Tutti pazzi per Yuri Romanò: “Ho saputo aspettare, ora è il mio momento”

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Di Roberto Zucca

Facciamo tutti ammenda. Anche se, sommessamente, non basterà un semplice mea culpa per non aver compreso che, il miglior talento della pallavolo italiana degli ultimi dieci anni, lo avevamo proprio a due passi da casa. Nemmeno il diretto interessato, Yuri Romanò, che da qualche settimana vive il momento più alto della sua carriera, ne sembra particolarmente consapevole. Ma Yuri è così. E forse è proprio questo il suo bello, ossia vivere tutto questo in maniera inconsapevole, riuscendo a trovare in un dettaglio, in un complimento, in un piccolo gesto, la forza di emozionarsi sempre:

“Vivo un bel momento. Ne sono consapevole e cerco di assaporare qualsiasi attimo. Con la mia fidanzata Marta, proprio qualche giorno fa ripercorrevo gli ultimi giorni di nazionale, ed è stato tutto complesso, difficile e bellissimo. Davvero una serie di momenti emozionanti“.

foto Instagram @yuriromano17

Dove trova la serenità per vivere tutto con serenità e misura?

“In famiglia. Mio papà è come me, una persona che mi ha insegnato a tenere i piedi per terra. A pazientare per ogni cosa, dicendo che prima o poi ciò che si desidera da una vita arriva. Ho saputo aspettare, fare la gavetta, attendere il momento giusto per dimostrare ciò che avevo imparato“.

La sua storia parte da Bollate, poi Brugherio e poi tanta A2. Mi dica cosa è rimasto di quel ragazzo.

Tutto. Sono anni che ricordo con piacere, anni in cui assieme ad altri ci siamo goduti il momento senza pensare a ciò che mancasse. Gli anni trascorsi in B o in A2 sono stati fondamentali per me, senza quelli non sarei diventato ciò che sono“.

Chi porterebbe con lei di quei compagni conosciuti negli anni di formazione?

Credo che ognuno di loro abbia fatto la propria strada, felice e consapevole di ciò che stava realizzando. Sono contento per il percorso fatto da Matteo Maiocchi o da Roberto Cominetti, con cui abbiamo esordito assieme e che si sono conquistati pian piano come me i loro traguardi. Roberto ha vinto due campionati di A2, Matteo ha giocato in A1 con me a Milano. Ma sono tanti quelli che ho incontrato e che ricordo con affetto“.

Foto Ufficio Stampa Emma Villas Aubay Siena

Lei però oggi è campione del mondo. È vera la storia del premio e di Kurek?

“(ride, n.d.r.) Intende dire quella in cui Kurek mi ha detto che lo avrei meritato io? Sì, sì, è vera. Mi hanno fatto piacere le sue parole“.

Un’altra persona forse avrebbe pensato fosse una presa in giro.

No, no. Anzi, sono state parole molto oneste e sincere. Vede, io sono uno che a queste cose tiene particolarmente. Quegli atleti come lui, o per dire, Lucarelli e Bruno, con cui ho festeggiato assieme ai compagni nella notte del Mondiale, sono persone che ho sempre visto come dei modelli a cui ispirarsi“.

Quindi è stata una notte non solo tricolore quella di Katowice?

Abbiamo fatto una cena e poi siamo rimasti nel bar dell’hotel con le squadre che alloggiavano lì. C’erano loro, i polacchi. Ecco, la mattina del Mondiale ho realizzato con Marta che fossimo a festeggiare con Simon, che per me è un mito assoluto e che adesso mi ritrovo in palestra a Piacenza“.

Foto Fipav/Rubin

Di Piacenza si è detto molto. Molti hanno pensato a quale destino andrà incontro.

Un bel destino. I primi giorni sono serviti per prendere le misure e per ritrovarsi in palestra. Si respira un’aria molto buona. La squadra, a vedere il roster, è costruita per fare molto bene, con dei nomi importanti, con cui sentirsi fortunati ogni qualvolta si mette il piede al palazzetto. Detto ciò, devo parlare ancora con Bernardi per capire cosa ha in mente per me. Ma sono molto fiducioso di potermi ritagliare il mio spazio in questa nuova squadra“.

Perché i giovani italiani trovano così poco spazio in Superlega? Si è fatto un’idea? 

Io convivo da anni col dover trovare una collocazione, quindi nemmeno mi pongo più il problema. Prima del Mondiale, avevo un’altra proposta sul tavolo, tanto che ho valutato anche l’estero, ma poi è arrivata la chiamata di Piacenza che ho accettato subito con entusiasmo. Ora, ciò che ho dimostrato con la maglia azzurra, spero possa cambiare un po’ le cose. Ho voglia di esserci. D’altronde questo è davvero il campionato più bello del mondo“.

foto Lega Volley

Quanto è importante l’avere di fianco una ragazza come Marta?

Anche ora è qui con me! Devo dire molto. Stiamo assieme da un anno e un mese ma è arrivata in un momento molto particolare della mia carriera. Quando torno a casa, avere Marta al mio fianco significa staccare da tutto e vivere qualsiasi cosa col giusto trasporto e con la giusta importanza“.

Chiedo a questo punto di poter rivolgere una domanda a Marta, che accetta con simpatia di concludere l’intervista, raccontandomi la finale di Katowice.

