L’allegra baraonda del volley: perché il movimento deve ringraziare gente come Ivan Zaytsev

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Di Stefano Benzi

Ho avuto il piacere di vedere da vicino per la terza volta in pochi mesi Ivan Zaytsev: è stato intervistato dalla nostra redazione, e ho potuto riscontrare la sua grande disponibilità. Ha risposto a tutto quanto gli è stato chiesto e ha scattato due o tre dozzine di foto con dipendenti e addetti ai lavori. Ma non è stato nulla rispetto a quello che ho potuto vedere sabato: io non amo quando le arene del volley diventano un’estensione dei format televisivi – per esempio – dei talent show. Ragazzine urlanti al minimo cenno dello speaker che chiama “Zaytsev!” o “Giannelli!”: ma mi rendo perfettamente conto che oggi, sia i protagonisti maschili che femminili più popolari, danno non solo alla loro persona, ma alla loro squadra e a tutto il movimento un valore aggiunto che è sproporzionato e forse incommensurabile rispetto a tutto il resto.

Sabato sera a partita finita, 3-0 per Perugia su Monza, dopo uno dei match più belli giocati sia dalla squadra che a livello personale da Zaytsev, il giocatore ha subìto un affettuoso “stalking” da parte di migliaia di fans… mai visto niente del genere. Un’allegra baraonda con il mirino su un unico obiettivo. Ivan…

Dopo aver faticosamente risposto alle domande dei giornalisti ai bordi della zona speaker, con due cordoni di addetti alla sicurezza che proteggevano il presidio, Ivan ha capito che non sarebbe mai arrivato agli spogliatoi. “Che faccio…? Mica mi potete scortare…” ha detto con uno sguardo divertito ai responsabili del Gi Group Team Monza che non sapevano come tenere a bada non meno di un  migliaio di persone che sognavano un selfie con il loro mito. Di qui la scelta paziente e consapevole di Ivan che, a una a una, ha accontentato tutte le persone che volevano un suo pezzettino da portare a casa.

Una foto, anzi due…”, “un autografo, mi fai la dedica?”. Una ragazza gli porge il telefonino pregandolo di salutare a casa la sorella malata che non aveva potuto essere presente. Due ore dopo Ivan è ancora lì, con la maglia sudata del match addosso, a firmare autografi e scattare selfie.

Il che mi ha fatto ragionare: queste due ore di lavoro straordinario, non solo nel senso di orario ma anche di impegno… che valore hanno? Gigantesco, secondo me: e chi ci ha guadagnato? In parte lo stesso Ivan, tanto la sua squadra, ma molto – enormemente – di più, ci ha guadagnato la pallavolo.

Le foto di Ivan in poche ore hanno fatto il giro del web: Instagram, la pagina social di Vero Volley… foto con ‘grazie’ accorati e sentiti tra i commenti. Ragazzini entusiasti, padri che scrivevano… “non ho mai visto mia figlia così felice”.

Non è scritto da nessuna parte che un giocatore si presti a questo genere di cose: molti lo fanno, altri non ci pensano nemmeno, altri ancora non lo hanno mai fatto in venti anni di carriera. Atleti che arrivano dal volley, dal calcio, dal basket come dall’atletica o dal nuoto. Non è scritto da nessuna parte che una rockstar si metta a disposizione del pubblico. Ne ho conosciute a centinaia che di contatto con i fan non ne vogliono sentire minimamente parlare.

Sabato, se mai avessi avuto anche un solo dubbio, e non ne avevo, di quanto la vicenda legata a scarpe e sponsor personali fosse sbagliata, mirata e del tutto inappropriata nei confronti del giocatore, ho avuto la conferma che esistono patrimoni che il volley dovrebbe proteggere e non monetizzare a tutti i costi. Sono certo che una discreta percentuale di quei ragazzini che sabato hanno implorato il giocatore per una foto o un autografo, oggi hanno un motivo in più per guardare alla pallavolo con rinnovato entusiasmo e di questo si può solo ringraziare gente come Ivan Zaytsev.

 

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