La nuova vita di Becky Perry: “Del volley mi manca la voglia di vincere”

DATA PUBBLICAZIONE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti
SHARE
Foto Instagram Becky Perry
SHARE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti

Di Alessandro Garotta

Non andare dove il sentiero ti può portare, vai invece dove il sentiero non c’è ancora e lascia dietro di te una traccia“. Questo aforisma dello scrittore, saggista e poeta americano Ralph Waldo Emerson calza perfettamente con la storia di Rebecca “Becky” Perry, ex giocatrice italoamericana di pallavolo indoor e Beach Volley, che nella sua carriera ha girato il mondo intero all’inseguimento di un pallone. Il suo percorso fatto di crocevia sportivi e culturali l’ha portata a vivere esperienze umane, ancora prima che pallavolistiche, fuori dal comune, che racconta in un’intervista esclusiva ai microfoni di Volley NEWS.

Becky, per lei è iniziata una “nuova vita” dopo la fine dell’attività agonistica. Ce ne parla?

Nel 2019 ho fatto domanda per accedere alle lauree online presso l’University of Texas, a Dallas. Era il mio ultimo anno di pallavolo professionistica e la richiesta è stata accettata: così, di pari passo con l’attività sportiva, ho iniziato a studiare per ottenere due Master. Nel 2021 ho completato sia quello in Business Administration sia quello in Science in Information Technology, entrambi con lode. Ora sto mettendo a frutto i miei studi come partner manager: collaboro con una serie di aziende per fornire soluzioni software per altre attività“.

Quando è nata l’idea di appendere le ginocchiere al chiodo? Come ha capito che era il momento giusto?

Ho sempre avuto tra i miei piani quello di giocare a livello professionistico fino al conseguimento dei miei Master. In questo modo, potevo sfruttare il tempo libero tra gli allenamenti per studiare e completare i compiti, invece di farlo durante il normale orario di lavoro. Tuttavia, i miei progetti sono cambiati quando nel marzo 2020 – durante il periodo in cui giocavo a Portorico – è scoppiata la pandemia. C’era molta confusione nel mondo dello sport. Come atlete, non sapevamo se i campionati sarebbero ricominciati nella stagione successiva e se i club sarebbero stati in grado di trovare un numero sufficiente di sponsor per pagare gli stipendi delle giocatrici, gli spostamenti per le trasferte e coprire tutti gli altri costi. Così, avendo comunque vissuto una carriera di quasi 10 anni, ho capito che era il momento giusto per smettere di giocare“.

Foto Instagram Becky Perry

Cosa le manca maggiormente della pallavolo?

Noi atleti professionisti dedichiamo tutta la nostra vita ad arrivare ai massimi livelli, sacrificando per questo momenti vissuti in famiglia o altre situazioni importanti. Perciò, c’è una profonda comprensione tra di noi. Inoltre, quelli che hanno giocato all’estero sanno bene cosa significa dare priorità a un sogno piuttosto che stare nella propria comfort zone. Quando uno di noi entra a far parte di quello che viene chiamato ‘mondo reale’, si ritrova in una realtà diversa, circondato da persone che lavorano perché alla fine del mese devono pagare le bollette e magari non riescono a dare il 100% in quello che fanno, perché quella professione non è la loro passione.

Quindi, balza all’occhio come i colleghi abbiano diverse aspirazioni e non sempre gli obiettivi siano il successo e la realizzazione di se stessi. Ecco, della pallavolo mi manca proprio questo aspetto: sapere che quando vai ad un allenamento o ad una partita tutte le giocatrici hanno una ragione comune per cui sono lì, cioè vincere. Non conta nient’altro in quel momento. Non conta se io e le mie compagne abbiamo culture, lingue, religioni, colore della pelle, orientamento sessuale o convinzioni politiche diverse. Considero tutto questo come una forma di rispetto silenziosa, ma molto potente“.

