Marcos Milinkovic: "Sogno una panchina in Europa. Italia, che ricordi!"

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Di Paolo Frascarolo

Marcos Milinkovic, Un giocatore fantastico, che ha fatto sognare tantissimi tifosi nel campionato italiano con le maglie di Livorno, Treviso ma soprattutto Milano, dove vestiva la maglia di quella incredibile favola chiamata Asystel. Una classe incredibile, capace di accendere i palazzetti, che gli ha permesso di vincere “solo” una Coppa Italia, una Coppa dei Campioni e una Supercoppa Europea. Senza dimenticare, ovviamente, il titolo di miglior giocatore al Mondiale nel 2002.

L’ex opposto della nazionale argentina, ha firmato da pochi giorni un accordo con la società sportiva dell’Università 3 febbraio (UnTreF) che lo impegnerà come direttore tecnico e manager sportivo del club e del suo settore giovanile. Ma Marcos, che settimana scorsa era passato dall’Italia per una rimpatriata con i vecchi compagni dell’Asystel dei miracoli, capace di arrivare nella sua prima stagione in A1 alla finale scudetto, stava cercando un ingaggio come allenatore e sembrava essere molto motivato a tornare a lavorare in Italia. Evidentemente l’offerta dell’UnTreF lo ha colto di sorpresa e lusingato. Milinkovic ha accettato ma il suo obiettivo è tornare in Europa non appena ci sarà un’occasione di lavoro concreta, come emerge dalle sue parole nell’intervista che la nostra redazione gli ha dedicato.

Ha sempre pensato di intraprendere la carriera da allenatore?
“Con il tempo, quando ho iniziato ad essere un giocatore più maturo, mi rendevo conto quanto mi piacesse aiutare i più giovani sul campo e fuori. In quel momento ho capito che la panchina potesse essere una strada percorribile”.

Reputa sia cambiato il suo approccio al lavoro passando da giocatore ad allenatore?
“Sono due cose veramente diverse. Quando sei un giocatore, il tuo unico pensiero è quello di allenarti al massimo: una volta a casa stacchi la spina, e pensi a riposarti. Quando sei un allenatore, invece, il tuo lavoro ti prende a 360°. Sei coinvolto anche quando torni a casa con video, analisi e programmazione. Quella dell’allenatore è una figura realmente lavorativa”.

Esistono differenze rilevanti tra il campionato argentino e il nostro?
“C’è una profonda differenza dal punto di vista organizzativo: l’Italia è molto più avanti. Dal punto di vista economico, in Argentina solo pochi club, come il Personal Bolivar e il UPCN Voley di San Juan, hanno i soldi per creare un roster competitivo. In Italia si investe maggiormente”.

Ora ha accettato un incarico da Direttore Tecnico. Cosa vede nel suo futuro?
“La mia è una scelta temporanea: ho infatti un sogno nel cassetto. Mi piacerebbe tantissimo allenare in Europa, dove il livello tecnico è altissimo. Parlo di campionati come quello italiano, francese e turco, ma non solo. Poter allenare in una nazione che viva di pallavolo, dove si possa anche investire”.

In Italia ha lasciato un ricordo bellissimo…
“Sono appena stato in Italia e ho provato emozioni fortissime. Nella mia carriera ho girato molto, ma l’Italia mi è rimasta veramente nel cuore. A Milano sono stati 3 anni indimenticabili, che ricordi quell’Asystel…”

Quale differenze vede tra gli opposti attuali, e quelli degli anni ’90?
“L’opposto è un ruolo che fortunatamente ha subito meno evoluzione rispetto ad altri ruoli nel confronto con il passato. I cambiamenti sono visibili, soprattutto gli schiacciatori hanno imparato ad attaccare con una velocità notevole. L’opposto forse è dotato di ancora più fisicità”.

C’è qualche interprete di questo ruolo che le ricorda Marcos Milinkovic?
“Ci sono molti opposti di alto livello nel mondo. Quelli che più mi hanno impressionato alle scorse Olimpiadi sono stati Ivan Zaytsev e Wallace, due giocatori incredibili…”.

