Tra le teche di Youtube e sfortunatamente non in quelle Rai, c’è un’intervista di Roberto Pomiato, giornalista dell’allora Pallavolo Padova ad un giovanissimo, capellone, e quasi biondo Simone Tiberti, con un atteggiamento a metà tra il tennista di talento col ciuffo d’ordinanza e il serioso regista che ha sempre interpretato. Da quella serata in cui Padova riuscì a battere la mitologica Quasar Massa sono passati quindici anni. Il tempo va, passano le ore e citazioni a parte, la storia di Simone e del me più narcisista e indiretto protagonista della pallavolo, dice che nelle stagioni a venire è per me stata una grande fortuna crescere con un riferimento come Tiberti, che a 45 anni costituisce ancora un patrimonio di mani e intelligenza della serie A2. Sempre le teche, ma stavolta del canale della Atlantide Pallavolo Brescia, riportano un non troppo silenzioso addio di Tiberti, dopo dieci lunghi anni trascorsi in questa società, ai tucani. Anche in questo caso, sempre facendo riferimento al mio nevrotico narcisismo e anche un po’ alla mia tigna, riascolto l’intervista, leggo qualche sito che parla di un suo addio alla pallavolo e poi faccio quello che per difetto ho già fatto con alcuni suoi amici in passato: alzo il telefono, tallono Tiberti e gli scrivo di ripensarci.
Viviamo in un’epoca pallavolistica in cui chi ha fatto parte degli esordi della mia generazione comincia a pensare ad altre vite, ai secondi tempi, alla conseguenza del fatto che se hai passato le tue domeniche negli ultimi 25 anni in pullman, in trasferta, a circumnavigare l’Italia, ma soprattutto a ricevere applausi e fischi, abbracci e critiche, ma soprattutto ad essere Tiberti, non possiamo abituarci a dover fare a meno di te in questo ambiente. Soprattutto se, in barba all’anagrafica che ci dice che l’età è solo un numero e che tu hai le stesse mani di quando ne avevi venti, la stessa visione di quando vestivi Gabeca, Vero Volley, Fidia Padova, e la stessa rabbia agonistica che non ti ha abbandonato anche questa stagione, quando hai messo su un gioco meraviglioso con la Gruppo Consoli Sferc Brescia, giocando tre finali su tre (campionato, Coppa Italia e Supercoppa Italiana) e vincendone una, ma splendendo nelle restanti due.
Non è più un’intervista, forse, e mi scuso con voi lettori. È la storia di un convincimento, di una telefonata che porta delle risposte e che dopo oltre 30 minuti mi fa dire che voglio ancora Simone con me, che sia per un’intervista con Volleynews, che sia solo per commentare su whatsapp una sua giocata.

Sono giorni duri, Tiberti, lo so.
“Sono in una montagna russa di emozioni. Dopo dieci anni a Brescia, si è conclusa la mia storia con questa bellissima società. Avrei voluto concluderla con un triplete o quantomeno con la conquista della Superlega che invece è andata meritatamente a Cuneo. Non ho giocato la stagione, pensando che fosse l’ultima, ma sapendo che avremo potuto raggiungere tanti bei traguardi. Abbiamo conquistato la Coppa Italia, mentre resta l’amaro in bocca per la Supercoppa, dove la differenza l’hanno fatta la battuta e la ricezione, che invece Cuneo ha sfruttato, giocando da prima della classe. Poi c’è stata la dichiarazione sulla mia ultima partita a Brescia, ed ora il turbinio che provo è quello di chi vuole fare tante cose, ma di chi ha ancora la testa sul campo”.
È la prima volta che intervisto una persona in un momento così complicato. Mi spiego, solitamente si ha la sensazione di voler smettere, penso a tanti suoi colleghi, o di voler fare altro. Quando ho ascoltato le sue dichiarazioni, mi è sembrato che lei volesse che fossimo noi a darle il congedo.
“Sicuramente ho capito che dopo dieci anni la mia storia di palleggiatore a Brescia in A2 può considerarsi conclusa. Questo significa che a questa società e anche a Zambonardi, con cui ho lavorato in tutti questi anni, resto legato, e mi piacerebbe essere coinvolto nel loro percorso, ma in un altro ruolo”.

Disposto a dare una mano. Mi prendo io la responsabilità di ciò che scrivo. Lei è una pietra miliare di questo club.
“La ringrazio, e spero che si possa continuare a ragionare assieme, così come posso dire che sono aperto a collaborare in generale con questo mondo. Lo conosco, con tutte le società di cui ho fatto parte mi sono lasciato in ottimi rapporti, penso anche a Monza dove ho giocato tre bellissime stagioni. Ho dei progetti, perché a 45 anni non puoi sperare di restare in campo fino ai 60, però nel mondo della pallavolo vorrei restarci davvero”.
Pistola alla tempia. Se Brescia avesse vinto la Superlega, lei non avrebbe appeso le scarpette.
“Sarei falso se dicessi di sì. Da secondo, avrei voluto rivivere un ultimo anno in Superlega, lo ammetto. Sto bene fisicamente, perché non cogliere un’opportunità così?”
C’è un pizzico di delusione. Mi dica la verità, lasciare in un punto alto era un suo desiderio?
“Sì, non vorrei essere portato via come se fossi un bagaglio ingombrante, o finire a giocare da qualsiasi parte pur di dire di esserci ancora. È stata una stagione in cui ho dato molto e nella quale io e Sottile, che ha annunciato il suo addio a 46 anni, abbiamo dimostrato che si può ancora fare delle belle stagioni, cercando di lasciare qualcosa anche ai più giovani. Mi piacerebbe proseguire nel lavoro con molti di quelli che ho incontrato in questi anni”.

Non siamo pronti a vederla con le scarpe appese al chiodo, lo capisce.
“(ride n.d.r.) Ma forse nemmeno io, anche la mia compagna mi dice che se non sono pronto, è giusto che continui. Poi una parte di me pensa che dedicarsi ai bimbi o a lei a tempo pieno o semplicemente avendo molto più tempo libero, è la cosa più giusta da fare”.
Facciamo così. Mi lascia scrivere che lei ha il telefono acceso ed è pronto ad ascoltare chiunque voglia offrirle un progetto?
“Lo scriva, va bene. In fondo è una storia di cui anche io voglio scrivere ancora delle pagine”.
Di Roberto Zucca
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