Noemi Porzio, regina di Offanengo: “In Serie B ho trovato grandi stimoli”

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Di Alessandro Garotta

Quando pensiamo al volley, in senso lato e a prescindere dalla declinazione scelta, nella nostra testa affiorano probabilmente le ‘solite’ immagini: Egonu o Boskovic, Conegliano o Novara, la Champions League o le Olimpiadi. E non potrebbe essere altrimenti: per qualità, per clamore mediatico, perché – in generale – quando ci immaginiamo una cosa la vediamo all’apogeo della sua realizzazione.

Esiste, però, un altro aspetto: la bellezza di andare oltre, di scavare in profondità. Da una parte, abbiamo una pallavolo di coloro ai quali il destino, la natura o chiunque vogliamo ha regalato un qualcosa di unico e irripetibile: un talento fuori dal comune. Dall’altra, c’è una pallavolo di persone ‘semplici’, che magari non hanno ricevuto dono siffatto ma se lo sono dovute andare a cercare e guadagnare. Con il lavoro, la perseveranza, l’ambizione, la passione.

La Serie B, molto spesso, è questo. Qui troviamo storie autentiche, vere, reali. Storie di lavoro e di passione, appunto. Conosciamo meglio quella di Noemi Porzio, schiacciatrice e capitano della Chromavis Abo Offanengo di B1 femminile.

Partiamo da due domande semplici. Come si è appassionata alla pallavolo e cosa rappresenta questo sport nella sua vita?

Ho iniziato a praticare questo sport da piccola, dopo essermi appassionata grazie ai cartoni animati. E non avrei potuto fare scelta migliore perché la pallavolo mi ha dato e mi sta dando davvero tanto: rappresenta la passione attorno a cui gira la mia vita, ma non la definirei il tutto perché Noemi Porzio è anche tanto altro”.

Il ricordo più bello e il rimpianto più grande in carriera?

Sono molto soddisfatta del mio percorso e perciò non ho grandi rimpianti: anche le esperienze meno positive mi hanno aiutata a crescere e mi sono servite a conoscere meglio me stessa. Invece, ho tanti bei ricordi, tra cui il mio esordio in Serie A a 15 anni. Comunque, al di là delle vittorie e delle sconfitte mi sento legata soprattutto alle persone che la pallavolo mi ha fatto incontrare. Questa è la cosa più bella che mi porto dietro”.

Nel suo percorso ci sono Serie A1 e A2, ma anche molta Serie B1. Quali sono le principali differenze tra queste categorie?

Parto dal presupposto che in ogni categoria mi sono trovata bene e ho sempre trovato grandi stimoli. La Serie B è un campionato competitivo e imprevedibile; si possono incontrare diversi tipi di atlete e questo ti aiuta ad aprire la mente, soprattutto nella preparazione alle partite. Invece, la Serie A è il sogno di qualsiasi giocatrice: ha standard diversi dalle categorie inferiori e ti dà l’opportunità di confrontarti con una pallavolo di altissimo livello”.

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Per un’atleta gli stimoli sono una componente importante. Non diventa dura quando, dopo aver giocato in Serie A, si scende di categoria e ci si deve “accontentare”?

No, per niente. In Serie B ho trovato grandi stimoli perché ho scelto di mettermi alla prova cambiando ruolo, da libero ad attaccante. Ovviamente, anche la scelta del progetto è un fattore fondamentale. Da questo punto di vista, ad Offanengo non abbiamo nulla da invidiare a molte squadre di A2”.

Parliamo proprio della sua esperienza alla Chromavis Abo Offanengo. Come la descriverebbe?

Questa è stata la mia terza stagione ad Offanengo e devo dire che qui mi sento a casa. Ho trovato un ambiente ideale per fare bene, sentendomi parte di una grande famiglia in cui tutti remano nella stessa direzione, con l’obiettivo di migliorare anno dopo anno. La società è ben organizzata, è sempre al nostro fianco e ha a cuore i tifosi che ci seguono tutte le settimane”.

Prima dello stop, Offanengo stava andando molto bene e occupava il primo posto del Girone B. Come valuta la vostra stagione?

È stata una stagione davvero positiva. Dispiace che sia stata interrotta sul più bello, appena dopo la seconda giornata di ritorno. Da gruppo siamo riuscite a diventare una squadra forte e unita, lavorando tutti i giorni in palestra non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello mentale. C’erano ampi margini di miglioramento e sono sicura che avremmo potuto far divertire i nostri tifosi ancora tanto”.

Qual è stato il momento in cui avete capito di essere diventate squadra?

