Il saluto militare della Turchia Under 19 e le responsabilità della CEV

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Di Alessandro Garotta

In alcune zone del mondo la pallavolo, così come qualsiasi altro sport, sconfina dal proprio “territorio” e assume un significato diverso. Non è un racconto di guerra degli scorsi decenni, ma la nostra realtà di oggi. Quella in cui, ad esempio, sui social della Federazione turca viene postata una foto delle giocatrici della nazionale Under 19 femminile che, durante la premiazione dei Campionati Europei di categoria vinti in Bosnia, si portano la mano tesa alla fronte simulando un saluto militare. Un gesto che ha un significato ben preciso: è un omaggio al regime di Recep Tayyip Erdogan, ma anche un sostegno politico alla decisione di attaccare militarmente la popolazione curda.

La vicenda della nazionale Under 19 non è che l’ultima manifestazione di un processo in corso almeno dal 2013 e che consiste nel tentativo, da parte dell’Akp (il partito al governo in Turchia), di appropriarsi del “capitale simbolico” che ruota intorno allo sport, un mezzo potentissimo di costruzione e legittimazione del consenso. Un processo più sottile rispetto a quelli attuati in passato da altri regimi, ma altrettanto efficace: un “soft power” che si serve degli atleti più giovani e promettenti, spingendoli a forgiare l’immaginario politico della nazionale. In una società come la nostra, del resto, la presa di posizione di un giocatore vale più di quello di cento intellettuali, e questo il partito di Erdogan lo sa bene.

Trasformato in terreno di costruzione del consenso, il mondo dello sport è diventato così uno specchio delle tensioni che si agitano in tutti gli strati della società turca. Se da una parte funziona come apparato simbolico di legittimazione del potere, dall’altro annovera anch’esso i suoi esuli e i protagonisti della sua “resistenza”: come l’ex eroe della nazionale di calcio Hakan Sukur, emarginato e costretto a emigrare per i suoi contrasti con il regime, o il cestista NBA dei Boston Celtics Enes Kanter, minacciato di morte e privato del passaporto per essersi opposto alle politiche di Erdogan.

Kanter fu tra i primi a schierarsi con un tweet quando esplose il caso del “saluto militare” della nazionale di calcio turca, poi condannato dall’UEFA. Il volley non potrà contare su una risonanza mediatica analoga, ma dalle istituzioni internazionali – prima fra tutte la CEV – ci si aspetterebbe perlomeno una presa di posizione chiara contro l’utilizzo politico dello sport, a maggior ragione quello giovanile.

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