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Andrea Gardini, da allievo a maestro: “Il grande allenatore è chi sa condividere”

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Di Roberto Zucca

La scalata del seggiolone. Il 1990. Italia-Cuba e quel trentennio trascorso da quell’immagine che a milioni di italiani incollati ha fatto scoppiare il cuore. Su quel seggiolone dell’arbitro c’era lui, “il Gardo”, quell’Andrea Gardini che nella vita ha vinto tutto e anche di più. Qualche sera fa, RaiSport ha riproposto quella storia, quella partita, quel momento di celebrazione e cambiamento della pallavolo italiana:

Mai come in questo periodo mi è capitato di rivedere quella partita. In quei momenti la memoria lascia spazio alla gioia immensa. Mi creda se le dico che non ricordo come ci sono arrivato sopra a quel seggiolone. Ma da lì è partito tutto. È stato davvero un momento di cambiamento”.

Che rapporto ha avuto con il successo?

Molto sereno. Io ho sempre pensato a giocare a pallavolo, che era realmente ciò che mi piaceva fare. Piuttosto che preoccuparmi di ciò che succedeva attorno a me, pensavo alla vittoria successiva, con la nazionale e con i club, a ciò che sportivamente dovevamo conquistare”.

Che rapporto ha avuto invece col denaro?

Equilibrato. Non ho mai sperperato ciò che guadagnavo in macchine o in capricci, ad esempio. Ho sempre utilizzato con parsimonia ciò che guadagnavo senza perdere la testa. Ho pensato a costruire certezze, per me e per la mia famiglia. Ho vissuto un periodo, lo riconosco, in cui si guadagnava bene e per tanti anni è stato così per molti di noi. Ma io ho scelto di circondarmi solo di piccole cose, e di fare una vita tranquilla”.

Foto Coni

Lei ha vinto davvero tutto. I primi grandi trionfi con la Ravenna dei due Gardini. Raul e Andrea.

Raul Gardini, che fu l’ispiratore della mitica Messaggero Ravenna, lo incontrai pochissime volte. Lavorò con Giuseppe Brusi, che aveva già alle spalle l’esperienza con la Teodora e con Carlo Sama che era il nostro referente per il Gruppo Ferruzzi, per costruire qualcosa di grande. Furono anni molto belli, di vittorie, di gioie, con il club e la nazionale”.

Lei poi conobbe anche Benetton. Esistono ancora quelli imprenditori nella pallavolo di oggi?

Erano imprenditori con alle spalle un impero. La Benetton, la Ferruzzi di quelli anni oggi non esistono più. E quelli imprenditori erano molto diversi dagli uomini della pallavolo contemporanea. Intanto perché per loro lo sport era quasi un giocattolo, un divertimento. Erano sì i proprietari ma la loro presenza era saltuaria. Oggi le proprietà sono molto più presenti, fisicamente o nelle scelte di campo. Seguono tutti gli aspetti della squadra. Gardini e Benetton amavano stare più dietro le quinte”.

Gardini è la quercia razionale della nazionale. Si riconosce in questa citazione?

“(ride, n.d.r.) Non è una cosa che posso dire io, sarebbe presuntuoso da parte mia. Cercare di fare bene il mio lavoro è sempre stato ciò che mi è stato insegnato. Ho avuto dei maestri di vita, più che degli allenatori, e loro mi hanno insegnato ad essere parte di un gruppo, nel quale si vince e si perde assieme. Ognuno di noi ha dato il proprio contributo alla squadra in carriera. Se la mia razionalità è stata parte di questo contributo, mi fa piacere”.

È stato compagno di camera di Lorenzo Bernardi per tanto tempo. Fu un caso o una decisione per dare equilibrio a un carattere fumantino?

Lorenzo ha avuto tanti compagni, così come li ho avuti io. Aveva un carattere fumantino, questo è vero, ma è stata proprio quella la sua forza che l’ha aiutato a diventare uno dei più forti del mondo di sempre. Sono stato ad esempio per tanto tempo in camera con Zorzi, ma non credo per qualche ragione particolare. Era una squadra di maschi alfa, con delle personalità molto forti, una squadra che si autoalimentava di situazioni che definirei estreme e Julio era bravissimo a provocarle perché il risultato era ciò che avete visto in campo per tutti quelli anni”.

Lei è nato e cresciuto a Bagnacavallo. A posteriori pensa che crescere in provincia le abbia dato il senso di tutto?

Sono cresciuto in una famiglia nella quale mi è stato insegnato ad essere ciò che sono diventato. Una famiglia modesta che mi ha insegnato l’importanza dell’organizzazione, la quadratura delle cose, il senso della famiglia stessa. La Romagna è una terra di persone molto dure e molto determinate. Credo di rispecchiare tanto quel modo di essere”.

