Today in History: l’altra Kim porta la Coppa a Busto Arsizio

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Di Eugenio Peralta

21 marzo 2010: nella lontana Baku, la Yamamay Busto Arsizio vince la finale di Coppa CEV contro la Stella Rossa Belgrado, dando il via a un ciclo di successi che la porterà due anni dopo sul tetto d’Italia, e poi stabilmente tra le “grandi” del nostro volley. Ma in quel momento nessuno può saperlo: la squadra biancorossa gioca in A1 da soli 3 anni e non ha mai messo un trofeo in bacheca, neppure a livello nazionale. Soprattutto, nessuno può immaginare che la protagonista di quella partita decisiva si chiamerà Kim.

Foto Facebook Mina Kim

A “quelli della pallavolo” il nome Kim evoca emozioni forti, anche se ben diverse a seconda delle generazioni. I più giovani pensano subito a Kim Yeon-Koung, dinoccolata e sorridente fuoriclasse di Seul, tuttora tra le migliori giocatrici al mondo; i meno giovani al leggendario Kim Ho-Chul, palleggiatore di piccola statura ma di doti tecniche straordinarie, protagonista anche in Italia tra gli anni Ottanta e Novanta. Proprio nel 1984, quando il fenomeno sudcoreano è alla Santal Parma, nasce sua figlia: che si chiama Mi-Na Kim, con il cognome dopo il nome, all’italiana. E in Italia, infatti, resterà.

Anzi, la carriera ad alto livello di Mina (come presto viene trascritto il suo nome) inizia proprio dal Club Italia, in cui fa tappa a 17 anni. Da lì comincia un lungo peregrinare tra serie A2 e B1: Collecchio, Ancona, Volta Mantovana, ancora Collecchio, Urbino, Santa Croce. “L’unico rimpianto che ho – dirà in un’intervista a fine carriera – è quello di non essere arrivata in Serie A qualche anno prima. Ma la mia priorità è stata sempre quella di poter giocare“. Nel 2009, però, la chiamata dalla A1 arriva: la Yamamay, dopo l’addio dell’olandese Jettie Fokkens, ha bisogno di una palleggiatrice per affiancare la brasiliana Fernandinha.

Busto Arsizio è una grossa cittadina in provincia di Varese, nota in Italia più che altro per fatti di cronaca poco edificanti e per una fulminante battuta di Paolo Villaggio nel film “Io no spik inglish” (“Busto Arsizio? Ma è agghiacciante!“). Figuriamoci in Europa, dove la squadra biancorossa è al debutto assoluto, dopo il quarto posto e le semifinali play off dell’anno precedente. Il viaggio delle “farfalle” in Coppa CEV si trasforma così in una sorta di avventura epica per giocatrici, dirigenti e tifosi, al punto che a fine stagione diventerà anche il soggetto di un libro, “Euroyama di Stefano Pagli.

Tra i vari aneddoti raccontati nel volume c’è anche quello dell’esordio assoluto contro il Volksbank Velika Gorica, quando al PalaYamamay viene addirittura suonato linno nazionale: un’emozione irripetibile, anche perché l’indomani arriva il rimbrotto della CEV per quell’indebita deviazione dal protocollo. Ma poi Busto carbura, elimina le croate (3-0, 3-1), fa fuori anche le belghe del VDK Gent (3-1, 3-1) e, nei quarti, esce vincitrice dalla battaglia epica con lo Schweriner, imponendosi in casa per 3-2 e andando a vincere per 3-1 nella gelida cittadina tedesca, malgrado gli ace di una giovanissima Denise Hanke.

La Yamamay culla anche il sogno di organizzare la final four: ma i costi sono alti, il Comune nicchia e alla fine prevale Baku, che a suon di manat (la valuta azera) sta ponendo le basi della sua breve avventura da capitale europea del volley femminile. Non una scelta felice per le bustocche, visto che l’avversaria in semifinale è proprio il Rabita Baku, supportata da un’armata di tifosi (non in senso figurato: sono davvero soldati in divisa) e da giudici di linea altrettanto obbedienti. La partita è tutt’altro che una passeggiata: la squadra di Carlo Parisi se la aggiudica per 3-2 dopo quattro set piuttosto netti e un tie break lottatissimo, recuperato dal 6-10 e vinto 15-12.

In finale c’è la Stella Rossa, a sua volta reduce da un 3-2 sull’Uralochka; ma per la squadra serba non è un grosso problema, se si considera che la giocatrice più “vecchia” della rosa ha 23 anni. La formazione, a leggerla adesso, fa tutto un altro effetto: VeljkovicBjelica, Blagojevic, Zivkovic, tutte ancora pressoché sconosciute all’epoca. La Yamamay può contare su bocche da fuoco come Carmen Turlea e l’emergente Helena Havelkova; la stanchezza però si fa sentire e le serbe vincono il primo set per 22-25. Parisi inserisce Valeriano per De Luca, ma sul 12-10 succede il patatrac: Fernandinha si lancia in una difesa, si fa male al collo ed è costretta a uscire.

Foto UYBA Volley

Entra Mina Kim: primo anno di A1, prima esperienza europea, una quindicina di set giocati in stagione, nessuna presenza da titolare e una finale di Coppa da rimontare. Più difficile di così non si può. Eppure, con due “riserve” in campo, la Yamamay raddrizza la partita: dal 15-18 al 20-20 nel secondo, vinto in volata per 25-22, e poi un terzo dominato (25-12). Anche il quarto sembra subito mettersi sui binari giusti (11-2, 16-10), ma c’è ancora un brivido finale: con la forza dell’incoscienza, le giovani serbe rimontano dal 21-12 al 23-21. Si torna a lottare punto a punto, sul 24-22 Kim sceglie Havelkova: il mani-out è vincente e fa esplodere la gioia di Busto.

Seguiranno un sacco di cose: festa interminabile nella notte, celebrazioni a casa e al palazzetto, interviste e fotografie. La precoce eliminazione negli ottavi dei play off farà capire alla Yamamay che la strada verso il successo è ancora lunga, due anni interi. E per Kim quello rimarrà l’apice di una carriera in cui, comunque, riuscirà a ritagliarsi ancora uno spazio importante in serie A1, conquistando la promozione con la rinata Igor Gorgonzola Novara e vincendo anche una Coppa Italia. Abbastanza per lasciare un segno con il suo nome: Mina, non più solo “l’altra Kim“.

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