Per le donne islamiche fare sport non è più una condanna a morte

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Di Redazione

Qualche giorno fa ho parlato di una forma di discriminazione grave, ma fondamentalmente familiare, in base alla quale non tutti i ragazzi che vogliono avvicinarsi a uno sport hanno la stessa attenzione o precedenza. Ho seguito con molta attenzione negli ultimi anni ben altro genere di prevaricazione, quella che nei paesi fondamentalisti impedisce la pratica dello sport alle donne.

Non è l’unica, ben inteso: in Arabia Saudita solo poche settimane fa è caduta la legge che impediva alle donne di prendere la patente. I media sauditi hanno dato grande risalto alla consegna di dieci permessi di guida ad altrettante donne il 7 giugno scorso: le immagini sono diventate immediatamente social, donne vestite dalla testa ai piedi e con il solo volto scoperto che ritiravano la loro patente dal funzionario di Stato. Si calcola che entro un anno saranno almeno un migliaio le patenti assegnate alle donne. E si parla di un grande successo nella politica di Re Salman e del principe ereditario Mohammed, ritenuto la vera mente di questa serie di aperture: l’Arabia negli ultimi mesi ha inaugurato diversi cinema, festeggiato alcuni concerti. Le donne non possono ancora condividere lo stesso spazio con gli uomini, soprattutto in moschea. E anche sotto l’aspetto dello sport la discriminazione è ancora un grave problema.

Le donne arabe soffrono di obesità e di problemi cardiocircolatori dovuti al peso e alla poca attività fisica. Il 44% di loro rischia gravi patologie e non ha mai visto una palestra. In gran segreto molte, soprattutto nelle grandi città, si iscrivono in palestre riservate dove si tira di boxe o si impara il taekwondo. Da qualche tempo le palestre femminili sono meno nascoste del solito e le frequentatrici sono migliaia. Una società, la Lejaam, ha presentato il suo progetto ai sovrani sauditi e ha ottenuto un cauto “OK” per la realizzazione di palestre riservate alle donne. Tra queste sta ottenendo grande successo la FLAG, là dove FLAG sta per Fight Like a Girl.

Molte donne hanno cominciato anche a uscire allo scoperto, anche semplicemente facendo jogging. Cose che fino anche solo a pochi anni fa sarebbero state impensabili o sarebbero costate il carcere. Il basket sta cominciando a creare i primi centri di allenamento; per la pallavolo occorrerà altro tempo, per tennis e calcio sarà durissima.

L’associazione sui diritti umani Human Rights Watch, che si incarica di sorvegliare tutti i punti di rottura o di crisi sul piano di educazione, benessere e tutela della donna e dell’infanzia, registra timidissimi passi avanti: ma pur sempre significativi. In Iran la presenza di donne a eventi sportivi maschili era vietata fin dalla rivoluzione degli ayatollah del 1979. Le donne non potevano assistere a partite di campionato o internazionali di pallavolo, basket, calcio o di qualsiasi evento sportivo individuale dal nuoto all’atletica. La legge nel 2012 era stata estesa in modo ancora più severo a tutta una serie di altri eventi non solo sportivi. Finalmente questa norma è caduta. Dopo che lo scorso anno l’Iran aveva ospitato un evento di World League ma senza donne tra il pubblico (ufficialmente i biglietti riservati al pubblico femminile erano stati annunciati sold out, in pratica non erano mai stati nemmeno previsti), quest’anno la federazione iraniana ha aperto le porte al pubblico femminile: durante Iran-Germania si sono viste anche alcune donne inquadrate dalle telecamere e altre sono finite via Tweet sui social. La federazione iraniana si è limitata a spiegare che erano stati riservati alcuni tagliandi a titolo sperimentale a un pubblico femminile. L’immagine di una di queste donne che reggeva orgogliosamente la bandiera iraniana non è passata inosservata.

Moltissime le immagini che l’agenzia di stampa iraniana IRNA ha girato ai colleghi nel corso del mondiale di calcio: famiglie, donne comprese, che tifano Iran davanti alla TV. A dicembre 35 donne che stavano accompagnando il loro uomo allo stadio erano state arrestate…

Sono solo pochi mesi e sono comunque ancora piccoli passi. Ma dai… speriamo… Continuiamo a far rotolare e rimbalzare la palla e vediamo se cade nel campo vicino e se qualcuno la raccoglie e ce la ripassa.