La famiglia. Novella, sua moglie, è la roccia portante. Davide e Serena il frutto del vostro amore. Quanto conta avere equilibrio nel proprio privato per arrivare a vincere tutto ciò che lei ha vinto in carriera?

La mia famiglia è stata un rifugio. E credo che abbia contato moltissimo in tutta la mia carriera per arrivare là dove sono arrivato. Avere la possibilità di tornare a casa e poter vivere in serenità il proprio privato è una misura per allentare tutto ciò che si è accumulato nei momenti importanti della carriera. Professionalmente ci sono stati anni di emozioni contrastanti. Poter rientrare a casa e stare nella dimensione della mia famiglia mi ha aiutato a rientrare con determinazione sul lavoro”.

L’amicizia. Non posso non chiederle del suo rapporto con Vigor Bovolenta.

Bovo è stato un vero amico. Era il giovinastro che seguiva le mie orme. Era il compagno di squadra con cui partivo in ritiro a Salsomaggiore e mia figlia Serena affettuosamente da piccola lo detestava perché le portava via il papà per andare a lavorare. È un’amicizia che coinvolge tutta la mia famiglia e faccio sempre molta fatica a parlarne. Siamo stati tutto. L’ho anche allenato in vista di Pechino, dove fece un’olimpiade stupenda, con una determinazione che in pochi possedevano”.

La scomparsa di Vigor l’ha in qualche modo cambiata?

Sì. In quel momento ripensi a tutta la tua vita e la ripercorri dando un senso corretto a tutti i suoi aspetti. Quella sera tragica Federica e Novella, le nostre mogli, erano a cena assieme. Lei può capire che momento possa essere stato per tutti”.

La vita professionale. Da giocatore dicono che il suo mentore sia stato Kim Ho Chul a Treviso.

Con Kim c’è stato un bell’impatto. Ero un giocatore molto giovane e mi ha dato la possibilità di crescere tantissimo. Ho avuto la fortuna come ho detto prima di avere dei grandi maestri nella mia carriera, sia da giocatore che da allenatore. Siamo rimasti molto legati ed è nata una bella amicizia fuori dal campo”.

Foto Facebook Andrea Gardini

Da allenatore chi è stato invece il suo mentore?

Andrea Anastasi. Un fratello che negli anni mi ha aperto un mondo. Finché sei un giocatore, sei focalizzato a come un allenatore gestisce te e a ciò che fa nei tuoi confronti. Quando ti ritrovi dall’altra parte inizi a capire il perché di certi passaggi, a capire il progetto di insieme che un allenatore ha in testa e a come gestire un gruppo di elementi diversi tra loro. Gli allenatori e le squadre cambiano e ti ritrovi ogni anno a cercare la chiave per far funzionare quel gruppo. Il mio sistema è farla funzionare. Alle volte ci riesco e altre volte no. Questo succede a tutti, anche ai grandissimi. Nessuno vince sempre”.

Chi sono i grandi allenatori?

Quelli che condividono, che ti raccontano, che ti coinvolgono. Quelli con cui hai uno scambio e un confronto. Penso al mio rapporto con Vital Heynen, che seguo da tanti anni. In estate ad esempio mi piace molto andare in Polonia, e andare a vedere le squadre nazionali. È diventato un amico con il quale mi piace confrontarmi perché ha un punto di vista molto originale nell’affrontare il suo mestiere di tecnico”.

Quale è il presente di Andrea Gardini come allenatore?

Sto cercando di progettare la nuova stagione. In un momento come questo, l’entusiasmo di Piacenza è contagioso e raro. Stanno cercando di allestire una squadra ambiziosa che possa rompere il regime delle quattro grandi squadre della Superlega. Sarà dura perché allo stato attuale, se continuiamo ad allenare un solo giocatore alla volta in base ai protocolli, la pallavolo farà presto a chiudere bottega”.

Concludiamo con la vita da padre. Posso chiederle se è felice per la scelta di suo figlio Davide Gardini di andare a giocare negli Stati Uniti?

Ho prospettato a Davide e Serena la possibilità di studiare all’estero. Davide ha voluto cogliere questa opportunità. Ha trovato un mondo molto stimolante. E ogni volta che torna a casa trovo che si sia aperto maggiormente ad una mentalità molto diversa da quella italiana. Negli studi sta facendo tanto e con la pallavolo sta apprendendo altrettanto. Non so cosa sceglierà di fare nella sua carriera, e dove sceglierà di farla, ma ciò che sta facendo mi rende molto felice”.

Lei avrebbe mai fatto una scelta così coraggiosa?

Ora come ora, farei la valigia e partirei subito. All’epoca rimasi affascinato da questi college americani che ci portarono a visitare con la nazionale. Ma non so se a quei tempi fosse possibile fare quel tipo di scelte. Erano anni decisamente diversi. Anni che porto sempre nel cuore”.

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