A mio avviso, la vittoria a Verona (3-0 contro la Vivigas Arena del 23 novembre, n.d.r.) ha segnato il momento di svolta; da lì si è iniziato ad intravedere il cambio di mentalità e siamo diventate più consapevoli delle nostre qualità. Un mese dopo, a Udine (3-0 contro la Pav del 22 dicembre, n.d.r.), abbiamo messo in campo la nostra miglior prestazione”.

All’inizio dell’emergenza coronavirus lei e Alice Giampietri vi siete spinte fino al confine della “zona rossa” di Codogno per andare a trovare la vostra compagna di squadra Cecilia Nicolini e portarle un pallone di pallavolo. Ci racconti meglio questo episodio.

La nostra compagna di squadra Cecilia si trovava in quarantena a Codogno da ormai due settimane. Così, vedendo dai telegiornali che la gente portava provviste ai propri familiari nella zona rossa, ci è venuta l’idea di andare a trovarla. Sapevamo che gli abbracci non erano possibili. Allora ci siamo messe a palleggiare: lei dietro la camionetta e all’interno dell’area off-limits, e noi dalla parte opposta, fuori. Insomma, abbiamo usato quasi la camionetta come fosse una rete. I militari hanno capito la situazione e sono stati molto comprensivi a permettercelo. Alla fine, le abbiamo lasciato la palla ed era contentissima”.

In questi giorni si stanno studiando varie ipotesi per far ripartire la pallavolo a tutti i livelli. Come vede la ripresa?

La speranza è di tornare alla normalità al più presto. O meglio: a una nuova normalità, che può essere quella di prima, ma in convivenza con il virus. Comunque, sono contenta che si stia lavorando per tornare in campo, anche se comprendo quanto sia difficile stabilire le modalità della ripresa”.

E invece quali sono i suoi progetti futuri?

La pallavolo farà parte della mia vita anche nella prossima stagione, quindi cercherò ancora di mettere tutta la mia esperienza a disposizione della squadra e delle compagne. E poi vedremo… ho tanti interessi al di fuori della pallavolo, ma preferisco fare un passo alla volta”.

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Capitan Beretta si sposa: l’addio al celibato (da orsi), i cinque testimoni e… Monza

Sale in Zucca

Come se fossi un mitologico Lello Arena in uno sketch televisivo creato assieme a Troisi, intento a strillare al mondo la parola annunciazione, annunciazione, vi indico una data, ovvero quella del 20 giugno 2025. Vi indico addirittura una location, che è Mapello, territorio a me ignoto posizionato per quel che so tra Bergamo e Monza. Voglio essere buono e dirvi anche che i testimoni saranno non uno, ma cinque, un po’ all’americana, un po’ laddove il damigellato è la nuova frontiera pallavolistica con la quale organizzare i nuovi matrimoni. Perché se sei Thomas Beretta, ossia uno dei (sempre un mio umilissimo parere) migliori capitani della Superlega dell’ultima decade, di gente che ti vuol bene ne collezioni stagione dopo stagione, e quindi scegliere una sola persona che ti accompagni in uno dei giorni più importanti della tua vita, appare una scelta insormontabile. Nel caso di Thomas, e soprattutto di chi ha memoria, la scelta è ricaduta su mitologici personaggi della pallavolo lombarda, alcuni noti alle cronache nazionali, altri noti più a chi in questo universo lo conosce come una grande famiglia Berettiana, che con Sara Loda, perfetto esempio di pallavolista adorata all’unanimità, convolerà a nozze tra qualche giorno.

“Saremo circa duecento persone, ed è normale perché entrambi tenevamo ad invitare tutte le persone che con noi hanno fatto parte di questo percorso pallavolistico. I miei testimoni saranno Simone Anzani, Andrea Moro, William Taliento, Massimo Santin, che sono i compagni e gli amici della pallavolo che mi hanno accompagnato sin da giovane e Camillo, mio fratello”.

Sua moglie ha organizzato un addio al nubilato olimpionico. Del suo addio al celibato, ovviamente, non vi è traccia.

“(ride n.d.r) Chi mi conosce sa che non sono uno che ha un grandissimo rapporto con i social, quindi ho solo pensato a godermi i quattro giorni ad Ibiza che ho trascorso con gli amici di sempre. Quindi non racconterò nulla, anche perché i miei amici sono più orsi di me da questo punto di vista. Dico solo che è stato divertente!”.

foto Instagram @alessiaorro8

Beretta e Loda. Accomunati da un enorme sentimento reciproco e da un grande amore per il volley. Supererete le distanze?

