L’ex ct azzurro Carmelo Pittera "Nel ’78 arrivammo in finale solo grazie al pubblico di Roma"

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Di Redazione

Era l’inizio della pallavolo in Italia. Fu colui che rese grande la Nazionale Maschile, prima della “generazione di fenomeni”, Carmelo Pittera, ha raccontato ai microfoni di “Repubblica Sport”, il Mondiale del 1978.

La notte dei tempi della pallavolo italiana a un certo punto non fu più notte, e quel momento ha una data esatta, il 1° ottobre 1978…… In diretta dal PalaEur, c’era Italia-Urss, finale del Campionato mondiale di pallavolo. A dirigere gli azzurri in quella «meravigliosa sconfitta» c’era Carmelo Pittera. Il padre del Gabbiano d’Argento, così fu soprannominata quella nazionale, oggi ha 73 anni, la sua voce è ancora sussurrata e flebile, con un forte accento catanese. È in Grecia, in vacanza.

Inizia il Mondiale in Italia e lei va in Grecia, Pittera? «La pallavolo è una vecchia storia, anche se è stata la mia vita. Vado a cercare il mare che non c’è più da noi, nemmeno in Sicilia. Il mare è la cosa più bella che esista».

Più della pallavolo? «La pallavolo è uno sport completo, ricco di sfumature: ne avevamo intuito a quei tempi le potenzialità pedagogiche, era il gioco più praticato nelle scuole, era uno sport da palestre. Noi lo portammo fuori».

Cosa la colpì in quei giorni incredibili? «Vidi tanta gente appassionarsi a un gioco totalmente sconosciuto, di cui non conosceva le regole. Ma a istinto, come accade ai bambini con un gioco nuovo, seppe capire al volo. La pallavolo è uno sport semplice ma anche complessissimo da giocare. Ci sono dei meccanismi esatti, come quelli di un orologio».

Foto Gazzetta dello Sport

Roma vi scortò fino alla finale. «Il PalaEur era impressionante. Molti ragazzi li avevo portati in nazionale da Catania, avevamo vinto quell’anno il primo scudetto di una squadra siciliana nella storia dello sport italiano. I giocatori erano identificati con le città nelle quali erano nati: i catanesi giocavano a Catania, i torinesi a Torino, i milanesi a Milano. Creammo in due settimane un seguito formidabile. Ma era talmente fuori dal mondo che l’Italia potesse giocare bene a pallavolo che durante la finale, tale era l’impreparazione anche della Rai, interruppero il collegamento per mostrare una corsa ippica».

La pallavolo era lo sport d’elezione dei paesi comunisti. «L’Est dominava, i giocatori provenivano dalle squadre delle forze armate, il regime predicava la superiorità degli sport di destrezza su quelli di forza. Molti pallavolisti venivano dalla ginnastica artistica, erano corpi allenati e disciplinati».

Come vissero la possibilità di venire a giocare un Mondiale in Occidente? «Per loro fu la scoperta del lato frivolo della vita, del consumismo, era già accaduto durante le Olimpiadi del ’60. In un certo senso, è attraverso lo sport che il comunismo ha iniziato a sfarinarsi, gli atleti erano i pochissimi sovietici che potevano viaggiare, informarsi, vedere con i loro occhi quanto accadeva nel nostro mondo».

Prima della finale con l’Urss avevate battuto un altro Paese comunista, Cuba. «Grazie al pubblico di Roma, solo grazie a esso».

Finale ingiocabile con l’Urss. «Erano vent’anni avanti per tecniche di allenamento, preparazione, studi. Ma la loro spinta si esauriva allora. Avrebbero vinto un solo altro Mondiale, quattro anni dopo».

Invece quel Mondiale fu la nostra fortuna. «Iniziammo a studiare. E creammo il programma Volley ’85, con Alexander Skiba e altri grandi allenatori dell’area sovietica. La Generazione di Fenomeni nacque così, Velasco arrivò a lavoro completato e si trovò in mano una squadra di ragazzi selezionati e impostati dal nostro lavoro febbrile, che non viene molto spesso ricordato, purtroppo».

Oggi di cosa si occupa? «Studio i rapporti tra il sistema cognitivo e l’apparato motorio, seguo i lavori della Fundacion Carmelo Pittera e della mia creatura, lo PSI.CO.M. La formazione di una classe di insegnanti e di tecnici dello sport è fondamentale per dare un futuro attivo alle nuove generazioni. È una piccola missione».

Ma il Mondiale lo seguirà? «Da lontano, la Fipav non mi ha ancora invitato. Ci proverò. L’Italia è molto forte».

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