘cattedrali nel deserto’: ad esempio, ricordo paesini in Calabria o Sicilia con poche migliaia di abitanti che dispongono di mega strutture che potrebbero ospitare grandi eventi, ma logisticamente isolate. All’opposto in una città di milioni di abitanti, come Napoli o Palermo, ci sono strutture che puntualmente vengono rese fatiscenti da un’assenza di manutenzione e poi magari chiuse per anni interi in attesa dell’appalto. Esistono dei paradossi da questo punto di vista. In secondo luogo, sicuramente la pubblica amministrazione del Sud relega lo sport in una posizione di secondo piano. I tempi dello sport sono veloci, sono situazioni in cui bisogna prendere decisioni in poco tempo. Ma spesso gli interessi sportivi non riescono a collimare con quelli dell’amministrazione pubblica e dei suoi tempi ‘preistorici’. A volte il giusto riscontro, sia burocratico che morale, non avviene affatto“.

La scuola è un vettore molto importante per la pallavolo: le società del vostro network operano all’interno di questa realtà? In che modo?

Tra i nostri direttori tecnici (uno per ogni regione) e referenti, più della metà sono insegnanti di Educazione Fisica. Gli altri si relazionano comunque alle scuole con progetti ad hoc, come avviene ad esempio in Molise e Abruzzo. In Basilicata abbiamo un forte rapporto con le istituzioni, specialmente a Potenza, dove la pallavolo e tante altre attività si sono sviluppate, grazie al supporto degli enti, anche nei luoghi più disparati come il parco urbano. Abbiamo in cantiere l’istituzione di alcuni eventi da destinare sia ai più piccoli che ai teenager: penso che riuscire a portare a compimento il prima possibile anche solo il primo di questi appuntamenti sarà la base della nostra ripartenza“.

LE PUNTATE PRECEDENTI:
1. La questione meridionale nel volley: perché manca il Sud ad alti livelli?
2. Filippo Maria Callipo: “Sacrificio e costanza, le chiavi del successo di Vibo”
3. Carlo Parisi: “Al volley del Sud mancano cultura e capacità dirigenziale”

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