Israele, la testimonianza di Secchi: “Chiuso tre giorni in bunker, ho avuto tanta paura”

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Dal campo di allenamento al bunker “con il rimbombo delle sirene che hanno cominciato a suonare all’impazzata“. In Israele lo scorso 7 ottobre, giorno dell’attacco missilistico di Hamas, c’era anche Luca Secchi, 48 anni, ex allenatore di Chieri nella stagione della promozione dalla A2 alla A1 e da un anno responsabile del Club Israele, l’equivalente del nostro Club Italia. A raccogliere la sua testimonianza di quelle ore drammatiche il collega Piero Giannico per Tuttosport.

“Alla popolazione è stato ordinato di rimanere nei rifugi antiaerei che sono stati progettati sotto le abitazioni – racconta Secchi –. Chi vive in quei territori si abitua a questo continuo botta e risposta tra israeliani e palestinesi, ma quella mattina ho capito che stava accadendo qualcosa di catastrofico. Sono stato nel mio appartamento-bunker per tre giorni a campare con viveri che avevo comprato di scorta“.

Poi, fortunatamente, la via di fuga per tornare in Italia: “Non si poteva uscire dal Paese, era tutto bloccato, poi per fortuna il 10 ottobre ho trovato un volo Tel Aviv-Larnaca (Cipro) e poi il diretto per Roma. L’aeroporto era inavvicinabile, sono riuscito a raggiungerlo da una via secondaria accompagnato in macchina da un amico che conosceva bene il territorio. Ho avuto tanta paura“.

Mi sono sentito in trappola e traditore – spiega ancora l’allenatore italiano –. In trappola perché non sai cosa stia succedendo per le strade: ci sono i terroristi armati che ti entrano in casa, sequestrano le persone, ammazzano i bimbi. Traditore perché vuoi scappare e tornare in Italia. Con la mia famiglia sono riuscito a parlare, ma ho minimizzato per non spaventarli“.

Che idea mi sono fatto di questa guerra? Avere un’opinione schierata è da presuntuosi e irresponsabili. È un conflitto talmente radicato nel tempo che ha sfaccettature molteplici e complicate. Stabilire chi abbia torto e chi ragione è assolutamente impossibile” afferma Secchi.

Messo per un attimo da parte l’orrore della guerra, ammesso che sia possibile visto quello che ha vissuto in prima persona, il collega di Tuttosport chiede al coach di raccontargli anche del suo lavoro, della pallavolo femminile in Israele: “Il livello è buono, il campionato di A1 ha tanti talenti. Quali le differenze? Bisogna adeguarsi alla loro cultura – spiega –. Se devo spiegare a un’atleta un semplice bagher o come mettere le mani a muro devo chiedere il permesso per toccarle le braccia. Se non mi viene concesso il permesso devo inventarmi qualcos’altro per arrivare allo scopo“.

(fonte: Tuttosport)

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