“Dovremo almeno per l’anno prossimo perché Sara resterà a Houston dove ha giocato quest’anno nella nuova Lega americana. Si è trovata molto bene, aveva un biennale ed è giusto che prosegua negli Stati Uniti perché è un’ottima opportunità per lei”.

Lei ha appena firmato il suo tredicesimo contratto con il Vero Volley. Beretta è il Francesco Totti della pallavolo?

“Fare parte del Consorzio racchiude un po’ la storia della mia carriera. In serie A, il prossimo anno sarà la mia diciassettesima stagione e questa è la mia undicesima stagione consecutiva qui. Ero qui quando il nome del club era Che Banca! Milano, quando tutto questo è nato. Per me vestire questa maglia e fare parte del futuro di questa squadra è molto importante”.

Non giriamoci attorno, arriva da una stagione molto complicata. Mi prendo io la responsabilità di dire una cosa. Senza un capitano come lei, quest’anno non credo ce l’avreste fatta.

“Io non so se questa cosa sia vera, ma di queste parole le sono grato. Ho cercato di portare avanti la stagione da capitano, facendo capire che il segreto per ottenere delle cose era lavorare, pensando a tutto con senso del dovere, spirito di sacrificio e dimostrando quanto fosse importante giocare, vincere e pensare solo al proprio lavoro e non al contorno di questo ambiente”.

Entrare nelle dinamiche interne ad uno spogliatoio ho sempre trovato fosse dannoso, nonostante tutti sappiamo di ciò di cui si parla. Mi dica almeno cosa ci ha messo in più.

“Ho pensato a staccare tutti quanti dai problemi che avevamo e con cui dovevamo fare i conti tutta la settimana e a far capire loro che dovevamo fare solo i giocatori, ovvero ciò per cui abbiamo tutti firmato qui a Monza. Nelle ultime due o tre settimane ho visto una pallavolo allenata e giocata di alto livello. Siamo riusciti a reggere soprattutto al fotofinish e l’obiettivo salvezza è diventata una realtà”.

Da cosa si riparte?

“La squadra che sta costruendo Monza mi piace, quindi sono molto positivo. Sono certo che ci si possa divertire. Dopo un’annata così difficile e complicata, tutti noi dobbiamo capire che non possiamo solo sopravvivere in una Superlega che cresce anno dopo anno. Dobbiamo vivere e affrontare ogni giorno in palestra come se fosse l’ultimo”.

È possibile ricreare la magia di due anni fa, quando trovò Monza strabordante di spettatori e la finale scudetto da giocare?

“Ci proveremo, anche se è troppo presto parlarne”.

Il suo percorso è stato uno dei più belli a cui abbia assistito, anche perché io so chi era il ragazzo che mi sono trovato di fronte nel 2011, quasi quindici anni. Cosa è cambiato?

“Ero più spensierato, di certi pensieri che ora faccio da capitano me ne accorgevo di meno. Ero anche più vulnerabile, tanto che molto di ciò che mi è capitato pensavo fosse irrecuperabile. Poi la vita ti pone di fronte ad una crescita che inevitabilmente devi fare se vuoi assumerti delle responsabilità”.

foto Legavolley

Lei è diventato il simbolo di Monza. Quest’anno le dico di più, con l’addio di Matteo Piano alla pallavolo giocata, credo che lei diventerà il simbolo della pallavolo lombarda, che considero un movimento a parte.

“Non ho pensato a questa cosa, ma è una responsabilità e non mi sento ancora di essere qualcosa di simbolico. Con Teo ho un ottimo rapporto e grazie a Louati nell’ultimo anno porto il ricordo di belle cene, l’ultima delle quali è avvenuta subito dopo la sua partita giocata a Modena. Credo che lui abbia dato per la pallavolo e ha dimostrato grande affetto a tutto l’ambiente, ricevendone altrettanto”.

La maglia ritirata, il palazzetto in piedi. Siete coetanei e siete cresciuti negli stessi anni e nello stesso ruolo. Mi dica che non l'ha sfiorata il pensiero di quando toccherai a lei.

“(ride n.d.r.) No, ma scherza. Chissà se per me ci sarà una cosa del genere, magari non sono nemmeno pronto a viverla. Lui su queste cose è molto più empatico di me. Io poi voglio ancora giocare.

Foto Vero Volley Monza

Era un gioco psicologico per chiederle di restare. 

“Per ora non preoccupatevi, mi avrete ancora tra i piedi per un bel po’”.

Intervista di Roberto Zucca
(©Riproduzione riservata)