Facciamo un passo indietro e ripercorriamo la sua carriera da globetrotter del volley. Come è nato il suo amore per questo sport?

In America, di solito i bambini capiscono se amano lo sport e qual è la loro disciplina preferita quando sono alle scuole medie, all’incirca tra gli 11 e i 13 anni. È in quel momento che si inizia a giocare per la rappresentativa scolastica e a sfidare le altre scuole. Fino a quell’età io avevo sempre seguito le orme di mia sorella: volevo fare quello che faceva lei. Quando ha iniziato a fare la cheerleader, l’ho seguita; così come poi è successo per la ginnastica. Una volta arrivata alle medie, è tornata a fare la cheerleader e la sua prima esibizione era in occasione di una partita di pallavolo. È stato lì che ho scoperto il mio amore per questo sport. Chiesi immediatamente a mia madre di poter provare, trovammo una squadra e… il resto è storia!“.

Foto Instagram Becky Perry

Terminato il college, ha vissuto la sua prima esperienza da professionista a Portorico. Che ricordi ha di quel periodo?

Molte giocatrici americane dopo il college decidono di iniziare la loro carriera professionistica da Portorico. La motivazione è che, fino a poco tempo fa, il campionato era sempre in programma tra gennaio e maggio. Perciò, terminata la stagione NCAA a dicembre, una giocatrice poteva tornare a casa per le vacanze e giocare nel campionato portoricano nella seconda parte dell’annata. Inoltre, Portorico è un territorio degli USA, e così le squadre locali preferiscono ingaggiare giocatrici americane perché non è necessario il visto di lavoro. Poi l’isola è considerata un vero e proprio paradiso: per una giocatrice può essere la soluzione migliore per vivere e giocare all’estero senza provare troppa nostalgia di casa. Mi è piaciuto molto giocare a Portorico e trovo romantico che la mia carriera sia iniziata e terminata proprio lì“.

Possiamo dire che il momento d’oro della sua carriera sia stato quello che ha vissuto in Europa (tra Turchia, Germania e Italia), dopo la parentesi in Corea del Sud?

Non è facile scegliere quali siano state le migliori stagioni della mia carriera. In termini di premi, probabilmente lo sono state le due annate in Germania (al Dresdner SC, n.d.r.), quando sono stata nominata MVP del campionato e abbiamo vinto il titolo; però, alla fine di quella stagione ho anche rotto il crociato. A Busto Arsizio siamo arrivate seconde in Champions League e ho vissuto un’esperienza che non dimenticherò mai. A livello di collettivo, sono state certamente queste le squadre più forti e divertenti in cui abbia giocato. Entrambe erano formate per metà da giocatrici locali e per metà da straniere, e secondo me questa è la formula vincente, che rende molto piacevole l’esperienza: da una parte c’è un numero di giocatrici locali che fanno capire a chi viene da lontano come funziona lì la vita, e dall’altra le straniere aggiungono un tocco di follia al mix“.

Foto Wikipedia

Tra lei e il nostro paese c’è un legame molto particolare. Cosa l’ha portata a richiedere e ottenere la cittadinanza italiana?

Quando il mio bisnonno italiano, Giovanni Pietro Di Fonzo, emigrò negli Stati Uniti, lo fece illegalmente. Lavorava su una nave mercantile che stava facendo la tratta Napoli-New York. All’arrivo, gli venne data un’ora di pausa per il pranzo prima del ritorno in Italia. Non tornò mai più. Di conseguenza, non dichiarò mai formalmente la sua cittadinanza italiana, anche se i suoi discendenti ne avevano diritto. A livello tecnico, avrei dovuto avere la cittadinanza italiana fin dalla nascita, ma ci sono voluti molti anni affinché mia madre rintracciasse tutti i documenti per dimostrarlo: era ormai il 2015. Quando nel 2009 mio nonno, Luigi Giovanni Di Fonzo, stava morendo di cancro, gli feci la promessa sul punto di morte che avrei imparato l’italiano. L’ho imparato all’università e quando ho avuto l’opportunità di giocare in Italia non potevo dire di no. Io e mia madre abbiamo anche visitato Campodimele, il borgo di origine della nostra famiglia, e abbiamo incontrato alcuni parenti lontani“.