Ho iniziato a piangere dall’inno. Sentivo anche io la partita perché ho realizzato quanto fosse importante per Yuri. Anche io ho giocato, arrivando alla serie B, quindi conosco quale pressione si possa sentire su una gara importante. Forse non una finale mondiale, ma comprendo ciò che lui si stava giocando assieme alla squadra in quella partita. Il procuratore di Yuri era seduto di fianco a me, mi ha preso il viso tra le mani e mi ha detto che sarebbe stata molto lunga, una serata davvero lunga. Quindi mi sono rasserenata e ho gioito, pianto ed emozionata per lui“.

Mi dice chi è davvero Yuri?

È esattamente il ragazzo che si è descritto nell’intervista. Uno sportivo che ha fatto e fa enormi sacrifici per la pallavolo, per la sua vita. Vederlo da fuori dà ancora più l’idea di quanta strada abbia fatto e di quanto si sia sudato tutto ciò che poi è riuscito ad ottenere“.

Il momento più bello?

La partita con la Francia. Mi ha scritto un messaggio dicendomi ‘Amore, vado a prendermi il Mondiale’. Quella gara è stata bellissima, poi sappiamo come è finita. L’anno precedente mi ha scritto un messaggio che diceva ‘Amore, vado a prendermi l’Europeo’. E sono riusciti anche in quell’impresa. Posso solo dire che è stato bellissimo poter vivere entrambi i momenti al suo fianco“.

foto Instagram @yuriromano17

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Rinaldi, biennale in Giappone: “Vi racconto perché vado, i dubbi iniziali e… Modena”

Sale in Zucca

Osaka Blazers Sakai. Tutto o niente. Bianco o nero, o bianco e rosso se si ragiona per cromatismi della vita, e per la nuova bandiera d’appartenenza pallavolistica di Tommaso Rinaldi. La vita è fatta di cambiamenti, spesso radicali, di sfide che portano uno dei primi di italiani, ma di quelli che si candidano ad essere primi della classe a sbarcare nel campionato nipponico, dopo un passato anche recente fatto di Modena, patria del tifo sfegatato, del palazzetto che si riempie dell’entusiasmo e della mitomania, che è poi tipica del giapponesismo del volley. Lui è Tommaso, occhi di ghiaccio, voglia ed esigenza di essere più grande dei suoi 24 anni, destino di essere grande tra i grandi. 

L’entusiasmo per questa nuova avventura c’è tutto, anche se il pensiero di rinunciare a ciò che lo rende uno dei volti più interessanti della Superlega è tuttora presente.

“Osaka è nata per caso. È una destinazione a cui non avevo mai pensato finché all’inizio dell’anno, l’allenatore dei Blazers mi ha contattato su Instagram per sondare la volontà o la mia curiosità di giocare in un campionato così lontano da casa. Se vogliamo, lontananza a parte, è un campionato davvero diverso dal nostro, ma stimolante”.

Non voglio parlare della trattativa in sé. Volevo capire come è iniziato il suo processo di lento sradicamento da una città che lei ama tanto.

“C’è stato subito il confronto con la mia famiglia e con il procuratore anche solo per capire assieme cosa pensassimo di un passo del genere. Non ho ragionato pensando a ciò che mi veniva offerto, non è stato quello l’aspetto che mi incuriosiva di più. Ho pensato se fosse un’opportunità a quest’età e se davvero il Giappone potesse rappresentare un investimento sulla mia carriera”.

Che risposta si è dato?

“Sono rimasto colpito dall’attenzione e dal pensiero fatto da parte della società. Inizialmente ho pensato anche a Modena, perché non volevo lasciarla. Al di là della società in cui sono cresciuto, in cui ho vissuto per moltissimi anni, il pensiero è andato a ciò che mi ha dato tanto e che avrei dovuto lasciare. Ho un’offerta biennale a Osaka, segno che il progetto è lungo e che la volontà di fare bene c’è tutta”.

So che troverà un giocatore che già conosce.

“Sì, Matt Anderson. Saremo compagni di squadra e potremo fare assieme una bella stagione”.

Anderson e Rinaldi. Possiamo fare delle similitudini?

“Mi dica”.

La pallavolo giapponese vive di simbolismo, un po’ come tutta la cultura. Penso ai vostri due volti. C’è tanto marketing. Siete molto belli, siete due volti innocenti, siete un po’ uno stereotipo occidentale. Il volley un po’ pop vende biglietti?

“Sicuramente faremo clamore. Se parliamo di canoni estetici, rappresentiamo forse qualcosa di pulizia e trasparenza, non so quanto questo conti. Sono un popolo molto devoto alla pallavolo, molto attento, che esprime con moderazione ed educazione la propria gratitudine e il proprio affetto e simpatia nei confronti degli atleti”.

L’emozione c’è?

“C’è curiosità. Partirò ad agosto e sarò solo in questa prima fase. Se mi vuole chiedere quanta paura ho della solitudine, del fatto che sarò dall’altra parte del mondo per la prima volta per così tanto tempo, le dico che dovrò imparare a gestire tutto, ma sono fiducioso. Papà e mamma sono stati determinanti e mi hanno lasciato libero, senza il rimpianto di non avermi più a Modena a due passi da casa”.

Rinaldi, mi fa specie vederla diventare così grande.

“Sono cresciuto anche io. Questa è una grande occasione arrivata nel momento giusto”.

Intervista di Roberto Zucca
(©Riproduzione riservata)