Una delle giornaliste che amo di più al mondo, forse la mia preferita, ha scritto che l’Emilia Romagna la capisci solamente se conosci Luca Carboni e le sue canzoni. La conosci, ha ragione Guia Soncini se negli anni della formazione hai squarciagolato Mare Mare, se hai fatto il pieno in autostrada e prendi l’aria sulla faccia, ma soprattutto se non vedi l’ora di arrivare al mare. In fondo, per traslare il discorso sulla pallavolo e su uno dei giocatori di A3 che preferisco, Lorenzo Grottoli, io e lui siamo gente di mare.
Leggo Lorenzo e capisco il mondo che ha dentro, le sue sfumature, sfioro Grottoli e colgo il significato della pallavolo per lui e per tutta quella tribù di persone, da Recine a Gardini, da Orioli a Bovolenta, che finito il campionato corre a Ravenna, a Marina di Ravenna per ritrovare Lorenzo, 194 centimetri di Romagna, di vita e sorrisi, di centrale e centralità nella pallavolo che ha scelto di giocare. Lorenzo è quella curiosità, quell’aria salata che senti parte di te quando ti parla di ciò che lo ha reso il giocatore di oggi, allevato dal Bonitta accademico, ma partito dalla C della Robur, dal Cesena della B, e ritrovatosi poco più che maggiorenne alla Consar a condividere il ruolo con l’ultimo Mengozzi, un po’ filosofo e un po’ senatore della serie.
Grottoli ha fatto sua la gavetta, la Superlega a vent’anni, le occasioni e la generosità che si presenta lo scorso anno quando il campo lo condividi con quel signore con la S maiuscola che si chiama Riccardo Copelli e inizi a capire che piano piano vuoi una fetta di pallavolo in più; quando capisci che ognuno c’ha il suo mare nel cuore sì e che quest’anno fosse necessario percorrere un nuovo tratto di autostrada e arrivare a Lecce, all’Aurispa, squadra in cui Grottoli chiude in doppia cifra le sue domeniche in A3, prendendosi un momentaneo terzo posto in classifica e per molti (non per me, che mi sembra di conoscerlo da sempre e di aver sperato questo inizio di stagione da anni) costituendo la sorpresa del girone blu.
“Non posso non nascondere che la soddisfazione è tanta e non vorrei rischiare di essere banale nel dire che quando concludi le partite con la doppia cifra al centro torni a casa contento. Sto andando bene perché questa Lecce sta andando molto bene. La squadra è cambiata molto rispetto alla scorsa stagione e dal primo giorno si è creato attorno a noi un ambiente molto bello, non fatto da alcuna pressione, ma solo dalla consapevolezza che volendo si potesse lavorare bene e si potesse tirare fuori da tutti un buon campionato. Le premesse per ora confermano che possiamo giocare un bel torneo”.
Cosa ha portato da Ravenna?
“Sono anni di grande formazione. Il primo anno di Superlega è stato quello più importante, perché oltre ad avere delle persone con cui confrontarmi come Mengozzi e Grozdanov, ho capito che giocare a quel livello potesse essere soltanto uno stimolo. Gli anni successivi ho continuato a lavorare, creandomi in parallelo una professionalità con l’università per poter diventare preparatore atletico, ma capendo anche che avrei voluto dare di più al mio sport. Lo scorso anno ho giocato qualche partita in A2 perché Riccardo Copelli doveva recuperare la piena forma e ho chiuso il campionato avendo chiaro che quest’anno avrei cercato il campo”.
Voleva giocare. La scelta di ritornare in A3 a Lecce. Mi dica se domani la rifarebbe.
“Assolutamente sì. È un campionato in cui mi fa piacere essere un riferimento è davvero motivante. Stiamo tutti crescendo assieme, la squadra è molto giovane e con il palleggiatore Bernardis parliamo molto e ci confrontiamo sul mio gioco, sulla palla da impostare, sulla rincorsa, su tutto”
Terzo posto in classifica. La sorpresa del campionato?
“Parlerei di ciò che mi piace e sicuramente dico che Castellana ha dimostrato di essere una formazione ostica con giocatori come Casaro che possono essere determinanti, ma non solo lui. È una partita che gioco e giocherò con molta voglia e molto entusiasmo”.
Cosa ha trovato all’Aurispa di famigliare?
“Forse ciò che ho lasciato a Ravenna, ossia quella serenità e quella professionalità con cui sono cresciuto. Le persone al centro, le aspettative non ossessionate e gli obiettivi in linea con le ambizioni di tutti”.
Grottoli sorpresa ma non troppo. Una carriera mossa a piccoli passi, a consapevolezza maturata?
“Antonio Valentini, l’ultimo allenatore che ho avuto e il più importante da questo punto di vista, mi ha insegnato quell’autoesigenza che mi aiuta tutt’oggi. Mi ha insegnato a chiedere a me stesso ciò che volevo, ciò a cui appunto ambivo e ad avere la consapevolezza del giocatore che sono, dei miei punti di forza e dei miglioramenti che posso fare, così come i massimi a cui posso arrivare. Io credo che ogni giocatore abbia il suo posto nel mondo e prima lo trova, migliore potrà essere il suo percorso”.
Confrontarsi con gli amici dell’estate, di cui lei mi sembra un po’ il capobanda, penso a Recine, a Orioli, a Bovolenta e altri, ossia gente che ha maturato una certa carriera, l’ha aiutata?
“Ma anche Mancini, Russo e Bartolucci. Sicuramente viverli è importante perché si sono create delle amicizie importanti. Penso a Checco, forse il più riservato del gruppo, che è stato un grande stimolo. Vederlo affrontare determinate cose, penso anche alla sua esperienza in solitaria in Giappone, è di grande ispirazione. Al di là del lavoro che condividiamo in campionati diversi è importante la dimensione umana. Mi manca, mi vuole e gli voglio bene, così come proviamo lo stesso sentimento anche con gli altri e questo è molto bello. Se lei ha trovato che io di questo gruppo sia quello che tira le fila, mi fa piacere, anche perché so quanto tengo ad ognuno di loro e quanto sia felice per la storia pallavolistica e i successi di tutti”.
Forse perché siamo gente di mare, ha scritto una volta.
“Riassume un po’ la nostra storia. L’essere casa, il ritrovarsi e il condividere tanto di sé e il fare lo stesso lavoro nel rispetto e nel supporto di tutti. Io sono cresciuto così e forse della Romagna ho sempre la nostalgia di questo”.
Intervista di Roberto Zucca
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