Semplicemente, aggiungo, Marcos Milinkovic.

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Rinaldi, biennale in Giappone: “Vi racconto perché vado, i dubbi iniziali e… Modena”

Sale in Zucca

Osaka Blazers Sakai. Tutto o niente. Bianco o nero, o bianco e rosso se si ragiona per cromatismi della vita, e per la nuova bandiera d’appartenenza pallavolistica di Tommaso Rinaldi. La vita è fatta di cambiamenti, spesso radicali, di sfide che portano uno dei primi di italiani, ma di quelli che si candidano ad essere primi della classe a sbarcare nel campionato nipponico, dopo un passato anche recente fatto di Modena, patria del tifo sfegatato, del palazzetto che si riempie dell’entusiasmo e della mitomania, che è poi tipica del giapponesismo del volley. Lui è Tommaso, occhi di ghiaccio, voglia ed esigenza di essere più grande dei suoi 24 anni, destino di essere grande tra i grandi. 

L’entusiasmo per questa nuova avventura c’è tutto, anche se il pensiero di rinunciare a ciò che lo rende uno dei volti più interessanti della Superlega è tuttora presente.

“Osaka è nata per caso. È una destinazione a cui non avevo mai pensato finché all’inizio dell’anno, l’allenatore dei Blazers mi ha contattato su Instagram per sondare la volontà o la mia curiosità di giocare in un campionato così lontano da casa. Se vogliamo, lontananza a parte, è un campionato davvero diverso dal nostro, ma stimolante”.

Non voglio parlare della trattativa in sé. Volevo capire come è iniziato il suo processo di lento sradicamento da una città che lei ama tanto.

“C’è stato subito il confronto con la mia famiglia e con il procuratore anche solo per capire assieme cosa pensassimo di un passo del genere. Non ho ragionato pensando a ciò che mi veniva offerto, non è stato quello l’aspetto che mi incuriosiva di più. Ho pensato se fosse un’opportunità a quest’età e se davvero il Giappone potesse rappresentare un investimento sulla mia carriera”.

Che risposta si è dato?

“Sono rimasto colpito dall’attenzione e dal pensiero fatto da parte della società. Inizialmente ho pensato anche a Modena, perché non volevo lasciarla. Al di là della società in cui sono cresciuto, in cui ho vissuto per moltissimi anni, il pensiero è andato a ciò che mi ha dato tanto e che avrei dovuto lasciare. Ho un’offerta biennale a Osaka, segno che il progetto è lungo e che la volontà di fare bene c’è tutta”.

So che troverà un giocatore che già conosce.

“Sì, Matt Anderson. Saremo compagni di squadra e potremo fare assieme una bella stagione”.

Anderson e Rinaldi. Possiamo fare delle similitudini?

“Mi dica”.

La pallavolo giapponese vive di simbolismo, un po’ come tutta la cultura. Penso ai vostri due volti. C’è tanto marketing. Siete molto belli, siete due volti innocenti, siete un po’ uno stereotipo occidentale. Il volley un po’ pop vende biglietti?

“Sicuramente faremo clamore. Se parliamo di canoni estetici, rappresentiamo forse qualcosa di pulizia e trasparenza, non so quanto questo conti. Sono un popolo molto devoto alla pallavolo, molto attento, che esprime con moderazione ed educazione la propria gratitudine e il proprio affetto e simpatia nei confronti degli atleti”.

L’emozione c’è?

“C’è curiosità. Partirò ad agosto e sarò solo in questa prima fase. Se mi vuole chiedere quanta paura ho della solitudine, del fatto che sarò dall’altra parte del mondo per la prima volta per così tanto tempo, le dico che dovrò imparare a gestire tutto, ma sono fiducioso. Papà e mamma sono stati determinanti e mi hanno lasciato libero, senza il rimpianto di non avermi più a Modena a due passi da casa”.

Rinaldi, mi fa specie vederla diventare così grande.

“Sono cresciuto anche io. Questa è una grande occasione arrivata nel momento giusto”.

Intervista di Roberto Zucca
(©Riproduzione riservata)