Come sono state invece le sue esperienze nel Beach Volley? La mancata partecipazione a Rio 2016 è uno dei suoi rimpianti più grandi?

Mi sono innamorata del Beach Volley appena ho iniziato a giocarci. In particolare, è stato Lissandro Carvalho, un allenatore davvero molto bravo, a mostrami la bellezza di questo sport. Se avessi avuto l’opportunità avrei continuato a giocare sulla sabbia fino alla fine della mia carriera. Per me non è un rimpianto la mancata partecipazione alle Olimpiadi di Rio, anche se per coltivare quel sogno avevo dato il massimo, anche in termini materiali… Avevo venduto la mia auto, i miei mobili e affittato camere della mia casa per pagare il mutuo. Naturalmente mi sarebbe piaciuto fare di più, ma senza un partner e il giusto supporto economico era impossibile. Così sono tornata alla pallavolo indoor“.

Federvolley

Dopo le ultime stagioni europee, ha giocato in posti più esotici: Filippine, Kazakhstan e Thailandia. Cosa le è rimasto di queste avventure?

Ogni paese in cui ho giocato ha qualità uniche e meravigliose. Nelle Filippine ho trovato le persone più appassionate di pallavolo che abbia mai visto: basta vedere anche solo quanti follower hanno in media i loro giocatori. Invece, l’aspetto di unicità della Thailandia riguarda l’incredibile umiltà e la grande cultura per il lavoro della gente. Anche l’esperienza in Kazakhstan è stata molto positiva, soprattutto grazie alle mie compagne di squadra, che erano persone davvero gentili e meravigliose“.

Cosa porta nel proprio bagaglio una giocatrice che ha giocato in tutto il mondo?

Ci sono molti aspetti della vita da atleti professionisti che la maggior parte della gente non ha modo di sperimentare. Per esempio, trovarsi in un paese straniero costringe a crescere in fretta anche come persona: nelle mie esperienze all’estero, ho potuto conoscere me stessa in profondità, più di quanto le persone ‘normali’ conoscono se stesse. Si trascorre tanto tempo da soli e quei momenti danno l’opportunità di riflettere sulle cose più o meno positive della personalità o della vita. E non si può fuggire dal proprio giudizio perché in un posto lontano da casa ci sono meno distrazioni. Credo che tutto questo possa aiutare una persona a crescere e conoscersi meglio, e dia la possibilità di diventare la persona che si è sempre voluto essere“.

Siamo in dirittura d’arrivo dell’intervista. Se le dovessi chiedere cosa cambierebbe della sua carriera?

Probabilmente prenderei più seriamente la gestione della forma fisica e la preparazione nel periodo estivo, tra una stagione e l’altra. Negli ultimi anni non sono riuscita a curare questi aspetti, dovendo fare un po’ il giocoliere tra infortuni, attività indoor e sulla sabbia. Perciò, il mio consiglio rivolto alle giocatrici più giovani è quello di investire in un personal trainer e seguire una preparazione specifica durante l’off-season, ovviamente se non si è impegnati in nazionale. Anche se si pensa ‘Sono giovane e sto bene’, il miglior investimento per un atleta sta nella cura del proprio corpo per mantenerlo al meglio il più possibile“.

E invece qual è la scelta che non rimpiangerà mai?