 

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Hanno rubato la medaglia a Franco Bertoli, la mano di pietra: non si ruba nei musei

Le storie di Stefano Benzi

Di Stefano Benzi

Diciamo la verità… quando quella lontana estate del 1984 si diceva “c’è la pallavolo, dove la andiamo a vedere”? Non eravamo molto consapevoli: un po’ perché quella non era ancora la generazione dei fenomeni che sarebbe arrivata di lì a qualche anno e un po’ perché eravamo ancora ubriachi del Mondiale di calcio vinto nel 1982. La pallavolo fino a quel momento era un parente povero e poco considerato: i canali televisivi che potevano trasmettere sport erano esclusivamente quelli della Rai. E dunque due… e mezzo: Il resto lo scoprivi alla spicciolata un po’ come il tennis o il nuoto. Eravamo impazziti per Novella Calligaris o per Adriano Panatta quando arrivò alla finale del Roland Garros. Ma il concetto di virata, di rovescio e di slide non erano per tutti. Per non parlare della vela: una volta ogni tot di anni ci ricordavamo di essere un popolo di navigatori per via di Azzurra, Luna Rossa o del Moro e si faceva la notte in bianco. Ma il senso di “cazza la randa” o di “bolina” non ci è ancora del tutto chiaro.

Per la squadra di pallavolo del 1984 non eravamo preparati: chi se l’aspettava una prodezza del genere. All’epoca lavoravo già e ricordo perfettamente uno dei miei capi – disperato – alle prese con un pezzo e un titolo sbraitava da infarto: “Come diavolo si dice – urlava in redazione – schiacciata o smash?”

A Los Angeles uno dei supertestimonial era Roberto Duran, straordinario pugile panamense che viveva in California e che era cresciuto al Chorillo, nella favela della Casa de Pedra. Da qui il suo nome: “Mano de Pedra”. Nel 1984 era all’apice: si era frantumato una mano combattendo contro Marvin Hagler (un vero animale da ring) dunque alle Olimpiadi faceva il personaggio e presenziava a tutte le gare più interessanti. Vedendo la squadra azzurra contro il Canada Duran disse… “Esta sì es una mano de pedra….”

La mano di pietra era quello di Franco Bertoli: i giocatori del Canada confessarono che quando Dall’Olio apriva lo schema su di lui la gara era a chi si spostava prima da una parte per evitare la botta. Era la generazione dei geometri: mi piace chiamarla così perché erano giocatori straordinari, certamente non ricchi, ma di feroce determinazione e di grande coraggio. Furono loro a porre basi di quanto sarebbe arrivato dopo.

Ottennero uno storico terzo posto, la prima medaglia olimpica della pallavolo italiana dopo una semifinale persa e giocata a testa alta contro il Brasile. Bertoli ha usato il granito per vincere – vado a memoria – anche sette titoli italiani, due coppe campioni e mi pare cinque Coppa Italia. Poi ha fatto l’allenatore, ricordo delle belle interviste con lui a Roma nel 2000, il dirigente e l’amministratore pubblico. Appassionato di statistica, è un grande studioso di numerologia. Un uomo simbolo cui hanno fatto una cattiveria: qualcuno si è introdotto in casa sua e gli ha svaligiato l’appartamento portandosi via anche la medaglia di bronzo di Los Angeles 1984. Anche se fosse d’oro il suo valore sarebbe davvero minimo: le medaglie sono placcate e simboliche, hanno un peso solo per chi le ha vinte e per chi eventualmente le colleziona.

Cari signori ladri, a Natale, siamo tutti più buoni… cogliete una buona occasione per fare una bella figura. Fate un pacchettino, mi raccomando con tanta bella carta per evitare gli urti, e spedite il tutto a Franco Bertoli, presso C.O.N.I. Largo Giulio Onesti 1 Roma. Là sapranno come recapitarla a una mano di pietra che per vostra fortuna non avete trovato in casa mentre stavate facendo pulizia. Perché Bertoli ha sessant’anni ma se li porta alla grande; è di Udine – gran testone – è 1.92 per novanta chili di muscoli e le mani di granito le ha ancora. Io uno così lo vorrei avere tutta la vita dalla mia parte.

E poi, che ve ne fate di una medaglia che non meritate?