Il pensiero di Angelo Lorenzetti: tra giovani e tecnologia, Kazan, Velasco e Piacenza

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Di Paolo Cozzi

La stagione di SuperLega è appena conclusa, ma per qualcuno non è ancora tempo di vacanze. Quel qualcuno è Angelo Lorenzetti, protagonista, per la seconda stagione consecutiva, sulla panchina della Diatec Trentino. Una finale playoff solo sfiorata, con la sconfitta in gara 5 di semifinale per mano della neo-scudettata Sir Safety Perugia, e un’eliminazione in Champions League contro la Lube Civitanova, nell’ultimo atto prima della Final Four.

Ai microfoni di Volley NEWS, Lorenzetti si è aperto con il nostro Paolo Cozzi, parlando di campo, ma anche – tanto – del “sistema pallavolo” in Italia, visto con gli occhi di uno dei protagonisti più stimati di Lega Pallavolo Serie A, ma soprattutto di un grande conoscitore del nostro sport.

Come sarà la tua estate? Si parte dai camp estivi con i giovani a Trento.
“In questo momento, con lo staff, stiamo facendo un lavoro di studio e di chiacchiere di aggiornamento, mentre l’opportunità di poter continuare a lavorare anche nel periodo estivo dipende molto dalla società in cui si è, e io sono fortunato a trovarmi a Trento. Per me è il secondo anno in cui per un mese lavoro con dei ragazzi giovani di questa società, che sono in prestito e adesso in estate si possono rincontrare: si lavora un mese con loro, e questo è molto importante per non fargli fare una sosta troppo lunga. L’attività dei camp mostra che al Trentino Volley tutti lavorano insieme, dalla prima squadra ai giovani”. 

Per un ragazzo giovane non è una cosa che capita tutti i giorni poter lavorare con un allenatore pluri-vincente come te…
“Indipendentemente dalla mia presenza, questo è un camp con un’organizzazione ottima e tantissime iscrizioni. I ragazzi hanno grande motivazione, e questo è merito di chi organizza il tutto: grazie alla società, quindi”. 

Hai detto prima di portare avanti un lavoro di aggiornamento personale. Dove trovi gli stimoli per continuare ancora a crescere?
“La pallavolo è quasi sempre quella, ma ogni anno fornisce nuovi spunti: ogni stagione viene iniziata con delle idee, ma poi le tante partite ravvicinate non lasciano tanto tempo per riflettere e aggiornarsi. Il momento giusto per farlo è adesso: si riflette, ci si lavora durante l’estate e al rientro si riparte per la nuova stagione mettendo in pratica ciò che si è imparato. La fase di preparazione sarà come sempre quasi ininfluente per il campionato, perchè fatta con ragazzi che non parteciperanno alla stagione (in concomitanza della preparazione ci saranno i Mondiali, ndr). Bisogna comunque cercare di partire nel miglior modo possibile, cosa che non mi è riuscita quest’anno (ride, ndr)”. 

Sei sempre stato un allenatore “attento” dal punto di vista tecnologico. Novità?
“Negli ultimi anni si è sviluppata la raccolta dati: credo comunque che la pallavolo sia un po’ indietro sotto questo punto di vista. Secondo me ci sono cose che potrebbero aiutare molto dal punto di vista dell’apprendimento, così come da quello mentale e psicologico. Bisogna coordinarsi e studiare sempre in modo approfondito e continuativo. Ogni aspetto aiuta a portare qualcosina in più: secondo me la pallavolo italiana è un po’ indietro, quello che vedo io è che siamo un po’ “nel terzo mondo” da questo punto di vista. Sembra sempre di segnalare qualcosa di strano e straordinario, ma in realtà non sono cose complicate e non sempre di grandi investimenti”. 

Il videocheck come viene gestito? A volte addirittura può distrarre?
“Bisogna sistemarlo un pochino. Per quanto riguarda i giocatori, alcuni captano le cose più degli altri – mi ricordo per esempio Zlatanov sapeva sempre se la palla era dentro o fuori. Quando il capitano in campo dice una cosa, ha il suo peso: quando lui dice di chiamare il check, lo si chiama quasi sempre. Anche il videocheck dipende dai giocatori: per esempio Sokolov è uno di quelli che se dice che la palla è toccata, è toccata”. 

