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Aaron Russell si racconta: “Amo tutto dell’Italia, ma voglio vincere con gli USA”

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Di Roberto Zucca

Quando arrivò in Italia, appena ventiduenne, per giocare a Perugia, non tutti pensavano che nel giro di pochissimi mesi Aaron Russell sarebbe stato in grado di farsi spazio tra i migliori pallavolisti statunitensi. Eppure Aaron è riuscito laddove molti hanno fallito, ovvero segnare un’evoluzione costante del suo ruolo e diventarne un punto di riferimento, sia per il suo club, che oggi si chiama Gas Sales Bluenergy Piacenza, sia per la sua ambiziosa e preponderante nazionale a stelle e strisce:

Piacenza l’ho scelta e voluta fortemente. È una squadra ambiziosa con alle spalle una società strutturata e presente. Sono veramente felice della scelta e delle prime settimane di lavoro. Credo che, una volta creato l’affiatamento nel gruppo, saremo in grado di competere con le migliori squadre della Superlega”.

Famiglia di pallavolisti. Suo padre Stewart è un allenatore.

Sì, e mi ha seguito durante il mio periodo nelle giovanili nel Maryland. Io e Peter, mio fratello, abbiamo poi proseguito in Pennsylvania, perché nel nostro stato non era presente un programma di pallavolo maschile. Alla Penn State University abbiamo giocato assieme per qualche anno, poi io sono stato chiamato a Perugia”.

Suo padre, poi Aaron, Peter, Samuel, Tim e Paul. La famiglia Russell è praticamente un sestetto?

“(ride, n.d.r.) Vero! Ma di tutti i miei fratelli sono io l’unico che ha scelto la carriera pallavolistica. Loro sono rimasti a Baltimora e mi mancano moltissimo. La sera ci ritroviamo online e facciamo delle grandi partite ai videogame, un modo per cercare di gestire la mancanza della quotidianità”.

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Durante il lockdown non è riuscito a tornare a Baltimora.

No, una parte del lockdown io e mia moglie Kendall l’abbiamo passata a Trento ed una parte in Florida, dove abbiamo una casa. La Florida è stata uno degli stati più colpiti dal virus e non è stato un periodo semplice, tanto che io e Kendall siamo rimasti chiusi in casa per settimane“.

In un’intervista ha detto che sua moglie Kendall è la sua luce. Quando si è rivelata come tale?

È una moglie, un’amica, una compagna sempre presente. È una persona che sa capirmi, e sa capire come e quando esserci. Sono una persona tendenzialmente solitaria e tante volte mi piace prendermi dei momenti per stare solo, riflettere, pensare. Ecco, Kendall in quei momenti è capace di vivere con serenità e discrezione. È unica”.

Lei sembra più timido di Kendall. È vero che non ama apparire sui social?

“(ride, n.d.r.) In realtà non amo essere fotografato e lei mi prende in giro! In generale non sono mai stato un amante delle attenzioni che derivano dalla mia carriera. Ogni tanto scelgo di condividere qualcosa ma non amo essere sempre presente e comunicare tutto su Internet. Cerco una via di mezzo, perché anche la comunicazione fa parte del mio lavoro”.

Foto Lega Pallavolo Serie A

A Piacenza è arrivato anche il suo amico James Shaw. A pochi km, a Modena, c’è Micah Christenson. Si è ricreata la colonia americana in Emilia?

Giocare con James mi fa molto piacere. Siamo amici dal periodo delle giovanili e ci vediamo spesso, anche perché ancora non ha il wi-fi a casa e quindi la sera passa di qui, stiamo un pochino insieme e ne approfitta per usare Internet e chiacchierare un po’! Micah è un carissimo amico, vorrei vederlo più spesso ma gli impegni in campionato non ce lo consentono”.

È vero che il segreto della sua nazionale risiede nel fatto che fuori dal campo siete molto affiatati?

“È vero. Non è una cosa automatica che arriva dalla sera alla mattina. Abbiamo lavorato molto sul concetto di team e abbiamo fatto un team building fantastico assieme ai Navy Seals in California. È stato importante, perché ti aiuta capire quale sia il valore di ogni singola azione tua e del gruppo e capisci che la compattezza è fondamentale nei momenti importanti di una squadra, qualunque sia la disciplina”.

La musica invece cosa le ha insegnato?

Più che un insegnamento è un bellissimo ricordo di casa. Ho iniziato alle scuole elementari a suonare i tamburi assieme a Peter nella banda della chiesa a Baltimora. A scuola ho iniziato a suonare i bongo e perfezionato anche questo strumento. È una passione che unisce tutta la mia famiglia. Ricordo i concerti nel seminterrato di casa per la gioia dei miei genitori! Devo dire che siamo stati abbastanza bravi”.

Quest’anno il suo paese andrà al voto. Sente l’importanza dell’evento nonostante la distanza?

Sento l’importanza dell’esprimere sempre la mia preferenza di elettore. Saranno elezioni molto importanti anche perché l’America deve riprendersi da un momento davvero difficile per la sua storia. Se mi chiede cosa penso dei candidati, le dico che io avrei scelto candidati diversi. Meno legati all’establishment e più giovani. Dei volti nuovi, capaci di comunicare ai giovani più passione per il futuro degli Stati Uniti”.

Il prossimo anno sarà invece importante per lei. L’anno olimpico cosa rappresenta?

 “Wow, è un gran bel pensiero. Intanto voglio fare molto bene con Piacenza. E poi proiettarmi verso Tokyo con il sogno di arrivare in cima al podio. Ho ancora le emozioni e le sensazioni del bronzo di 4 anni fa. Credo che per tutti noi sarà importante riniziare dalla semifinale contro l’Italia e andare avanti”.

So che non vorrebbe incontrare l’Italia, anche per una questione affettiva. Perché si è legato così tanto al nostro paese?

Perché amo tutto di questo Paese: le persone, i luoghi, il cibo. Ho trovato un paese pronto ad accogliermi e tanti amici italiani con i quali ho giocato e ai quali voglio davvero bene. L’Italia nel girone di qualificazione non la incontreremo ma penso ci ritroveremo in una eventuale seconda fase. Sarà tosta. Per tutti noi giocare contro gli azzurri è sempre una questione di cuore e di testa”.

Con Piacenza cosa sogna?

Tutto quello che posso sognare”.

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