Maurizia Cacciatori: “I genitori non devono vivere la vita dei figli”

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Un incontro emozionante e divertente quello che ha visto Maurizia Cacciatori ospite del Consorzio Comunità di Monza e Brianza per parlare di sport, di esperienze e di vita comune. Maurizia, una delle personalità assolute nel mondo del volley azzurro, eletta nel 1998 miglior palleggiatrice del Mondiale femminile – diciassette titoli nazionali e internazionali in carriera tra Perugia, Bergamo e Tenerife –, si è raccontata con tanta ironia e senza filtri al pubblico, con particolare attenzione per le giovani pallavoliste che erano venute a conoscerla: “Sono sempre stata una persona molto curiosa, desiderosa di fare esperienze, di viaggiare, di conoscere lingue e paesi diversi – ha detto Maurizia raccontando la sua carriera – quando si è trattato di andare via di casa per stabilirmi a Perugia avevo quindici anni e non ci ho pensato molto anche se i miei non erano convintissimi di questa scelta. A sedici anni vivevo per conto mio e dovevo cucinare, pulire e lavarmi le cose; inizialmente fu un disastro, piangevo quasi tutti i giorni ma mi sono fatta forte e sono cresciuta in fretta”.

La pallavolo l’ha contagiata da bambina: “Mi alzavo la palla e la schiacciavo da sola usando il cancello di casa come rete. Quando l’ho spaccato per la seconda volta i miei si sono convinti che forse era il caso di farmi giocare ed entrai nella Carrarese”. Da schiacciatrice diventa alzatrice, un cambiamento che inizialmente non la entusiasma: “Devo riconoscere che il mio allenatore di allora ci aveva visto lungo ma io volevo giocare per fare i punti, per essere la numero uno. Quello della palleggiatrice mi sembrava un ruolo noioso, che non mi avrebbe dato soddisfazioni”.

Il ruolo la porterà a vincere tutto e a trascinare le azzurre alle Olimpiadi di Sydney concretizzando la prima presenza italiana in assoluto per il volley femminile ai giochi: “Ho lavorato tantissimo, in modo incessante per anni alzando almeno duecento palloni a ogni allenamento. Ricordo Beppe Cuccarini passarmi personalmente un pallone dietro l’altro per darmi continuità di gioco e varietà di colpi: alla fine di ogni sessione di allenamento ero sfinita, ma la domenica giocavo sempre meglio. Posso sicuramente garantire che il talento naturale è molto, ma senza allenamenti costanti e continui e senza i consigli di allenatori che hanno esperienza si fa poca strada: e lo dice una che con gli allenatori si è spesso scontrata”.

Alle ragazzine che sognano una vita come la sua dice… “Non abbiate fretta, non è vero che il treno passa solo una volta. E se dovete andare in un posto potete andarci anche in macchina, in motorino, in bici o zoppicando su una gamba sola. Divertitevi e ponetevi traguardi che siano giustamente ambiziosi e non sconsiderati”.

Maurizia Cacciatori è severa nel suo giudizio sui genitori: “Sarà perché sono stata una sportiva professionista e ora sono anche una mamma ma vedo troppi genitori che fanno gli allenatori, i preparatori atletici, i motivatori e anche gli agenti dei figli. Troppo ingombro… i genitori non devono vivere la vita dei figli e non devono proiettare su di loro quelle che sono le proprie aspirazioni, magari non concretizzate. Facciano i genitori: devono consolare, spronare, educare e disinfettare le ferite dei loro ragazzi ma per il resto stiano fuori dalla palestra e dal campo”.

Simpaticissimo il momento che ha chiuso l’incontro con le foto insieme alle tante ragazze – emozionatissime – giunte a conoscerla e gli scatti con un gruppo di ragazzi africani, tutti richiedenti asilo, che stanno partecipando a un torneo di calcio provinciale: Maurizia li ha voluti incontrare personalmente parlando con loro in francese.

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