Palasport: le nostre "vergogne" e le virtù degli altri

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Di Stefano Benzi

Mi devo togliere uno “scoglio” che ho nella scarpa sinistra, quella del piede che mi sono fratturato anni fa e che ora, quindi, mi fa ancora più male. Ma la colpa è di Paolo Cozzi: ho letto la sua ultima edizione di “Palla al Centro” prestando particolare attenzione al suo paragrafo sui palasport in Italia. Paolo è davvero un bravo ragazzo, molto educato, pure troppo: ha descritto in modo garbato una realtà che definire vergognosa è dire poco…

Ci si lamenta degli stadi in Italia, vecchi, spesso non a norma, quasi sempre in funzione solo grazie a una deroga del sindaco che si prende la responsabilità di far giocare le partite in strutture che, a volte, dovrebbero essere demolite. In Italia ci sono due stadi privati, solo due: lo Juventus Stadium e il Mapei di Reggio Emilia, che era privato ancora prima che arrivasse il Sassuolo. Tutti gli altri sono proprietà di comuni, regioni o enti come il Coni (l’Olimpico). Sono cresciuto a Genova in uno stadio che da sempre è considerato non a norma perché stretto tra un carcere, un torrente a perenne rischio alluvione, che è stato coperto per farne un parcheggio, tre o quattro quartieri posizionati su terreni alluvionali o franosi, una stazione ferroviaria, un casello autostradale, il Cimitero di Staglieno – un vero monumento – e la Volpara, un inceneritore di rifiuti. Con gli anni Marassi è stato dotato di quelle strutture base – tornelli, cancelli esterni e altro – che lo portano ai “minimi sindacali” per ospitare partite di serie A. Da anni si parla di progetti di stadi nuovi che qualsiasi comune puntualmente rigetta. Ci si dovrebbe chiedere anche: che interesse avrebbe un comune a perdere clienti che pagano l’affitto per uno stadio, il cui valore immobiliare crollerebbe, consentendo la costruzione di un impianto nuovo?

Per quanto riguarda i palasport è anche peggio: Genova ha uno degli impianti sportivi più belli e più grandi d’Italia. Il Palazzetto della Fiera del Mare: ci ho visto giocare solo la Emerson Genova, che esattamente quarant’anni fa festeggiò la sua promozione in A1 prima di sparire. Il Palazzetto dello Sport serviva per le fiere: il Salone Nautico, la Fiera Primavera, eccetera, eccetera. Il basket era una “rottura di scatole”. Inutile chiedersi per quale motivo per decenni Genova non ha avuto una squadra decente di basket o di volley e quelle che esistono oggi vivono in una struttura certo non destinata al grande pubblico…

Il fatto che mi dà più fastidio, e temo sia per questo che mi invitano di rado a tavole rotonde sul tema, è, spesso, la convivenza tra la politica e alcuni rappresentanti di istituzioni sportive – federazioni, associazioni e quant’altro – che sotto l’aspetto delle strutture conoscono solo un tempo. Il futuro: “Faremo, stiamo per progettare, molto presto nascerà, è ancora questione di poco tempo e poi…” E poi… E poi… Giorgia canterebbe “sarà come morire”. Perché come cantavano i Litfiba “chi visse sperando morì non si può dire”.

Viviamo in un paese che ha regole discutibili e che palesemente calpesta i diritti di due categorie in particolare: i giovani e gli anziani. Sempre meno servizi alla persona, sempre più tagli sul sociale, lo sport si deve autofinanziare. Non esiste. Non in un paese che si fa bello di essere ai vertici del G7 ma ha tagliato i Giochi della Gioventù e fa giocare i suoi studenti delle scuole dell’obbligo in palestre a prestito o in strutture del tutto inadeguate e, spesso, insicure.

Scusate,  ma questa cosa mi fa arrabbiare per davvero. A me non interessano il Mondiale, e nemmeno l’Europeo se allo stesso tempo non ci possono essere tante piccole strutture, a poca distanza da qualsiasi paese, dove ci siano una palestra per giocare e una piscina per nuotare. E vorrei le biblioteche piene almeno quanto gli spogliatoi. E questo non si può autofinanziare e non dovrebbe essere demandato alla – peraltro assolutamente lodevole e insostituibile – buona volontà di qualche club che rattoppa il vecchio palazzetto e spende tanti soldi per mantenere una casa che non è nemmeno la sua.

Perciò, parlino meno i politici e i loro cloni da federazione e amministrazione: e portino fatti. Mantenere lo sport in Italia costa quanto gli investimenti sportivi della Cina Popolare: oggi mantenere lo sport significa anche mantenere carrozzoni, dipendenti, eventi e consulenze. Non certo far giocare i nostri ragazzi.

Vi lascio con questa “simpatica” visione del futuro: è stato appena inaugurato, dal sogno visionario di un tecnico americano che si chiama Conrad Baumgartner, il più grande impianto visivo del mondo. Dentro un Palasport. Baumgartner lavora per una società americana che si occupa di display perimetrali a Led, quelli che da noi si usano per i maxi (o mini) schermi e per i banner pubblicitari di bordo campo. Ha convinto la sua società che investire in questo progetto sarebbe stato un grande ritorno di immagine e ha trovato il palasport perfetto che ora ha il più grande monitor del mondo: tecnologia Led, qualità 4K, video surround (è montato su una curva dell’impianto) 33 metri di larghezza, 5 di altezza e otto millimetri di interlinea.

È stato collaudato per la finale dei campionati asiatici di volley che si sono conclusi con la vittoria della Thailandia 3-1 sul Giappone: a Ust-Kamenogorsk, Kazakhstan…

Sul display passano la presentazione delle squadre, le statistiche, gli slow-motion e ovviamente anche i videocheck: perché spesso è difficile far capire al pubblico che il videocheck è dubbio solo sul maxischermo mentre sul monitor ad alta definizione degli arbitri se la palla è dentro o fuori è evidente. Le telecamere utilizzate a bordo campo e sulla rete sono di nuova generazione: 200 fps, frame per secondo. Vuol dire che ogni secondo lo puoi vedere parcellizzato in 200 microimmagini.

Hai voglia a vedere tocchi e invasioni… Manco a dirlo il maxischermo è abilitato alla 3D Vision e, ironia della sorte, si chiama Colosseo. Lo stesso impianto sarà installato a San Pietroburgo per i mondiali di calcio. Il costo dell’operazione per la federazione kazaka sarà ammortizzato nei prossimi quindici anni ed è stato ridotto a un terzo del prezzo di partenza. Il resto sarà saldato in cambi marce, marketing e pubblicitari: io che sto scrivendo questa notizia che mi è arrivata dall’ufficio stampa del Kazakhstan sto, fondamentalmente, contribuendo a pagare il loro dannato impianto. Ma se dico che la gran parte dei nostri palasport, e cosa ancora più grave, degli impianti scolastici, sono “da rottamare”, non paga nessuno.

Scusate il linguaggio e i concetti un po’ ruvidi. Parlo come mangio: e ultimamente mangio molto male.

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