Katia Grassi, da arbitro a infermiera in campo contro il virus: "E’ come giocare l’ultimo pallone, sul 14-13 nel tie break"

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Di Redazione

Katia Grassi, giudice di linea in 4 Mondiali, tra cui l’ultima volta in quelli del 2018, ora è impegnata ad arbitrare la sfida più difficile: quella contro il Covid19.

Dal 2003, Katia lavora per il Gruppo Humanitas a Bergamo in sala operatoria, ma per fronteggiare l’emergenza è stata selezionata per il reparto più critico, la Terapia Intensiva dell’Humanitas Gavazzeni. La sua esperienza la racconta a L’Eco di Bergamo, nell’edizione odierna:

«Ogni volta è come giocare l’ultimo pallone, sul 14-13 del quinto set. Quello che va messo a terra a tutti i costi. Perché questa è una battaglia che ci vedrà vincitori e che ci vede in campo per tanti tie­-break quotidiani».

Attualmente addetta al videocheck nei massimi campionati, e arbitro nel torneo di Serie B, continua:
«E’ una guerra molto dura da sostenere soprattutto psicologicamente. Per le incertezze del presente e pensando al futuro, tra la paura di ammalarsi e ancor più di trasmettere il virus. Ma io amo le sfide e mi sono messa in gioco per dimostrare a me stessa e agli altri di essere all’altezza per lottare in prima linea. Ci vuole personalità, ma tutto si può fare. Basta avere la volontà».

In corsia come nella pallavolo: «La professione si è evoluta in relazione alla contingenza. Prima era un’attività più programmata, ora è cambiato tutto. E indispensabile la forza del collettivo, oltre a conoscenza e competenza. E stupendo vedere come ognuno sappia fare la sua parte collaborando in perfetta sincronia. Ogni tassello è basilare per portare a termine la missione. Il momento più bello? La scorsa settimana, quando un paziente appena estubato mi ha sorriso e poi salutato con la sua voce. Ho pianto, ho cominciato veramente a sperare».

Conclude Katia Grassi:
«Ho terminato la mia esperienza come giudice di linea ­ sottolinea lei ­ con gli ultimi Mondiali del 2018 in Italia, per me era la quarta volta iridata, in cui sono stata arruolata per tutte le partite degli azzurri. Un’esperienza che porterò sempre dentro di me. Tensione e pressione sono le stesse, pur in ambito differente, del mio iter professionale. E non è concesso il minimo errore. Mio figlio mi ha sempre seguito e si sta costruendo, a sua volta, un percorso. Ai giovani va data una motivazione, un’opportunità di crescita e il tutto assume ancor più valore se, come nel suo caso, avviene in maniera naturale».

(Fonte: L’Eco di Bergamo)

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