Molti mi hanno giudicata per la scelta di giocare a Beach Volley. Altri mi hanno giudicata per essere cresciuta in America e aver scelto di giocare da italiana. Mi sono sentita presa di mira per i commenti che leggevo online e ho dovuto affrontare persino i pregiudizi degli addetti ai lavori. Eppure lo rifarei altre mille volte… Mi è stata concessa l’opportunità di rappresentare il paese che ha dato i natali alla mia famiglia e allo stesso tempo di inseguire un sogno che avevo fin da piccola. Non sono una persona che vive con il timore di prendere decisioni. E non cogliere quelle opportunità sarebbe stato qualcosa che non mi sarei mai perdonata. Probabilmente avrei passato il resto della mia vita a chiedermi cosa sarebbe successo. Anche se il mio sogno non è diventato realtà, ora vivo senza rimpianti“.

ARGOMENTI CORRELATI

CONDIVIDI SUI SOCIAL

Facebook

ULTIMI

ARTICOLI


Capitan Beretta si sposa: l’addio al celibato (da orsi), i cinque testimoni e… Monza

Sale in Zucca

Come se fossi un mitologico Lello Arena in uno sketch televisivo creato assieme a Troisi, intento a strillare al mondo la parola annunciazione, annunciazione, vi indico una data, ovvero quella del 20 giugno 2025. Vi indico addirittura una location, che è Mapello, territorio a me ignoto posizionato per quel che so tra Bergamo e Monza. Voglio essere buono e dirvi anche che i testimoni saranno non uno, ma cinque, un po’ all’americana, un po’ laddove il damigellato è la nuova frontiera pallavolistica con la quale organizzare i nuovi matrimoni. Perché se sei Thomas Beretta, ossia uno dei (sempre un mio umilissimo parere) migliori capitani della Superlega dell’ultima decade, di gente che ti vuol bene ne collezioni stagione dopo stagione, e quindi scegliere una sola persona che ti accompagni in uno dei giorni più importanti della tua vita, appare una scelta insormontabile. Nel caso di Thomas, e soprattutto di chi ha memoria, la scelta è ricaduta su mitologici personaggi della pallavolo lombarda, alcuni noti alle cronache nazionali, altri noti più a chi in questo universo lo conosce come una grande famiglia Berettiana, che con Sara Loda, perfetto esempio di pallavolista adorata all’unanimità, convolerà a nozze tra qualche giorno.

“Saremo circa duecento persone, ed è normale perché entrambi tenevamo ad invitare tutte le persone che con noi hanno fatto parte di questo percorso pallavolistico. I miei testimoni saranno Simone Anzani, Andrea Moro, William Taliento, Massimo Santin, che sono i compagni e gli amici della pallavolo che mi hanno accompagnato sin da giovane e Camillo, mio fratello”.

Sua moglie ha organizzato un addio al nubilato olimpionico. Del suo addio al celibato, ovviamente, non vi è traccia.

“(ride n.d.r) Chi mi conosce sa che non sono uno che ha un grandissimo rapporto con i social, quindi ho solo pensato a godermi i quattro giorni ad Ibiza che ho trascorso con gli amici di sempre. Quindi non racconterò nulla, anche perché i miei amici sono più orsi di me da questo punto di vista. Dico solo che è stato divertente!”.

foto Instagram @alessiaorro8

Beretta e Loda. Accomunati da un enorme sentimento reciproco e da un grande amore per il volley. Supererete le distanze?

“Dovremo almeno per l’anno prossimo perché Sara resterà a Houston dove ha giocato quest’anno nella nuova Lega americana. Si è trovata molto bene, aveva un biennale ed è giusto che prosegua negli Stati Uniti perché è un’ottima opportunità per lei”.

Lei ha appena firmato il suo tredicesimo contratto con il Vero Volley. Beretta è il Francesco Totti della pallavolo?

“Fare parte del Consorzio racchiude un po’ la storia della mia carriera. In serie A, il prossimo anno sarà la mia diciassettesima stagione e questa è la mia undicesima stagione consecutiva qui. Ero qui quando il nome del club era Che Banca! Milano, quando tutto questo è nato. Per me vestire questa maglia e fare parte del futuro di questa squadra è molto importante”.

