Le donne nello sport: lo stato del professionismo sportivo in Italia

DATA PUBBLICAZIONE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti
SHARE
SHARE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti

Di Redazione

Le donne nello sport? “Anche se partecipano a Mondiali e Olimpiadi non sono considerate professioniste”. Parla il manager Paolo Lugiato: “In Italia? Ecco qual è la situazione”.

Sabato 2 dicembre, per la prima volta, Rai Sport ha trasmesso Brescia-Juventus di calcio femminile in diretta, a seguito di una campagna di pressione da parte di diversi opinion leader. Tra questi Paolo Lugiato, manager emergente nei settori dell’energia e dei media, che è apparso ultimamente molto impegnato a fianco dell’associazione Assist e di alcune atlete di spicco a favore dei diritti delle donne negli sport. Un impegno preciso, proprio in un momento storico in cui si ribadisce l’importanza di rinnovare sforzi a favore dei diritti delle donne, ancora molto spesso trascurati. “Tutto nasce dall’esperienza fatta due anni fa come Amministratore delegato della squadra di pallavolo di A1 Unet Yamamay e dal paragone con il mondo dell’azienda, dal quale provenivo. Nel 2017 nessuno mai in Italia si sognerebbe di mettere in discussione alcune tutele inalienabili del lavoratore, come la pensione, maternità, la malattia e l’infortunio. Nelle discipline sportive femminili invece è incredibilmente così”, spiega Lugiato. “La situazione italiana è ancora ancorata alla legge sul professionismo sportivo del 1981, che delega al Coni e alle singole Federazioni la decisione su quali discipline possano essere considerate professionistiche. Ad oggi nessuna disciplina sportiva femminile è professionistica e per questo nessuna atleta donna italiana può essere considerata professionista, nemmeno se gareggia in un mondiale o a un’Olimpiade. Di conseguenza non ha nessuna delle tutele citate”.

Ma gli italiani come vedono le donne in sport tradizionalmente considerati ‘maschili’ ai livelli più alti? Si tratta davvero di un impegno professionistico? “Le atlete della pallavolo che ho avuto modo di frequentare si allenano tutte le mattine e i pomeriggi della settimana, e nel weekend hanno la partita. In alcuni contratti a questo si aggiungono vincoli importanti, come regimi alimentari molto severi, limiti sulla pratica di altri sport come quelli invernali, obbligo a partecipare agli eventi degli sponsor. Si tratta in tutto e per tutto di un rapporto di lavoro subordinato, che però non gode di tutele adeguate”. E le conseguenze reali le spiega lo stesso Lugiato: “Per andare sul pratico, un’atleta non accumula contributi e in sostanza quando termina la sua carriera è come se partisse da zero. Alla stessa maniera molti dei contratti prevedono una interruzione in caso di gravidanza, e in ogni caso anche chi non ha questa clausola a fine anno ovviamente non troverà una nuova squadra e dovrà stare una stagione fuori dal giro senza alcuna forma di tutela. Anche gli infortuni gravi hanno un trattamento similare”. Tutto questo non è normale, come si può facilmente comprendere. E i media? Penalizzano gli sport femminili? “Sicuramente la bilancia è al momento totalmente a favore degli sport maschili, che generano share televisivi più alti e attirano più sponsor. L’esperienza però insegna che quando ci sono eventi di sport femminile di qualità, il grande pubblico si mobilità. Ricordo per esempio l’entusiasmo generato dai mondiali di volley femminile del 2014, in cui le azzurre arrivarono a un soffio dal podio. Comunque il vento sta cambiando direzione, e il fatto che Rai Sport abbia trasmesso Brescia-Juventus ne è la dimostrazione”.

Poi un punto di vista da manager sulle discriminazioni tra uomini e donne: ci sono? “Ho avuto la fortuna di lavorare in realtà dove questo non poteva davvero essere un tema. Personalmente ho quasi sempre trovato le mie colleghe molto più capaci, determinate e intelligenti dei colleghi di sesso maschile. E quando ho avuto la fortuna di guidare un’azienda ho sempre fatto in modo che entrambi i sessi fossero ugualmente rappresentati sia nel management team che tra gli altri dipendenti”. E, infine, uno sguardo agli ultimi casi che hanno sollevato polemiche: com’è realmente vista una maternità in un momento di carico di lavoro? “La maternità deve essere un momento di gioia. Un buon manager trova sempre un modo per riuscire a compensare l’assenza di una collega per qualche mese, e farle vivere l’esperienza con serenità. E anche il ritorno in azienda deve essere facilitato con azioni concrete, che aiutino le neo-mamme. Non è un caso che siano proprio le aziende meglio attrezzate, come Vodafone che ha incluso un asilo nella suo “village”, ad avere i più alti tassi di employee satisfaction”.

(Fonte: caffeinamagazine.it)

ARGOMENTI CORRELATI

CONDIVIDI SUI SOCIAL

Facebook

ULTIMI

ARTICOLI