Luca Vettori, “Giocatori scavalcati e zittiti: siamo o non siamo lavoratori anche noi?”

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Di Redazione

Con un lungo post sulla propria pagina ufficiale di Facebook anche Luca Vettori, opposto lo scorso anno a Trento e che in precedenza ha vestitole maglie di Modena, Piacenza, Club Italia e Parma, è intervenuto nel dibattito che riguarda i giocatori come soggetti coinvolti nella questione coronavirus.

Vettori assume una posizione critica nei confronti della Lega che avrebbe reso i giocatori dei soggetti senza diritto di parola in una vicenda che li coinvolge in prima persona. Vettori tocca molti temi: la mancanza di coesione tra gli atleti e di un sindacato chiedendosi, in coda se anche gli atleti siano da considerare lavoratori e dunque soggetti sociali e politici a tutti gli effetti.

Riportiamo per intero la posizione di Vettori con un link diretto al suo post per chi volesse esprimere un commento in merito.

***

La Lega Volley non ci ha resi Soggetti, Soggetti pensanti, Soggetti in dialogo.

Con il fantomatico regolamento interno ad hoc che consegna alle Società di Superlega, Serie A2, Serie A3, la possibilità di iscriversi alla prossima stagione avendo pagato il 70% degli ingaggi, finora ci ha reso degli oggetti scavalcabili ai quali il diritto di dialogo e di parola è stato tolto. Come a dire: “La decisione è presa, il Consorzio è il nostro, voi non avete voce in merito.”

In conseguenza della crisi attuale, in molti ambiti, ci si sta più o meno prontamente interrogando su come proteggere, tutelare i diritti di ciascuno. Ovvero rendere i soggetti Soggetti.

I pallavolisti, oltre ad essere degli sportivi dilettanti, quindi dei non-lavoratori (e tutto ciò che ne consegue, e senza ipocrisie), non hanno la possibilità di essere Soggetti.

Perché non hanno un sindacato che tuteli i loro diritti e la loro voce.

E perché, in questo modo, sono spettatori passivi di amministrazioni dalle quali non vengono considerati Soggetti, bensì oggetti-merce.

Senza una coordinazione e una solidarietà di categoria i pallavolisti non riusciranno a far valere la propria opinione, che sia essa nel merito degli stipendi, dei cartellini, dei calendari, degli infortuni, dei trasferimenti. La libertà degli atleti è relativa, ovvero sottoposta a decisioni altrui.

La classe dei pallavolisti ha bisogno di organizzarsi collettivamente e avere coscienza del destino comune di tutti i suoi membri. Fintanto che si rimarrà individualizzati e che tutto si risolverà in relazioni personali (tra un atleta, un procuratore, una squadra) non si avrà alcun peso e si sarà esposti ai soprusi.

Forse ieri abbiamo compiuto il primo passo per un’iniziativa comune che può trasformarsi in una svolta.

Ovviamente tutte queste questioni andavano pensate e agite prima di una crisi economico-sanitaria-culturale. E non per pararsi il culo, ma per poter rappresentare una voce nel dialogo.

I diritti di base di un lavoratore dipendente (dalla malattia, alla disoccupazione, alle sue scelte private) non sono proporzionali al suo salario, sono universali.

Sono i diritti di un lavoratore a renderlo un Soggetto.

E dei diritti devono pre-occuparsi gli atleti quanto la Lega Volley e le società da cui dipendono.

È il Governo, grazie alla sua competente discrezione (ci si augura), a ripartire le disuguaglianze economiche e sociali.

Il premio che la Lega Volley e le società cercheranno (credo) di chiedere al Coni e allo Stato per risarcire la loro mancata attività a causa Covid, perché non può essere discusso in un dialogo anche con la parte imprescindibile per la sopravvivenza dello sport, ovvero gli atleti?

Non si tratta di voler ottenere la totalità dei compensi, che sarebbe utopico e ingiusto. Si tratta innanzitutto di essere una voce di Soggetti con dei diritti che dialogano per una trattativa che, forse, cerca obiettivi comuni.

Il regolamentino legge scritto dalla Lega Volley mi riporta alle recenti preoccupazioni verso la legittimizzazione di uno “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario”. Ovvero: lo stato di emergenza può essere accettato dai cittadini (dagli atleti), nel rispetto di un bisogno collettivo (da definire). “Fino a che punto si può però spingere il “bilanciamento”, cioè il sacrificio di diritti costituzionali in nome della pretesa tutela della salute collettiva?”

Occorre, se non altro, prestare grandissima attenzione a come l’applicabilità di questa decisione viene formulata e accolta, per tutelarsi nel presente e, ancora più, nel futuro.

C’è ad oggi l’urgenza di trovare soluzioni nuove senza l’auspicio di ritornare alla vecchia normalità. E dunque è necessario rispondersi alla domanda base, quasi implicita, che impone di capire da che parte stare.

Io-atleta sono un lavoratore? E in quanto lavoratore, io atleta, posso essere un soggetto sociale e politico?

https://www.facebook.com/vettoriluca/posts/1284764555052930

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