Con quella faccia un po’ così: Valeria Papa, la genovese che ha trovato l’America in Brasile

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Di Stefano Benzi

“C’è solo un posto dove un genovese può pensare di sopravvivere, Rio de Janeiro. Perché si esprimono come noi e se parli in zeneixe stretto ti capiscono, perché la città sembra quasi bella come Genova e anche se non hanno la Lanterna hanno quel Gesù Cristo là in alto che sembra che debba ripararti da qualsiasi cosa”. Un pensiero che solo un genovese poteva scrivere, Bruno Lauzi, e che solo un genovese potrebbe condividere. Soprattutto se ha avuto la fortuna di vivere a Rio De Janeiro.

Valeria Papa è genovese, anche se ormai si può considerare cittadina del mondo perché ha cominciato a girare giovanissima per giocare a pallavolo. Ma ha vissuto e lavorato a Rio e siamo convinti che in questo momento, anche se è a casa e la sua quarantena è finalmente finita, rimpiange il caldo abbraccio del Cristo Redentor del Corcovado: “Rio de Janeiro è una città incredibile, quasi irreale nella sua bellezza. Certi colori e certe atmosfere non si possono né dimenticare e nemmeno raccontare. Al momento sto lavorando alla mia tesi di laurea, sto scrivendo molto, leggendo moltissimo e guardando parecchia tv”.

A Rio, di solito, alle cinque di pomeriggio le ragazze escono in minishort per correre sulla promenade di Copacabana. E se quella passeggiata dal Forte al Lemé ti annoia puoi andare oltre e girare su Ipanema; sono altri sette chilometri fino a Leblon. Da lì in poi è meglio prestare attenzione. C’è la Favela di Rocinha, una delle più grandi del mondo. Un posto che può essere molto dolce e molto pericoloso. E subito dietro c’è la Gavea, il quartiere dove ha sede il Flamengo, O Mais Querido do Mundo.

Il clube rossonero non aveva una squadra femminile in Serie A da tredici anni. Valeria è stata chiamata nell’anno del grande rilancio: “Vivevo a Lagoa (la laguna interna di Rio, a tra Copa e Ipa, praticamente il paradiso in terra n.d.r.) e tutte le mattine quando aprivo la finestra la vista era sul Cristo Redentor. Il clube si allenava alla Gavea, nella sede storica, un posto incredibile”.

Per spiegare: il club del Flamengo ha un piccolo stadio, un bacino per le squadre dei canottieri, due piscine per i suoi nuotatori, diversi campi di calcio dove giocano centinaia di giovanissimi del vivaio. E poi ci sono otto palestre per le squadre di ginnastica, due impianti per il basket, tre per il volley, la palestra delle arti marziali. Ci sono anche i campi da beach volley ma quelli del Flamengo giocano a beach sulla spiaggia di Leblom… sai com’è…

Quando vai in sede, per firmare il contratto, fare la visita medica o incontrare qualche dirigente, entri nel mito. Trofei, la maglia n.10 di Zico, una storia che rende il Fla molto più di un semplice club sportivo.  La più grande polisportiva del mondo. Trentadue discipline sportive, la Naçao Rubronegra conta 116mila tifosi iscritti alle attività del club e 35 milioni di fan sparsi per il mondo: “Non appena sono arrivata a Rio ho capito immediatamente che essere del Fla è un onore ma anche un peso. Se i risultati non arrivano la gente non sta zitta. Ma anche se la nostra squadra ha dovuto soffrire e ci siamo conquistati la salvezza solo all’ultima giornata la stagione è stata incredibile: a Rio sono tutti impazziti, soprattutto per merito della nostra squadra di calcio…”

Il Fla quest’anno ha vinto il Brasielirão, il campionato di calcio federale (il sesto, il primo dopo dieci anni), la Copa Libertadores (la seconda, dopo quella del 1981) e la Recopa Sudamericana. Essere del Fla quest’anno era come avere i superpoteri.

Valeria si è calata in una realtà incredibile con grande umiltà e rispetto ritagliandosi uno spazio importante in un campionato difficilissimo. Ai suoi punti i commentatori brasiliani reagivano con un francescano “Habemus Papa” anche se lei, in un paese che a chiunque affibbia un nomignolo, era semplicemente l’italiana: “Le brasiliane avevano sulle magliette il loro nome di battaglia, io ero Papa. La cosa forse inizialmente ha confuso un po’ ma era divertente che mi chiamassero l’italiana, mi inorgogliva”.

Ora, dovete sapere che i genovesi sono gente di mare ma non esattamente fanatici della spiaggia: perché c’è troppa gente, perché il mare fondamentalmente per i genovesi è lavoro e sbattimento. Il pesce lo vendono ai milanesi in vacanza, loro preferiscono pesto, torte di verdura e farinata. Quindi c’è la tradizione, tra i genovesi che vanno a Rio, di affrontare in tutte le stagioni, le tre spiagge principali: Copa, Ipanema e Leblom, con qualsiasi clima.

Oggi a Rio ci sono 27° e quella che chiamano ‘marisia’ una foschia fitta e romantica. Ma la temperatura dell’Atlantico è intorno ai 23°. Ad agosto scende sotto i 21°. Buttarsi in acqua è un gesto di grande coraggio: “Fatto, non ho resistito. Alla moda dei ridottissimi bikini che vanno da quelle parti sono riuscita a resistere senza problemi, non mi piace mettermi in mostra. Ma al tuffo nell’oceano non ho resistito. Ho fatto il bagno sempre, comunque e ovunque. Ipanema era la spiaggia più amata ma il sabato si andava tutti assieme a Copacabana con gli amici. Il tramonto visto da Ipanema è… immenso. Un ricordo indelebile. Sono andata ovunque, ho cercato di sfruttare ogni momento libero per vedere la città e ho girato in piena libertà come una semplice turista”.

I brasiliani hanno una dieta molto diversa dalla nostra. Chi affronta un churrasco, il rito completo dello spiedo di carne accompagnato dalla fejolada, il pasticcio di fagioli neri e carne di maiale, va incontro a una via crucis. I dolci brasiliani sono i più calorici del mondo, la frutta brasiliana è la più proteica del mondo. Valeria ammette: “L’impatto con la cucina è stato un disastro… mi piaceva tutto. Dopo un po’ mi sono dovuta mettere a dieta perché la situazione stava scappandomi di mano. La cucina brasiliana è fantastica”.

E ora? Il Flamengo pensa al rilancio, Valeria è in Italia e aspetta: “L’esperienza è stata splendida, mi chiedessero di tornare dovrei valutare anche altri aspetti che riguardano la mia vita personale. Onestamente non so ancora cosa farò. Vedrò quali sono le offerte per decidere. In Brasile mi sono divertita molto anche a giocare. In Italia l’impatto è molto tattico e a volte hai la sensazione che “imbrigliare” troppo il gioco possa essere negativo, è giusto lasciare una certa libertà ai giocatori. Ma alla fine, tra il gioco estemporaneo e divertente ma a volte un po’ improvvisato che si vive in Brasile, preferisco decisamente giocare in un sistema tatticamente organizzato”.

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