Non giriamoci attorno, arriva da una stagione molto complicata. Mi prendo io la responsabilità di dire una cosa. Senza un capitano come lei, quest’anno non credo ce l’avreste fatta.

“Io non so se questa cosa sia vera, ma di queste parole le sono grato. Ho cercato di portare avanti la stagione da capitano, facendo capire che il segreto per ottenere delle cose era lavorare, pensando a tutto con senso del dovere, spirito di sacrificio e dimostrando quanto fosse importante giocare, vincere e pensare solo al proprio lavoro e non al contorno di questo ambiente”.

Entrare nelle dinamiche interne ad uno spogliatoio ho sempre trovato fosse dannoso, nonostante tutti sappiamo di ciò di cui si parla. Mi dica almeno cosa ci ha messo in più.

“Ho pensato a staccare tutti quanti dai problemi che avevamo e con cui dovevamo fare i conti tutta la settimana e a far capire loro che dovevamo fare solo i giocatori, ovvero ciò per cui abbiamo tutti firmato qui a Monza. Nelle ultime due o tre settimane ho visto una pallavolo allenata e giocata di alto livello. Siamo riusciti a reggere soprattutto al fotofinish e l’obiettivo salvezza è diventata una realtà”.

Da cosa si riparte?

“La squadra che sta costruendo Monza mi piace, quindi sono molto positivo. Sono certo che ci si possa divertire. Dopo un’annata così difficile e complicata, tutti noi dobbiamo capire che non possiamo solo sopravvivere in una Superlega che cresce anno dopo anno. Dobbiamo vivere e affrontare ogni giorno in palestra come se fosse l’ultimo”.

È possibile ricreare la magia di due anni fa, quando trovò Monza strabordante di spettatori e la finale scudetto da giocare?

“Ci proveremo, anche se è troppo presto parlarne”.

Il suo percorso è stato uno dei più belli a cui abbia assistito, anche perché io so chi era il ragazzo che mi sono trovato di fronte nel 2011, quasi quindici anni. Cosa è cambiato?

“Ero più spensierato, di certi pensieri che ora faccio da capitano me ne accorgevo di meno. Ero anche più vulnerabile, tanto che molto di ciò che mi è capitato pensavo fosse irrecuperabile. Poi la vita ti pone di fronte ad una crescita che inevitabilmente devi fare se vuoi assumerti delle responsabilità”.

foto Legavolley

Lei è diventato il simbolo di Monza. Quest’anno le dico di più, con l’addio di Matteo Piano alla pallavolo giocata, credo che lei diventerà il simbolo della pallavolo lombarda, che considero un movimento a parte.

“Non ho pensato a questa cosa, ma è una responsabilità e non mi sento ancora di essere qualcosa di simbolico. Con Teo ho un ottimo rapporto e grazie a Louati nell’ultimo anno porto il ricordo di belle cene, l’ultima delle quali è avvenuta subito dopo la sua partita giocata a Modena. Credo che lui abbia dato per la pallavolo e ha dimostrato grande affetto a tutto l’ambiente, ricevendone altrettanto”.

La maglia ritirata, il palazzetto in piedi. Siete coetanei e siete cresciuti negli stessi anni e nello stesso ruolo. Mi dica che non l'ha sfiorata il pensiero di quando toccherai a lei.

“(ride n.d.r.) No, ma scherza. Chissà se per me ci sarà una cosa del genere, magari non sono nemmeno pronto a viverla. Lui su queste cose è molto più empatico di me. Io poi voglio ancora giocare.

Foto Vero Volley Monza

Era un gioco psicologico per chiederle di restare. 

“Per ora non preoccupatevi, mi avrete ancora tra i piedi per un bel po’”.

Intervista di Roberto Zucca
(©Riproduzione riservata)