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Il toccante ricordo di Valeria Papa sulla tragedia del Ponte Morandi

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Di Redazione

I miei pensieri oggi si fermano qui, su questo vuoto a distanza di un passo, in un rispettoso silenzio che urla tristezza, rabbia e malinconia. Malinconia per un pezzo della mia città, della mia vita, sparito in un instante, trascinando con sé la vita di chi lo stava attraversando, proprio come molti di noi hanno fatto innumerevoli volte. La nostra da domani cambierà, anzi è già cambiata, ma non chiedeteci di rialzare la testa, perché, ancora una volta, una sciagura assurda ci ha colpito, ma la mia Genova purtroppo, ha già dimostrato a questo paese come si piange a testa alta”
14 agosto 2018

Quel giorno ero in Liguria, mi trovavo a Savona e sarei dovuta rientrare a Genova in mattinata, ma col mio fidanzato avevamo deciso di partire nel pomeriggio, nella speranza che diminuisse un po’ la pioggia. Stavo entrando in casa di mia nonna, per recuperare alcune cose, quando le chat di gruppo della mia famiglia e degli amici hanno iniziato a impazzire. Notifiche su notifiche, messaggi nei quali si chiedeva a tutti dove fossimo e come stessimo: «è caduto il ponte Morandi!».

Lo dico molto onestamente, per me quello era semplicemente “il ponte” oppure “il ponte di Brooklyn”, quindi ci ho messo un attimo per realizzare: aspetta un secondo, no, non è possibile, il Morandi, no, non può essere quel ponte, ci deve essere un errore. E poi il terribile pensiero che ogni giorno lo percorrono un’infinità di persone e nei periodi di festa, coi traghetti che salpano da Genova sarà stato intasato di traffico come al solito. Quante macchine o pullman lo stavano attraversando? Ma no, non può essere lui e invece nei video il suo profilo unico era inconfondibile. Sarà stata coinvolta qualche persona alla quale voglio bene? Mille pensieri che vagano rapidi, partendo da quello probabilmente passato nella mente di quasi tutti gli italiani che hanno attraversato la Liguria: «potevo esserci io». Non so se è stata questa riflessione a far sentire quella tragedia come un qualcosa che ti sarebbe potuto appartenere fino in fondo, oppure l’assurdità dell’avvenimento a muovere un sentimento di profondo dolore da un lato e di grandissima indignazione dall’altro, ma sono sicura che molti di noi manterranno vivo il ricordo di quei momenti: il ponte di una tratta cardine del paese che crolla, come se fosse stato un castello di carte rovinato su se stesso, portando con sé 43 vite, sconvolgendo quelle di molte famiglie e di una città intera.

Quel giorno, come era previsto siamo rientrati a Genova e passando lungo la strada parallela al ponte, sul mare, l’idea di quello che stava accadendo a pochi chilometri da me, mentre io rientravo a casa dalla mia famiglia, mi ha profondamente segnata. In quella giornata e in quelle a seguire è stato un continuo susseguirsi di immagini, dichiarazioni, accuse e delle solite passerelle, mentre si scavava nel disperato tentativo di estrarre dalle macerie persone sopravvissute. Una nuova ferita, profonda, segnava una volta ancora la mia città ed era tangibile, lì, sempre sotto ai nostri occhi. Qualche mese più tardi stavo andando con la mia squadra di allora, la Savino del Bene volley Scandicci, a fare un torneo a Cuneo e, arrivando dalla Toscana, l’Autostrada ti porta a costeggiare il ponte da una visuale che lo sovrasta, visuale favorita anche dal fatto di trovarmi sopra a un pullman. Conoscevo il momento esatto in cui il mio sguardo si sarebbe soffermato sui resti del ponte: avevo visto mille volte quella scena, da angolazioni più lontane o alla televisione, ma la sensazione che ho provato guardandolo in quel momento non la dimenticherò mai.

Un solco netto, che in quel momento sentivo anche nel mio stomaco e che provo ogni volta in cui penso a quanto accaduto, qualcosa che ha colpito la mia città nel suo profondo, creando una separazione invalicabile e portando via con sé la vita di alcune delle persone che lo stavano attraversando forse per la prima volta, oppure per l’ennesima, con quella familiarità che, quando raggiungevi Genova dal ponente ligure, uscendo dalla galleria e attraversandolo, da genovese, ti portava a pensare: «bentornato a casa». Renzo Piano, nel suo intervento durante l’inaugurazione del 3 agosto, con grande rispetto per ciò che è accaduto, ha parlato di quanto sia fondamentale per vivere l’amore e che anche il nuovo ponte avrà bisogno di quello della sua città, sebbene non sia facile essere eredi di una tragedia e sono convinta che, col tempo noi genovesi arriveremo ad amarlo, pur mantenendo sempre vivo il ricordo. Durante l’inaugurazione un arcobaleno ha abbracciato Genova, un ponte di luce che collega la terra con il cielo, come a voler ricordare che, per chi resta, un nuovo inizio è possibile, anche dopo il peggior nubifragio.

LA BOLLA di Valeria Papa ©️
Numero: 3

(Fonte: comunicato stampa)

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