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Andrea Zorzi: "Un’altra generazione di fenomeni? Sono ottimista. L’anagrafe è dalla loro parte ma non basta"

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Di Redazione

Per anni ha fatto sognare i tifosi italiani, sia a livello di club che con la Nazionale. Ora Andrea Zorzi, commentatore televisivo, si è soffermato sulla bella medaglia d’argento conquistata ai Mondiali dalle azzurre di Davide Mazzanti, come si legge nell’intervista de “la Repubblica”.

«La verità è che a volte basta un errore». In un Mondiale, dopo 100 partite e tre ore di finale spesso è un punto a decidere chi vince e chi perde. Andrea Zorzi, campione del mondo nel ’90 e nel ’94, opposto della generazione dei fenomeni, lo sa. Però è convinto che il futuro sia dalla parte di Danesi, Malinov, Sylla ed Egonu.

Una sconfitta che somiglia a una vittoria? «Non direi. Chi conosce il campo sa che c’è una differenza fondamentale tra vincere e perdere. Si gioca per l’oro, non per la gloria. Negarlo, significherebbe negare l’essenza dello sport. Certo, visto dall’esterno, questo argento avrà effetti positivi: è un bel momento, c’è qualità e c’è attenzione. Ma le ragazze avranno bisogno di tempo per ripensare a questa finale e sorriderne».

Lei quanto tempo ci ha messo per superare la delusione dell’argento olimpico ad Atlanta? «Ci sono voluti anni. Ma il mio è un caso particolare. Sapevo che sarebbe stata la mia ultima occasione: contro l’Olanda avevamo il favore del pronostico ma come al solito non è bastato. L’ho vissuta come un’occasione sprecata. Ma l’eventualità della sconfitta è una delle leggi che regolano lo sport. Ci ho fatto pace».

Cosa l’ha stupita della squadra di Mazzanti? «Mi hanno appassionato le schiacciate di Egonu, la sua potenza, il sorriso di Sylla. Ma la cosa che mi ha davvero impressionato è il fatto che abbiano vissuto l’esperienza in Giappone all’interno di una bolla di concentrazione e naturalezza. Hanno giocato divertendosi, ma non solo. Chi fa sport lo chiama flusso: in alcuni momenti di intensità agonistica il tempo rallenta, si ferma quasi, e il cervello ragiona velocemente, il corpo è in stato di grazia, diventa capace di tutto. Io questo flusso l’ho visto non solo a livello individuale, ma in tutta la squadra nello stesso momento».

Molte delle ragazze sono cresciute nel Club Italia, un’idea di Velasco. «Un’intuizione fondamentale, soprattutto a livello femminile. Le donne, più degli uomini, quando sono giovani e brave, devono crescere in un ambiente protetto e non essere subito lanciate nella competizione brutale. Mazzanti lo sa, anche lui viene dal Club Italia».

Sta per nascere un’altra generazione di fenomeni? «Sono ottimista. Ma nello sport le aspettative non garantiscono la vittoria. L’anagrafe è dalla loro parte ma non basta, la crescita non è mai lineare. A livello sportivo la maturità dev’essere affiancata dalla motivazione, dalla ricerca di un obiettivo. Essere giovani e promettenti può non essere sufficiente».

Ha nostalgia degli anni olimpici? «Ho smesso vent’anni fa. Mi sono abituato a guardare e a non giocare. A volte mi capita di pensare a quando ero giovane e schiacciavo forte, ma è un capitolo chiuso. Adesso la nostalgia è passata. Ha lasciato il posto alla gratitudine per quello che ho avuto l’opportunità di fare con un pallone tra le mani».

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