La ‘Sliding Door’ di Brooklyn DeLeye, talento americano di cui sentiremo parlare

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A tutti noi, prima o poi, sarà capitato di chiederci come sarebbero andate le cose se avessimo preso una strada diversa o fatto una scelta anziché un’altra. Il destino avrebbe comunque seguito il suo corso, oppure un dettaglio apparentemente insignificante avrebbe potuto cambiare tutto? È il fascino dell’incertezza, lo stesso su cui si basa Sliding Doors, il celebre film con Gwyneth Paltrow che esplora le infinite possibilità racchiuse nei “se” e nei “ma”.

Un esempio perfetto di questa dinamica è la storia di Brooklyn DeLeye, giovane schiacciatrice statunitense delle Kentucky Wildcats e uno dei talenti più brillanti del campionato NCAA di pallavolo femminile. Cresciuta in Kansas, DeLeye avrebbe potuto intraprendere una carriera importante in molte altre discipline: calcio, softball, golf e basket, sport che ha praticato con successo prima di scegliere definitivamente il volley. Una decisione che, finora, si sta rivelando vincente e che potrebbe portarla molto in alto. In attesa di scoprire cosa le riserverà il futuro, proviamo a conoscere meglio Brooklyn attraverso questa intervista esclusiva.

Per cominciare, ti va di raccontarci qualcosa di te?

Mi chiamo Brooklyn DeLeye e, sopra ogni cosa, do valore alla fede, alla famiglia e agli amici. Sono originaria di Topeka, in Kansas, una città non particolarmente conosciuta per la pallavolo. Proprio per questo ho dovuto impegnarmi moltissimo per arrivare dove sono oggi, e sono profondamente grata a tutti i miei allenatori e a chi mi ha sempre sostenuta lungo il percorso“.

Da dove nasce la tua passione per la pallavolo? È stato qualcosa di naturale?

La mia passione per la pallavolo è nata grazie a mia sorella maggiore, Macy. Fin da piccola l’ho sempre ammirata e considerata un punto di riferimento. Quando ha iniziato a giocare, io me ne stavo a bordo campo, a palleggiare da sola. È stata lei la prima ad aiutarmi, ed è proprio così che è cominciato tutto. Dal momento in cui ho toccato il mio primo pallone da pallavolo, è scattato qualcosa: me ne sono innamorata e da allora non mi sono mai fermata“.

foto Instagram @brooklyndeleye0117

La pallavolo è solo una parte del tuo percorso sportivo. In un’intervista, tuo padre ha raccontato: “Vivevamo a Topeka, a circa un’ora da Kansas City. Tutti i grandi club della città continuavano a contattarla perché volevano che giocasse con loro, ma era impegnata in così tanti sport che non poteva andarci. Senza i suoi nonni, non saremmo mai riusciti a portarla in giro per Topeka per tutte le attività che faceva”. Com’è stato essere una ‘multi-sport athlete’?

Crescere praticando tanti sport è stata, senza dubbio, una delle scelte migliori della mia vita. Ho avuto la fortuna di poter giocare a basket, calcio, softball, golf e ovviamente pallavolo. Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza il sostegno instancabile dei miei genitori e dei miei nonni. Anche mio fratello e mia sorella erano sportivi, quindi immagino quanto possa essere stato complicato per loro gestire tre figli coinvolti in così tante attività. Eppure, non li ho mai sentiti lamentarsi: si sono sempre organizzati, facendo in modo che tutto funzionasse. Ogni sport mi ha insegnato cosa significa essere parte di una squadra, come affrontare le sfide, e mi ha permesso di sviluppare abilità che mi sono tornate utili anche nella pallavolo. Credo che tutto questo mi abbia aiutata a saper essere reattiva, ad adattarmi e ad affrontare le difficoltà con determinazione, perché ogni disciplina mi ha messa alla prova in modi diversi“.

Di fronte al grande bivio della tua carriera sportiva, hai scelto la pallavolo, rinunciando a praticare gli altri sport in cui eccellevi. Perché hai preso questa decisione? È una scelta definitiva?

La pallavolo è stato l’unico sport in cui mi sono innamorata anche degli allenamenti. Le altre discipline mi piacevano, certo, ma aspettavo le partite. Con la pallavolo era diverso: non vedevo l’ora di allenarmi, di toccare il pallone, di migliorare, giorno dopo giorno. Giocavo ovunque, anche in casa, per ore e ore, ogni giorno. Devo ammettere che a volte mi mancano gli altri sport, soprattutto quando guardo le partite qui alla University of Kentucky. Ma sono profondamente felice della scelta che ho fatto. Non ho mai avuto dubbi, né rimpianti. Da quando ho deciso di dedicarmi completamente alla pallavolo, ho potuto dare tutta me stessa, qualcosa che, prima, dividendo le energie su più fronti, non ero mai riuscita a fare davvero“.

foto Instagram @brooklyndeleye0117

Anche se questi sport sono molto diversi tra loro, c’è qualcosa che hai preso dal calcio, dal softball, dal golf e dal basket per migliorare nella pallavolo?

