Alessandro Tondo Farmitalia Catania

Il bilancio di Alessandro Tondo a Catania: “Conoscevamo i rischi, ci abbiamo provato”

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La speranza è sempre l’ultima a morire, esattamente come la buona volontà: qualcosa che appartiene a molti compagni che quest’anno ha incrociato nella sua strada verso la Sicilia. La realtà però, dati alla mano, è che la stagione della Farmitalia Catania in Superlega è finita anzitempo, con una retrocessione nemmeno troppo velata. Alessandro Tondo, pur dando come sempre il massimo, esattamente come lo vedo fare da una vita, non è riuscito a salvare la sua squadra:

Purtroppo è finita come nessuno avrebbe voluto. Ed è un grosso dispiacere perché tutti abbiamo accettato il progetto con entusiasmo, pur essendo consci del grandissimo rischio che andavamo a correre con una formazione costituita negli ultimi giorni di mercato dopo il brutto epilogo della vicenda legata a Vibo Valentia. La società di Catania faceva un doppio salto, dalla A3 alla Superlega ed erano consapevoli del fatto che sarebbe stata difficilissimo il mantenimento della categoria. Di fronte al lavoro di tutti c’è sicuramente la gratitudine per aver disputato un campionato di massima serie. Ciò detto, non mi nascondo mai, la retrocessione c’è stata e la caduta anche“.

Alessandro Tondo Farmitalia Catania
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È parso sin dall’inizio che sarebbe stata difficile. C’era forse anche la rabbia per la vicenda di Vibo.

Quella si dimentica, o si cerca di farlo, perché tu come giocatore non hai responsabilità in merito. Era una grande sfida, e se devo dirla tutta, il mio rammarico è per il fatto che in certi frangenti del campionato e con certe squadre abbiamo fatto vedere di potercela giocare. Penso anche a squadre che oggi sono ai Play Off. Abbiamo provato a vedere la luce in fondo al tunnel fin quasi alla fine. Peccato“.

Da dove si riparte, Tondo?

Sono certamente contento di aver arricchito il mio annuario con un’altra stagione in Superlega. Ora è troppo presto per parlare di futuro. Sarà un mercato tosto, e sicuramente dopo una stagione nella quale sei retrocesso riesci a venderti in maniera non identica ad un altro tuo pari ruolo che ha centrato i propri obiettivi. Non lo so davvero, staremo a vedere“.

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Parliamo di Alessandro fuori dal campo. Il suo primo anno da marito pendolare (si è sposato nel 2023 con Beatrice Francesconi) come è andato?

È finito (ride, n.d.r.) ed è stato forse il nono in cui siamo stati distanti, anche perché siamo non solo grati ma anche due che danno importanza, e tanta, al lavoro. È stato esattamente come le annate precedenti, in cui si programmavano i ritorni, si cercava di incastrare ogni occasione possibile“.

Pensavo mi dicesse che sarà l’ultimo.

No, ogni tanto il pensiero e la considerazione la fai ma non sarebbe giusto per nessuno in questo momento. Sono certo che se l’occasione arriverà sarà perché i progetti di entrambi ci soddisferanno talmente tanto da poter stare vicini. Avevamo già messo in conto che io avrei avuto ancora qualche anno di carriera e Beatrice mi supporta sempre. Forse dovrebbe chiedere a lei di rallentare col lavoro! (ride, n.d.r.) Scherzo, ama quello che fa ed è giusto così per ora“.

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Il vostro è stato uno dei matrimoni più belli della scorsa stagione. Si è reso conto di quanto affetto ha attorno in questo mondo?

Ce lo siamo goduti poco fino al giorno stesso, perché è stato un continuo inseguimento al dettaglio. Volevamo entrambi che tutti si godessero quelle giornate e soprattutto che tutto fosse perfetto. Poi il giorno del matrimonio abbiamo capito il momento bellissimo che stavamo vivendo e ci siamo rilassati parecchio. Per rispondere alla sua domanda, avere accanto le persone più importanti della nostra vita ci ha fatto sorridere il cuore“.

Pensa di aver seminato bene nel mondo del volley?

