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Erica Di Maulo, un’italiana in Finlandia: “Vorrei continuare a giocare all’estero”

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Di Alessandro Garotta

Il sogno di diventare pallavolista, indipendentemente da come e dove. È questa la storia di Erica Di Maulo, palleggiatrice che, dopo l’esperienza di sport e studio alla St. John’s University di New York, ha disputato la sua prima stagione da professionista all’Hämeenlinnan Lentopallokerho in Finlandia

Una pallavolo completamente diversa dalla nostra, per cultura, mentalità, filosofia. Un mondo ancora in gran parte inesplorato, spesso e volentieri marchiato da pregiudizi e stereotipi senza averlo mai vissuto in prima persona, come se “pallavolo” e “Finlandia” fossero due rette parallele che non si incontreranno mai. Cerchiamo di conoscere meglio questa realtà con qualche domanda alla giovane giocatrice italiana. 

Erica, ci parli un po’ di lei e del suo percorso nel mondo della pallavolo. 

Sono una palleggiatrice di 23 anni, originaria di Milano. La mia prima esperienza pallavolistica è stata in under 12 alla Viscontini, poi ho fatto l’under 14 al Visette, sono andata ad Orago – rimanendo lì quattro anni, dalle giovanili alla Serie B1 – e al Cus Torino in B1. Poi, dal 2016 al 2020 mi sono trasferita negli Stati Uniti, dove ho giocato e mi sono laureata alla St. John’s University di New York. Infine, quest’anno ho vissuto la mia prima stagione da professionista in Finlandia“.

Quanto è stata importante per lei l’esperienza in NCAA? 

È stata un’esperienza ‘life changing’. Non era nei miei piani andare in un college americano, ma quando mi è arrivata l’offerta da St. John’s ho accettato al volo. Inizialmente non sapevo bene cosa aspettarmi, ma mi sono abituata presto alla nuova realtà, e alla fine è stato bellissimo. Dal punto di vista pallavolistico, ho vissuto stagioni diverse – alcune migliori di altre – ma il bilancio è positivo: penso sia stata la scelta migliore per me“.

Foto Instagram Erica Di Maulo

Dagli USA alla Finlandia: come è nata questa opportunità e perché, dopo il college, ha preferito l’estero all’Italia? 

Terminata l’esperienza negli USA, ero alla ricerca di una squadra e ho ricevuto la chiamata di Matteo Pentassuglia, allenatore italiano dell’Hämeenlinnan. Ho deciso di accettare questa offerta perché pensavo fosse una buona opportunità come prima esperienza da professionista. Inoltre, amo viaggiare e girare il mondo, quindi era anche un modo per conoscere la Finlandia. Purtroppo, a causa della pandemia, non sono riuscita a visitare tutto ciò che avevo in programma, ma comunque posso dire di avere vissuto una bella annata in un paese che non conoscevo“. 

Com’è stato l’adattamento al nuovo campionato ma soprattutto alla “nuova vita”? 

Il passaggio da una metropoli come New York ad una cittadina di 60 mila abitanti come Hämeenlinna (a 100 km da Helsinki, n.d.r.) è stato qualcosa di assurdo. Dal punto di vista sportivo, ho trovato impegnativo riadattarmi alla durata della stagione europea. Infatti, sono andata in Finlandia ad agosto e dopo una preparazione di due mesi abbiamo iniziato il campionato, terminato poi a marzo. Invece, in NCAA la stagione è più breve e questa differenza l’ho percepita, pur essendo abituata dalle mie esperienze nelle giovanili“. 

Un bilancio di questa stagione: com’è andata? 

Abbiamo terminato il campionato con l’amaro in bocca perché volevamo vincerlo, ma siamo state eliminate in semifinale. Quella contro il Viesti Salo è stata veramente una battaglia: purtroppo, però, abbiamo avuto una giornata no in Gara 3, decisiva per il passaggio in finale. E, alla fine, il titolo è andato proprio alle nostre avversarie. Nel complesso, però, è stata una stagione molto buona. Mi è piaciuto che, nonostante fossimo una squadra giovane, eravamo tutte delle grandi lavoratrici, desiderose di fare ogni volta meglio. Fortunatamente, il Covid non ha creato troppi problemi nello svolgimento del campionato: le gare sono state sospese solo a dicembre e abbiamo sempre potuto allenarci, senza troppe restrizioni“. 

Foto Tomi Vesaharju

In Finlandia, la pallavolo viene seguita con interesse?

Non è lo sport nazionale, ma comunque è seguita. Prima della pandemia, le squadre – soprattutto quelle di alta classifica – facevano registrare quasi sempre il tutto esaurito. Quest’anno abbiamo giocato a porte chiuse da gennaio, mentre prima con il 40% della capienza dei palazzetti“. 

Secondo lei, in Italia abbiamo un’idea sbagliata su alcuni campionati esteri? 

L’Italia, a livello maschile e femminile, può contare su grandi top player e i suoi campionati sono tra i più belli al mondo. Quindi, è normale che gli altri risultano sulla carta inferiori, ma allo stesso tempo c’è anche una componente soggettiva: personalmente, credo andare all’estero sia comunque un’ottima opportunità“. 

In quali aspetti si sente migliorata maggiormente dopo questa esperienza?  

Penso di essere cresciuta soprattutto nella distribuzione del gioco. Durante la stagione, insieme al mio allenatore, ho fatto tanti studi su come migliorare questo aspetto e creare un buon feeling con tutte le compagne“. 

Quali sono i suoi sogni per il futuro?

Ho tanti sogni nel cassetto… Sono una persona che vive alla giornata, attratta sempre da qualcosa di nuovo, quindi non ho ancora idea di cosa farò ‘da grande’. Per adesso, vorrei continuare a giocare e, se possibile, farlo all’estero“. 

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