Sì, sicuramente. Ho migliorato i miei riflessi, affinato le mie capacità di lavorare insieme alle mie compagne di squadra e sviluppato la leadership, diventando un’atleta più completa. Penso che, oggi, sia difficile per le nuove generazioni praticare più sport, visto che molti di questi (negli USA, ndr) non sono più ‘stagionali’. È davvero triste, perché sta accadendo sempre più spesso che i giovani si stanchino mentalmente e fisicamente, e si facciano male. Personalmente, praticare diversi sport mi ha aiutata a prevenire gli infortuni, perché cambiavo continuamente tipo di movimento e non passavo un intero anno a colpire o schiacciare solo il pallone da pallavolo“.

Come riassumeresti la tua carriera pallavolistica, dagli inizi all’arrivo alla University of Kentucky? E cosa ti ha portata a scegliere questo ateneo durante il processo di reclutamento?

Ho iniziato a giocare a pallavolo a 9 anni e, in quel periodo, coprivo praticamente ogni ruolo. Crescendo e passando a una squadra di club più competitiva, ho cominciato a giocare come centrale. Quando mia sorella frequentava il liceo, il coach mi chiese di unirmi a loro per gli allenamenti estivi. Dato che mia sorella era una centrale e in quella posizione c’erano altre atlete, mi spostarono al ruolo di schiacciatrice. Questo mi ha permesso di giocare anche in seconda linea e di ampliare le mie competenze tecniche.

Durante l’ultimo anno di scuole medie cambiarono le regole riguardo a quando si potesse parlare con gli allenatori dei college: divenne possibile solo dal secondo anno delle superiori. Prima di questo cambiamento, però, venni chiamata da un’allenatrice della University of Kansas. In quell’occasione ricevetti anche la prima offerta per giocare nella Division 1, ma all’epoca non ne comprendevo davvero l’importanza. Credevo di voler restare vicina a casa, anche se mia madre scherzando diceva che ero la figlia destinata ad andare lontano.

Quando arrivò il 15 giugno del mio secondo anno di liceo, fui sommersa dalle chiamate. Fino a quel momento non avevo un’idea chiara di dove volessi andare, cercavo solo di vivere il momento. In seguito partecipai a un camp alla University of Kentucky con mia sorella, visitai il campus e me ne innamorai. Lo staff tecnico e le giocatrici furono incredibilmente accoglienti, fecero di tutto per farmi sentire benvenuta e aiutarmi. Questo non accadde in nessun altro camp. Mi fecero sentire importante, e vidi che si interessavano non solo alle mie doti pallavolistiche, ma anche a me come persona. La sera dopo il camp ricevetti un’offerta e dovetti prendere una decisione importante. Tornata a casa, ne parlai con i miei genitori e, alla fine, decisi di impegnarmi con quella che oggi chiamo la mia nuova casa. Non ho mai rimpianto quella scelta, e non potrei essere più felice di dove mi trovo adesso“.

foto Instagram @brooklyndeleye0117

Come sono stati i tuoi primi anni con le Wildcats?

Quando sono arrivata in Kentucky, ho dovuto affrontare molti cambiamenti dal punto di vista pallavolistico. Giocavo in un piccolo club durante il liceo, dove il ritmo e la velocità del gioco non erano molto elevati. Passare al volley universitario è stato qualcosa di drastico, come passare dal giorno alla notte. Non sono una persona o una giocatrice molto paziente e perciò cercavo di adattarmi velocemente. Tuttavia, ci è voluto molto più tempo di quanto pensassi.

All’inizio della mia prima fall-season, il ruolo di schiacciatrice era condiviso da tre giocatrici, quindi non c’era molto margine per sbagliare: se non rendevi, qualcun altro prendeva il tuo posto. Ho dovuto prepararmi mentalmente e fisicamente a tutto ciò. Abbiamo iniziato la stagione con un record negativo e mi sono assunta la responsabilità per molte di quelle sconfitte. Inoltre, per la prima volta nella mia vita, giocavo solo tre rotazioni: anche quello è stato un grande cambiamento. Poi, quando è cominciata la conference, una delle nostre opposte da sei rotazioni si è infortunata. Il mio allenatore, Craig Skinner, mi ha chiamata nel suo ufficio e mi ha detto che avevano bisogno che io facessi un passo avanti e giocassi tutte le sei rotazioni. L’avevo sempre fatto nella mia carriera, ma mai a livello universitario. La velocità del gioco ha richiesto un po’ di tempo di adattamento, ma ho fatto del mio meglio. Abbiamo vinto la SEC, sono stata nominata Matricola dell’Anno della SEC e abbiamo raggiunto gli ottavi di finale (Sweet 16) del torneo NCAA.