Penso di aver fatto bene delle buone cose. Ma ho ancora la scintilla dentro e voglio continuare a tenerla accesa per un bel po’“.

di Roberto Zucca

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Rinaldi, biennale in Giappone: “Vi racconto perché vado, i dubbi iniziali e… Modena”

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Osaka Blazers Sakai. Tutto o niente. Bianco o nero, o bianco e rosso se si ragiona per cromatismi della vita, e per la nuova bandiera d’appartenenza pallavolistica di Tommaso Rinaldi. La vita è fatta di cambiamenti, spesso radicali, di sfide che portano uno dei primi di italiani, ma di quelli che si candidano ad essere primi della classe a sbarcare nel campionato nipponico, dopo un passato anche recente fatto di Modena, patria del tifo sfegatato, del palazzetto che si riempie dell’entusiasmo e della mitomania, che è poi tipica del giapponesismo del volley. Lui è Tommaso, occhi di ghiaccio, voglia ed esigenza di essere più grande dei suoi 24 anni, destino di essere grande tra i grandi. 

L’entusiasmo per questa nuova avventura c’è tutto, anche se il pensiero di rinunciare a ciò che lo rende uno dei volti più interessanti della Superlega è tuttora presente.

“Osaka è nata per caso. È una destinazione a cui non avevo mai pensato finché all’inizio dell’anno, l’allenatore dei Blazers mi ha contattato su Instagram per sondare la volontà o la mia curiosità di giocare in un campionato così lontano da casa. Se vogliamo, lontananza a parte, è un campionato davvero diverso dal nostro, ma stimolante”.

Non voglio parlare della trattativa in sé. Volevo capire come è iniziato il suo processo di lento sradicamento da una città che lei ama tanto.

“C’è stato subito il confronto con la mia famiglia e con il procuratore anche solo per capire assieme cosa pensassimo di un passo del genere. Non ho ragionato pensando a ciò che mi veniva offerto, non è stato quello l’aspetto che mi incuriosiva di più. Ho pensato se fosse un’opportunità a quest’età e se davvero il Giappone potesse rappresentare un investimento sulla mia carriera”.

Che risposta si è dato?

“Sono rimasto colpito dall’attenzione e dal pensiero fatto da parte della società. Inizialmente ho pensato anche a Modena, perché non volevo lasciarla. Al di là della società in cui sono cresciuto, in cui ho vissuto per moltissimi anni, il pensiero è andato a ciò che mi ha dato tanto e che avrei dovuto lasciare. Ho un’offerta biennale a Osaka, segno che il progetto è lungo e che la volontà di fare bene c’è tutta”.

So che troverà un giocatore che già conosce.

“Sì, Matt Anderson. Saremo compagni di squadra e potremo fare assieme una bella stagione”.

Anderson e Rinaldi. Possiamo fare delle similitudini?

“Mi dica”.

La pallavolo giapponese vive di simbolismo, un po’ come tutta la cultura. Penso ai vostri due volti. C’è tanto marketing. Siete molto belli, siete due volti innocenti, siete un po’ uno stereotipo occidentale. Il volley un po’ pop vende biglietti?

“Sicuramente faremo clamore. Se parliamo di canoni estetici, rappresentiamo forse qualcosa di pulizia e trasparenza, non so quanto questo conti. Sono un popolo molto devoto alla pallavolo, molto attento, che esprime con moderazione ed educazione la propria gratitudine e il proprio affetto e simpatia nei confronti degli atleti”.

L’emozione c’è?

“C’è curiosità. Partirò ad agosto e sarò solo in questa prima fase. Se mi vuole chiedere quanta paura ho della solitudine, del fatto che sarò dall’altra parte del mondo per la prima volta per così tanto tempo, le dico che dovrò imparare a gestire tutto, ma sono fiducioso. Papà e mamma sono stati determinanti e mi hanno lasciato libero, senza il rimpianto di non avermi più a Modena a due passi da casa”.

Rinaldi, mi fa specie vederla diventare così grande.

“Sono cresciuto anche io. Questa è una grande occasione arrivata nel momento giusto”.

Intervista di Roberto Zucca
(©Riproduzione riservata)