Credi che in Italia si abbia paura che figure come gli psicologi possano invadere le competenze tecniche?
“E’ chiaro che non è facile gestire questo rapporto. Parliamo di uno sport di squadra, che richiede una quantità di tempo altissima: inserire delle professionalità specifiche è spesso molto faticoso. Tuttavia, nell’ottica del miglioramento, ritengo necessario per noi allenatori dimostrarci vulnerabili al fatto che ci sono ambiti della performance sportiva in cui il nostro sapere non arriva o non esiste. Riempire quello spazio di incompetenza con dei professionisti adatti significa potenziare le nostre possibilità di successo. Io credo che un giorno sarebbe bello creare uno spazio e un percorso comune: ci sono squadre con un settore giovanile in cui i ragazzi crescono da quando hanno 14 anni, e questo percorso insieme è fondamentale”. 

Parliamo di Champions League: anche nella testa dei giocatori, si è creato un “mostro” Kazan?
“Dipende molto da chi li affronta. Civitanova, per esempio, ha la forza di poter stare a quel livello, quindi non credo che sia scesa in campo con l’idea di essere inferiore. Contro avversari del genere, ci può stare di perdere per troppa frenesia, ma non mi sembra questo il caso. Kazan è una squadra che ha costruito non solo una struttura di gioco efficiente, ma hanno anche tante situazioni con le quali riescono a cambiare in un attimo il trend negativo di una partita”. 

Noi siamo stati insieme protagonisti a Piacenza (nel 2007-2008, ndr). Come vedi attualmente la fragile situazione degli emiliani?
“E’ un peccato vederla così. A Piacenza ci sono persone che hanno vissuto gli anni d’oro del volley. Quello che si vede da fuori è che forse non è mai partito un progetto vero e proprio: è chiaro che la realtà di Piacenza è sempre stata “simpatica”. La possibile sparizione di questa piazza dispiacerebbe molto, ma in questi anni ci hanno abituati a dei recuperi miracolosi”. 

Capitolo Modena: ufficiale il ritorno di Julio Velasco. Sensazioni?
“Acquisto importante per il campionato italiano. Julio non è solo fare pallavolo, ma è anche come farla, come ascoltare un punto di vista particolare. Quando si va a analizzare un aspetto, lui è uno che illumina con dei punti di vista mai esplorati da nessuno. Modena è ormai una società strutturata, che è entrata nel mondo globale e fa della pallavolo un qualcosa di importante per tutta la settimana, non solo la domenica. Ci sono situazioni a Modena da risolvere, e penso che Velasco sia la persona giusta”. 

Una parola per il tuo staff, tra i migliori in Italia?
“Nel momento difficile siamo stati molto uniti, nella quotidianità. E’ stata questa la cosa bella di quest’anno. Il risultato è quello che conta nel volley, ma devo ringraziare Trentino Volley che ci ha sempre ribadito la fiducia. In campo non abbiamo sempre espresso un bel gioco, ma fuori dal campo siamo stati sempre uniti: questo è stato decisivo per l’annata”. 

Ai playoff ve la siete giocata fino alla fine con Perugia, nonostante una stagione in cui il gioco ha fatto fatica a coinvolgere Eder.
“Abbiamo vissuto molti momenti diversi durante l’anno, spesso con l’acqua alla gola dovendo risalire la classifica. Alla fine siamo arrivati con degli indici tecnici non eccezionali, ma il gruppo è sempre stato capace di giocare con quello che aveva”.

Ci saranno i Mondiali in Italia: è un’occasione?
“Non so, non sono così convinto. Sicuramente ci sono potenzialità, ma bisogna cavalcarle. La pallavolo di alto livello in Italia si vede, però queste manifestazioni possono dare anche altro. La pallavolo cresce non soltanto grazie ai Mondiali”.

L’entusiasmo nei giovani c’è, anche negli altri sport. A un certo punto, però, si perde tanto. Che ne pensa Lorenzetti?
“Io credo che nessuno abbia la verità in tasca. La cosa che crea un po’ di disagio è che c’è stato un periodo in cui l’Italia ha sfondato, e lì sono arrivati i grandi sponsor. In quel periodo c’era tanto entusiasmo e si parlava tanto, adesso i soldi sono diminuiti e si parla un po’ di meno. La pallavolo comunque sta tenendo, il livello è ricresciuto, i campionati giovanili sono cresciuti, però è anche vero che la motivazione di un giocatore si è spostata in avanti, per tanti fattori. Bisogna vedere se quello che si sta facendo è funzionale alla crescita dei giocatori. Nel mondo ci sono tanti modelli per arrivare a giocare, quello americano, quello cubano e quello francese, per esempio: da tutti bisogna apprendere delle caratteristiche, per modificare e rendere ancora più efficiente il modello italiano”.

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