La bellezza della pallavolo e la bravura di Helen Hunt in un film: The Miracle Season

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Di Stefano Benzi

Avverto immediatamente il pubblico di affezionati lettori di questa rubrica on line: piangeranno… molto. Chi scrive – ah, invecchiare – soffre sempre più di lacrima facile e vedendo il film in lingua originale, ha pianto parecchio.

Sto parlando di “The Miracle Season”,  pellicola diretta da Sean McNamara la cui grande protagonista è la pallavolo, in tutte le sue complesse sfaccettature che riguardano una giovane squadra femminile. Tuttavia credo sia giusto dire che la protagonista è soprattutto Helen Hunt (“What Women Wants”, “Soul Surfer”) che giganteggia sullo schermo e che, ricordandosi di una mia intervista di quindici anni fa, mi privilegia di un carteggio da un lato all’altro dell’oceano. A volte questo mestiere sa essere davvero straordinario.

La storia è vera. Una squadra perde la propria leader, è la sera del 17 agosto 2011. Caroline Found si schianta con il suo ciclomotore e getta nella disperazione una piccola comunità dell’Iowa che ruotava attorno alla sua scuola superiore e alla squadra di pallavolo femminile. Gli organi di Caroline, per tutti semplicemente “Line”, vengono donati; la ragazza viene tumulata ma chi resta non si dà pace. La squadra di volley rischia di sciogliersi, un paio di ragazze cadono in una violenta depressione  legata a stress e disordine alimentare, un’altra compagna tenta di farla finita. Capita quando si perde la guida di perdere anche il controllo. Ed  è qui che serve un nuova leader; Kathy Bresnahan, la coach della squadra di pallavolo di Iowa City West, il personaggio interpretato da Helen Hunt: “Questo non è solo un film su una squadra che trova nella sua unità la propria maggiore esaltazione e motivazione – spiega l’attrice – ma è una storia di redenzione, un sofferto percorso verso la coscienza di sé e la propria affermazione. L’unica parola che mi sembra descriverlo perfettamente è sisterhood”.

Una parola che disgraziatamente non si può tradurre in italiano se non con “sorellanza”. Non rende: “Ognuna delle ragazze protagoniste del film ma soprattutto della vera storia della Iowa City West High dovrà appoggiarsi alla propria compagna e contemporaneamente garantire il suo appoggio. Solo così il delicato equilibrio di un meccanismo crepato si potrà ricreare” spiega ancora la Hunt.

La squadra riparte tra mille difficoltà dal suo punto più buio per imparare a camminare, poi a correre e infine a volare verso un imprevedibile titolo. Caroline non è mai stata così presente. Nasce una fondazione che porta il suo nome e ha un motto, “Live Like Line”: vivere al massimo, con tutto l’entusiasmo, tutta la follia, tutta la voglia che hai di arrivare all’anima di chi ti sta davanti in ogni singolo momento. Dovesse essere l’ultimo: “Recitare in questo film è stato relativamente semplice – racconta Helen Hunt, un Oscar come migliore attrice per “Qualcosa è cambiato”, quattro Golden Globe e tre Emmy – perché tutto il lavoro lo fa la storia. Con le mie giovani colleghe che hanno interpretato la squadra di Iowa (tra le quali spicca la bravissima Erin Moriarty n.d.r.) ci siamo ritrovate al termine delle scene stremate dalle emozioni. È un film toccante perché lo è la storia: di fronte a tanti spunti devi solo lasciarti andare e non fare danni”.

Quando alla Hunt è stato offerto il ruolo non ci sono stati dubbi: “L’esperienza di “Soul Surfer – film che racconta sempre grazie a McNamara la storia di Bethanie Hamilton, la surfer che a 13 anni perse il braccio sinistro in acqua dopo l’attacco di uno squalo – è stata magica e devo molto a Steve che è così bravo a trovare queste storie e portarle sullo schermo. Essere la mamma di Beth è stato un privilegio: anche in questo caso ho conosciuto la vera protagonista del film, la storia, e il resto è venuto da sé”.

La pallavolo è una splendida metafora della vita di quindici ragazze di diciassette anni che si scopriranno fortissime dopo aver toccato il fondo del baratro. Coach Bresnahan, o Coach Brez come dicono le ragazze nel film, deve solo motivare, aiutare, comprendere, appoggiare. In tutto questo c’è poco di tecnico e molto di umano: “Credo che sia stata la grande qualità che Kathy Bresnahan mi ha trasmesso quando l’ho conosciuta, la sua umanità – conclude Helen Hunt – anche se devo ammettere che mi è sembrata una donna estremamente capace dal punto di vista tecnico e straordinariamente pronta nella lettura delle partite. Tutta questa parte a me mancava completamente e forse non era la priorità della pellicola farla emergere: la pallavolo mi ha appassionato molto come sport di squadra e il film, pur non essendo un film sulla pallavolo ma su molti aspetti che questo sport sa rappresentare, esalta tutte le qualità della competizione e della meravigliosa dinamica che si genera attorno a una squadra”.

Il film è uscito da un paio di mesi negli USA e da più parti si grida all’Oscar per la sceneggiatura e la Hunt che realizza uno dei suoi capolavori più immensi. Sullo sfondo l’amato campo di volley che spesso esalta, a volte precipita ma quasi sempre richiede una cosa mai facile alle squadre che lo affollano: equilibrio.

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