Nel mio secondo anno, ho dovuto crescere non solo in campo, ma anche come leader. Avevamo perso molte senior l’anno precedente, comprese le nostre leader principali. È stata una sfida più grande di quanto pensassi, ma siamo riuscite a mantenere i nostri standard e a vincere di nuovo la SEC, per l’ottava volta consecutiva. Sono stata eletta Giocatrice dell’Anno della SEC e sono arrivata in finale per il premio di Miglior Giocatrice a livello nazionale. La mia carriera universitaria non è stata facile, ma mi ha insegnato a superare le difficoltà e le sfide, ed è proprio questo che mi ha portato dove sono oggi“.

Quali sono le difficoltà che hai affrontato al college e come le hai superate?

Ho dovuto dare priorità alla mia salute mentale, capire come gestire una vita a 9 ore e mezza di distanza da tutta la mia famiglia, fare nuove amicizie e uscire dal mio guscio, adattarmi ai cambiamenti di ruolo in campo, affrontare le critiche e le aspettative personali. Mi sono rivolta al nostro psicologo sportivo affinché mi aiutasse a superare tutte queste difficoltà, e ho parlato con il mio allenatore e con lo staff di questi temi. Loro mi hanno supportata in modi che forse non si rendono nemmeno conto, e mi sono stati sempre vicini in ogni cosa che ho fatto“.

Come descriveresti te stessa come schiacciatrice a qualcuno che ha sentito parlare bene di te, ma non ha ancora avuto occasione di vederti giocare?

Mi descriverei come una giocatrice che passa un po’ sotto il radar, una vera competitiva che non vuole mai perdere e che fa dell’astuzia il suo punto di forza. Non mi definirei una grande saltatrice né una con il braccio potente. Direi invece che sono abile nel piazzare i colpi con precisione e nel saper sfruttare molto bene il muro. Ogni volta che metto piede in campo, spero di ispirare le bambine, affinché possano sognare in grande e magari un giorno giocare su un palcoscenico come quello della NCAA Division 1“.

foto: Danny Pendleton

Sei considerata una delle stelle emergenti della NCAA. Quanto è difficile mantenere i piedi per terra?

Sono davvero onorata di aver ricevuto tanti premi e riconoscimenti individuali, ma non li considero merito esclusivamente mio. Provo una profonda gratitudine verso le mie compagne di squadra, i miei allenatori, gli amici e la mia famiglia, perché senza di loro non ci sarei mai riuscita. Cerco sempre di migliorarmi, come atleta e come persona. Non mi accontento di questi riconoscimenti: nella mia mente, ogni stagione rappresenta un nuovo inizio. Per me non conta ciò che ho ottenuto in passato, se non riesco a mantenere costanza e qualità nelle prestazioni che verranno“.

Quali sono le aspettative e gli obiettivi delle Wildcats per la fall-season 2025?

Il nostro obiettivo è chiaro: vincere il campionato SEC per la nona volta consecutiva, il torneo della conference e il titolo nazionale. Siamo sempre state viste come delle outsider, e proprio per questo penso che l’anno prossimo molte squadre ci sottovaluteranno. Ma abbiamo tutto quello che serve per fare qualcosa di speciale. Il potenziale c’è, i pezzi del puzzle ci sono: ora sta a noi lavorare ogni giorno con costanza e continuare a onorare gli standard di eccellenza che ci sono qui alla University of Kentucky“.

Dove ti vedi tra qualche anno? Quali sono gli obiettivi che ti sei posta?

Dopo il college, il mio sogno è giocare a livello professionistico. Mi piacerebbe moltissimo trasferirmi all’estero, magari in Europa, e scoprire com’è vivere la pallavolo in un altro paese. Ovviamente, il traguardo più ambizioso è partecipare alle Olimpiadi, anche se so che la strada per arrivarci è ancora lunga“.

Un’ultima curiosità: cosa ti piace fare quando non sei in palestra?

Alcune delle mie passioni sono cucinare e preparare dolci, praticare altri sport, guardare film e passare del tempo con gli amici. Amo anche viaggiare e andare alla scoperta di posti nuovi“.

Di Alessandro Garotta

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